- Nel 1990 mi era capitato da studente, durante un dibattito alla cappella dell'università romana La Sapienza, di fare all'allora cardinale Ratzinger, una domana sul credo cristiano, per distinguere ciò che è essenziale e richiede unità da quello che invece è contingente e ammette divisioni: ad esempio in politica o nella morale.
- La risposta di Ratzinger, in sintesi, era stata che di essenziale nella fede c'era solo la persona di Cristo tramandata dai Vangeli, che in questi era prevista l'autorità della Chiesa, e che nell'autorità della Chiesa era compresa la sua funzione di guida in morale e politica.
- Oggi sappiamo, grazie alla pubblicazione del testamento di papa Benedetto XVI, che con lucidità cristiana il custode dell'ortodossia divenuto successore dell'apostolo Pietro aveva intuito che non bastava più l'acciaio della tradizione.
«Ringrazio prima di ogni altro Dio stesso, il dispensatore di ogni buon dono, che mi ha donato la vita e mi ha guidato attraverso vari momenti di confusione; rialzandomi sempre ogni volta che incominciavo a scivolare e donandomi sempre di nuovo la luce del suo volto. Retrospettivamente vedo e capisco che anche i tratti bui e faticosi di questo cammino sono stati per la mia salvezza e che proprio in essi Egli mi ha guidato bene».
Sono le parole iniziali del testamento spirituale di Joseph Ratzinger, diffuse dal Vaticano la sera del 31 dicembre, poche ore dopo la sua morte, mentre Francesco, il suo successore come Vicario di Cristo in terra, si concedeva un bagno di folla nella piazza San Pietro piena di fedeli e soprattutto di turisti ignari, quasi a voler rassicurare che Roma non era rimasta senza papa.
Confusione, scivoli, fatica, buio sono le parole che il papa emerio oggi scomparso consegna al momento del trapasso terreno, scritte il 29 agosto 2006, dopo sedici mesi di pontificato, quando una fine traumatica non era neppure immaginabile.
Sono state il segno di un percorso umano e intellettuale e il tratto di un papa entrato nella storia per un gesto, il suo gesto. Di umiltà, di ammissione di inadeguatezza, di fragilità del potere, di ogni potere, compreso quello di origine divina.
Perché il papa, per il credente, è il successore di Pietro, il pescatore che alla domanda di Gesù: «Volete andarvene anche voi?», risponde di impulso: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna».
La roccia su cui è costruita la Chiesa fondata da Cristo, il garante che quando il Figlio dell'Uomo tornerà sulla terra troverà ancora la fede. Ma è anche l'uomo chiamato a reggere di fronte alla domanda terribile che Gesù consegna ai suoi discepoli, tramandata dal vangelo di Luca: «Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Una domanda che tormentava il papa che aveva nominato Ratzinger cardinale, Giovanni Battista Montini, Paolo VI, aveva affidato la sua inquietudine all'amico filosofo Jean Guitton: «C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede... Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico...».
Le onde del relativismo
Una domanda che aveva inquietato anche Ratzinger che del Concilio era stato protagonista. Negli anni del post-Concilio e in quelli successivi, quando la barca della Chiesa era stata sballottolata dalle onde, come aveva detto nell'omelia che gli era valsa l'elezione a papa, quella del 18 aprile 2005.
Era la solenne messa «pro eligendo romano Pontifice», l'apertura del conclave chiamato a eleggere dopo 27 anni di papato il successore di Pietro e di Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla, il papa gigante della storia, dell'abbattimento dei muri, del «non abbiate paura», il testimone della purezza e della rocciosità della fede che non conosce tenebre.
Il cardinale tedesco, in quel momento decano del Sacro collegio, aveva usato parole inaudite, ventiquattro ore prima di essere eletto papa: «Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo, dal collettivismo all’individualismo radicale, dall’ateismo ad un vago misticismo religioso, dall’agnosticismo al sincretismo e così via... Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene etichettato come fondamentalismo. Mentre il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
Ventiquattro ore dopo si era affacciato dalla loggia della basilica di San Pietro con le maniche nere del prete di campagna sotto la veste bianca, il papa Benedetto XVI.
