Dal1° gennaio 2024, ogni istituzione e organizzazione governativa cesserà di esistere. Il decreto è stato firmato dal presidente dell’enclave. L’attacco dell’Azerbaigian il 19 settembre ha portato alla resa delle forze separatiste. Oltre 65mila armeni stanno lasciando le loro case
A quasi dieci giorni dall’attacco dell’Azerbaigian contro le forze separatiste armene nel Nagorno-Karabakh, il presidente dell’enclave Samvel Shahramanyan ha firmato un decreto per cui dal primo gennaio 2024 l’autoproclamata Repubblica di Artsakh non esisterà più, insieme a ogni istituzione e organizzazione governativa.
La decisione, dice il decreto, è stata presa tenendo conto della «priorità di assicurare la sicurezza fisica e gli interessi vitali della popolazione». L’Azerbaigian ha accordato ai residenti la possibilità «di viaggiare liberi, volontari e senza ostacoli» e anche il contingente di pace russo che dal 2020 si trova lungo il confine starebbe assistendo le persone che stanno lasciando la regione.
L’accordo trilaterale
Per l’agenzia Interfax, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il suo corrispettivo azero si sono parlati al telefono: «Le parti hanno discusso la situazione in Karabakh, inclusa la disposizione di assistenza umanitaria, rispetto dei diritti e della sicurezza della popolazione armena locale», dice un comunicato del ministero russo. I due ministri hanno anche discusso sull’accordo trilaterale del 2020 tra Azerbaigian, Armenia e Russia, e di un possibile trattato di pace tra Baku e Erevan che delimiti i confini tra i due paesi.
Gli armeni
Mentre il governo azero ha assicurato che i diritti degli armeni saranno tutelati, un ex leader del Nagorno-Karabakh Ruben Vardanyan è stato arrestato mentre cercava di rifugiarsi in Armenia con la famiglia: sarebbe stato portato a Baku, dove, per Associated Press, è stato accusato di aver finanziato il terrorismo, creato illegali forze armate e attraversato illegalmente un confine di stato.
Gli armeni che hanno lasciato il Nagorno-Karabakh attraverso il corridoio di Lachin, l’unica via che collega la regione con l’Armenia, sono più di 65mila, ossia più di metà della popolazione, che si stima fosse sulle 120mila persone. «Nei prossimi giorni non ci saranno più armeni rimasti nel Nagorno-Karabakh. Questo è un atto diretto di pulizia etnica e deportazione, di cui avevamo avvertito la comunità internazionale da tempo», ha detto il premier armeno Nikol Pashinyan in un incontro di governo, come riportato dall’agenzia russa Tass.
La giornalista freelance Siranush Sargsyan sta documentando le condizioni della popolazione armena rimasta a Stepanakert su Bbc News e su X, vecchio Twitter, dove ha postato delle foto delle persone ferite in attesa negli ospedali, o sistemate in rifugi di fortuna.
La «reintegrazione»
La regione è contesa da decenni: il Nagorno-Karabakh si trova nel territorio azero, ma è abitato prevalentemente da armeni. Dopo la dissoluzione dell’Urss, era nata l’autoproclamata Repubblica di Artsakh, ma gli azeri hanno continuato a rivendicare la sovranità su quell’area.
Un conflitto nel 2020 aveva assegnato buona parte del territorio all’Azerbaigian, e la Russia aveva inviato un contingente di pace. Le tensioni non si sono mai del tutto quietate, e il 19 settembre Baku ha lanciato un attacco che in meno di 24 ore ha portato alla resa delle forze separatiste. I negoziati successivi si erano svolti nella direzione di una «reintegrazione» del territorio.
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