Il 9 maggio scorso, Giornata dell’Europa, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che il voto all’unanimità in alcune aree chiave della politica europea «non ha più senso se vogliamo essere in grado di muoverci più velocemente».

Sempre il 9 maggio, il presidente francese Emmanuel Macron, si è pronunciato a favore di decisioni a maggioranza qualificata, con una riforma dei trattati che consenta «una maggiore semplificazione».

Il 3 maggio, pure il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, dinanzi alla plenaria del parlamento europeo, aveva affermato la necessità di «superare il principio dell’unanimità, da cui origina una logica intergovernativa fatta di veti incrociati» e di muoversi «verso decisioni prese a maggioranza qualificata».

L’ostacolo rappresentato dal voto unanime è palese, ad esempio, in questi giorni, con la nuova proposta di sanzioni dell’Unione europea (Ue) nei confronti della Russia. Può essere utile, dunque, esaminare la regola dell’unanimità, nonché verificare se e come la si possa attenuare o superare.

L’unanimità nel voto del Consiglio Ue

A seconda dell’argomento discusso il Consiglio dell’Ue decide: a maggioranza semplice (con il voto favorevole di 14 stati membri); a maggioranza qualificata (con il voto favorevole del 55 per cento degli stati membri, che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione dell’Ue); all’unanimità (con la totalità dei voti a favore).

Quest’ultima è richiesta per il voto in settori strategici, elencati in vari articoli dei trattati europei: imposizione fiscale; sicurezza sociale o protezione sociale; adesione di nuovi stati membri dell’Ue; politica estera e di sicurezza comune (Pesc), compresa la politica di sicurezza e di difesa comune (Psdc); cooperazione di polizia operativa.

Per facilitare le decisioni europee anche in questi settori “sensibili”, vi sono alcune clausole, tra le quali le cosiddette clausole “passerella”, che permettono appunto di “passare” da un voto all’unanimità a un voto a maggioranza qualificata o da una procedura legislativa speciale alla procedura legislativa ordinaria. Tuttavia, per attivare la clausola passerella generale (art. 48, par. 7, del Trattato sull’Unione europea) serve una deliberazione all’unanimità del Consiglio europeo, e comunque i parlamenti nazionali dispongono di un potere di veto, e quindi possono bloccarne l’uso.

La convenzione di modifica dei Trattati

La procedura di revisione ordinaria dei trattati (art. 48) è complessa e articolata. Ogni stato membro, la Commissione o il parlamento europeo può presentare una proposta di modifica al Consiglio Ue, il quale la sottopone poi al Consiglio europeo, con informazione ai parlamenti nazionali.

Il Consiglio europeo può adottare a maggioranza semplice una decisione favorevole all’esame delle modifiche proposte. In questo caso il presidente del Consiglio convoca una “convenzione”, composta da «rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di stato o di governo degli stati membri, del parlamento europeo e della Commissione», previo parere di parlamento europeo e Commissione.

La convenzione esamina i progetti di modifica e adotta per consenso – cioè senza che nessuno dei partecipanti si opponga – una raccomandazione destinata a una “conferenza intergovernativa” tra gli stati membri (Cig). Quest’ultima stabilisce «di comune accordo» le modifiche da apportare ai trattati, che entrano in vigore dopo la ratifica di tutti gli stati.

Il Consiglio europeo può anche decidere, a maggioranza semplice, di non convocare una convenzione «qualora l’entità delle modifiche non lo giustifichi», previa approvazione del Parlamento europeo. Ma non è questo il caso delle modifiche alla regola dell’unanimità.

La procedura semplificata di revisione, invece, evita la necessità di convocare una convenzione europea e una Cig. Il Consiglio europeo delibera all’unanimità dopo aver consultato Commissione, parlamento europeo e Banca centrale europea, se la revisione riguarda questioni monetarie. Le modifiche dei trattati entrano in vigore solo dopo la ratifica da parte di tutti i paesi dell’Ue.

Insomma, con entrambe le procedure, per modificare la regola dell’unanimità serve l’unanimità.

Il 29 aprile scorso, la Conferenza sul futuro dell’Europa ha approvato un documento, diviso per aree tematiche, che contiene proposte di modifiche dei trattati: tra le altre, il «conferimento di un diritto di iniziativa legislativa al parlamento europeo» e «la rimozione dell’unanimità sulla politica estera in seno al Consiglio». Il 4 maggio, con una risoluzione, gli europarlamentari hanno chiesto di avviare la procedura per la revisione. Resta il problema dell’unanimità, come detto.

Come attenuare la regola dell’unanimità

Una soluzione che potrebbe agevolare il percorso di alcuni paesi Ue verso obiettivi comuni, superando l’ostacolo dei veti derivanti dal rispetto del vincolo dell’unanimità, vi è la “cooperazione rafforzata”.  Questa cooperazione – concessa dal Consiglio su proposta della Commissione europea e previa approvazione del parlamento europeo  – «permette a un minimo di nove stati membri di instaurare un’integrazione avanzata o una cooperazione in un ambito specifico all’interno dell’Unione europea, qualora risulti evidente che l’Unione nel suo insieme non sia in grado di conseguire gli obiettivi di tale cooperazione entro un termine ragionevole».

In questo modo, i paesi che si uniscono nella cooperazione possono «avanzare a diverse velocità e verso obiettivi differenti» rispetto a quelli che decidono di rimanerne fuori. La cooperazione rafforzata è stata impiegata in materia di divorzio, di brevetti e di imposta sulle transazioni finanziarie. E comunque l’Ue già sperimenta “diverse velocità”: ad esempio, l’euro è la valuta di 19 stati membri su 27 (cosiddetta zona euro); dello spazio Schengen non fanno parte infatti alcuni stati Ue (Irlanda, Romania, Bulgaria, Cipro e Croazia), mentre ne fanno parte Svizzera, Norvegia e Islanda, stati extracomunitari.

Dunque, l’istituto della “cooperazione rafforzata” consente di ottenere una maggiore integrazione tra alcuni stati membri, senza il coinvolgimento di quelli che, invece, non vogliono rinunciare ad alcune prerogative nazionali. Questa soluzione sarebbe quanto mai necessaria in materia di politica estera e di difesa comune.

Tuttavia, proprio in questa materia, la cooperazione rafforzata è condizionata a una decisione all'unanimità del Consiglio. Dunque, se ci fossero paesi dell’Ue non disposti a rinunciare al loro potere di opposizione e contrari all’integrazione degli altri, potrebbero comunque ostacolarli.

È a questo punto che deve subentrare la politica. A fronte di un allargamento dell’Ue che, da ultimo, è avvenuto più per motivi politici che per effettiva condivisione di valori e strategie, spetta proprio alla politica sciogliere il nodo dell’unanimità che preclude il superamento, almeno in alcuni settori, della regola dell’unanimità.

© Riproduzione riservata