Otto anni dopo, il 10 febbraio 2013, al momento di lasciare il papato, Ratzinger tornò sull'immagine della barca: «Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato».
Quasi che, nel frattempo, avessero prevalso le onde. Di certo il progetto si era dolorosamente incagliato. E la barca rischiava di infrangersi sugli scogli.
Nel conclave del 2005 la maggioranza dei cardinali aveva eletto papa il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il severo custode dell'ortodossia.
Un'elezione festeggiata dagli intellettuali teo-con di mezzo mondo, in Italia dal Foglio di Giuliano Ferrara e dal presidente del Senato Marcello Pera che ieri ha celebrato Ratzinger con una veste riduttiva, «l'ultimo difensore della civiltà occidentale».
Immaginavano per la Chiesa un recupero di orgoglio, la rivendicazione del suo ruolo guida della cultura occidentale, perché era in Occidente, in Europa, in Italia che si dovevano combattere e sconfiggere i nemici vecchi e nuovi.
I lupi dentro la Chiesa
Nel 1990 mi era capitato da studente, durante un dibattito alla cappella dell'università romana La Sapienza, di fare all'allora cardinale Ratzinger prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, una domana sul credo cristiano, per distinguere ciò che è essenziale e richiede unità da quello che invece è contingente e ammette divisioni: ad esempio in politica o nella morale.
La risposta del cardinale Ratzinger, in sintesi, era stata che di essenziale nella fede c'era solo la persona di Cristo tramandata dai Vangeli, che in questi era prevista l'autorità della Chiesa, e che nell'autorità della Chiesa era compresa la sua funzione di guida in morale e politica.
Una risposta in linea con il prefetto che correggeva e puniva i teologi della Liberazione. E che nel 2002 aveva firmato la nota «circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica», in cui si affermava: «Sarebbe un errore confondere la giusta autonomia che i cattolici in politica debbono assumere con la rivendicazione di un principio che prescinde dall’insegnamento morale e sociale della Chiesa».
L'autonomia dei laici era limitata, dal magistero della Chiesa, fortificato dalla tradizione, che invece non ammetteva limiti di azione.
Ma oggi sappiamo, grazie alla pubblicazione del testamento di papa Benedetto XVI, che con lucidità cristiana il custode dell'ortodossia divenuto successore dell'apostolo Pietro aveva intuito che non bastava più l'acciaio della tradizione.
«Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza; così come, d’altronde, è nel dialogo con le scienze naturali che anche la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità».
Il senso del limite, anche della fede. Il senso del relativo, dunque. Il passaggio più sorprendente che ha attraversato tutto il pontificato di Joseph Ratzinger.
Fino all'estremo gesto di secolarizzazione del papato, di de-sacralizzazione del Vicario di Cristo, il riconoscimento di una inadeguatezza, rispetto alla barca in tempesta, agitata dall'esterno e ancor più dall'interno.
«Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi», disse già nella sua prima omelia papale, il 24 aprile 2005. Quasi l'opposto del grido di papa Wojtyla nella stessa piazza, 27 anni prima: il papa salvo, il papa polacco previsto un secolo e mezzo prima dal poeta Slowacky, «fratello del popolo, che non fuggirà davanti alle spade», che non aveva paura. Il 3 ottobre 2005, sei mesi dopo la sua elezione, il papa Ratzinger si era rivolto al Sinodo dei vescovi chiedendo aiuto: «Una delle funzioni della collegialità è aiutare a conoscere le lacune che noi stessi non vogliamo vedere. Quando uno è disperato, non vede come andare avanti, ha bisogno della consolazione, che qualcuno sia con lui, dia coraggio, faccia il ruolo dello Spirito Santo consolatore... Se non condividendo insieme la fede, come possiamo fare ciò?».
Una richiesta di soccorso, non condivisa. Il «mite pastore che non indietreggia davanti ai lupi», lo aveva definito l' “Osservatore Romano” nel febbraio 2012, un anno prima delle sue dimissioni.
I lupi più pericolosi, i più feroci, erano all'interno della Chiesa. Nel cuore dell'apparato ecclesiastico il relativismo, «il lasciare come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie», come aveva detto Ratzinger, aveva assunto il volto demoniaco della pedofilia, il culto di Mammona, il carrierismo clericale, un cumulo di meschinità, una bassa cucina politicante.
E un messaggio cristiano sempre più lontano dalle persone comuni, uomini e donne alle prese con la loro sofferente quotidianità. Abbandonate alla confusione, agli scivoli, alla fatica, al buio, senza il barlume di una fede, o della fede, a illuminare il cammino.
Le sue dimissioni sono sembrate arrivare alla fine di una dolorosa persecuzione, come immaginato in un suo racconto da Graham Greene: nel mondo era rimasto un solo cristiano, il papa. Un vecchio che non ricordava nulla del suo passato, trascinato davanti al plotone d'esecuzione. Ma mentre stava per essere fucilato aveva alzato un bicchiere di vino e salutato i suoi aguzzini in una lingua che ormai nessuno capiva più: «Corpus domini nostri...»
Lo scandalo del male
Il gesto delle dimissioni di Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI, è stato scandaloso, non nel senso dei piccoli scandali di cronaca giornalistica, ma lo scandalo nel senso di cui parla Romano Guardini in L'essenza del cristianesimo: «Una determinata presa di posizione nei riguardi del valore salvifico che si presenta quando questo si fa innanzi non in astratto, ma in forma concreta».
Lo scandalo della fragilità della guida, degli apparati, delle strutture, del potere dell'uomo, arrivato nel cuore della cristianità proprio dal vertice di quella istituzione bimillenaria che ha fondato l'Europa, l'Occidente (le radici) e che ha attraversato gli oceani, fino ai confini estremi, al punto di portare come successore un papa venuto quasi dalla fine del mondo.
Un gesto scandaloso, il dimettersi, il lasciare il potere, un gesto apocalittico, tanto più perché avvenuto all'inizio del decennio delle leadership politiche che si auto-proclamavano forti e inflessibili, tanto più perché unte dal signore della sovranità popolare, mentre, invece, il balcone restava vuoto e si consumava la stagione dell'impotenza del potere. Leadership in rapporto problematico con la verità.
La verità che – ha insegnato il professor Ratzinger – non si possiede ma ti possiede, è ricerca, tensione, metodo critico. Ripetuto nel suo testamento: «Sono ormai sessant’anni che accompagno il cammino della Teologia, in particolare delle Scienze bibliche, e con il susseguirsi delle diverse generazioni ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista. Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede. Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita — e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo». Solo una fede che è sottoposta a critica e dubbio può emergere dal groviglio.
Una lezione che oggi risalta di fronte al corpo spoglio del primo papa emerito della storia, il primo che avrà i funerali celebrati dal suo successore. I
l corpo del papa che, lo ha insegnato Agostino Paravicini Bagliani, dopo la morte è per tradizione sottoposto a un percorso di umiliazione, simbolo di caducità, destinato a tornare polvere.
Il mysterium inquitatis, il mistero del male, è il vero scandalo del mondo, anche in questo inizio 2023: il mistero delle guerre, dell'uomo che uccide il fratello, non eliminato dalla faccia della terra da duemila anni di cristianesimo.
«Il dogma del fallimento del cristianesimo nella storia del mondo», di cui scrisse Sergio Quinzio, è forse il segreto racchiuso nella parabola terrena di Joseph Ratzinger, perché solo nel fallimento per il cristiano c'è la soglia della rinascita, della resurrezione.
Vale anche per le nostre società laiche: un movimento di smarrimento e di svuotamento, l'opposto degli integralismi religiosi e politici.
Solo nel ritrarsi, nel silenzio, può avanzare la storia di liberazione degli uomini e delle donne nel mondo, si può superare il vuoto soffocante del presente di cui sono ammalate le nostre società. Solo così ci sarà la possibilità di superare il buio, senza avere paura dei lupi.
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