Con 119 voti la capitale saudita si è aggiudicata l’esposizione universale del 2030 davanti a Busan. Nonostante l’impegno del Comitato, la capitale e il governo rimediano una figuraccia
Il presidente meloniano del Lazio, Francesco Rocca, può fare sogni tranquilli. Il suo pizzetto è salvo. Non dovrà ottemperare alla promessa pronunciata prima del voto per l’assegnazione di Expo 2030 durante la trasmissione di Rai Radio 1 Un giorno da pecora: «Se ci aggiudichiamo l’Expo io mi taglio di nuovo il pizzetto in diretta». I pronostici sono stati confermati, l’esposizione universale si terrà nella capitale del regno saudita, che succede così alla giapponese Osaka che terrà l’evento nel 2025. I 165 delegati hanno dato 119 voti a Riad, 29 alla sudcoreana Busan e solo 17 voti a Roma.
I soldi arabi
Un risultato simile non era nei pronostici iniziali di qualche mese fa. La scelta dei 165 delegati è stata chiaramente il frutto di relazioni internazionali, rapporti diplomatici e di amicizia. Ma anche soldi. Un “mercato delle vacche” alimentato con i soldi del petrolio. Fondi che Roma e il governo italiano, in questo momento, non possono permettersi di spendere. Secondo le stime l’Arabia Saudita avrebbe investito per la candidatura almeno 190 milioni di euro, la Corea del Sud 160 milioni, mentre l’Italia si è fermata a 30 milioni.
Per realizzare i padiglioni e le infrastrutture (tra cui anche una nuova linea della metropolitana) Riad ha messo in campo una prima tranche da 7,8 miliardi di dollari. A cento paesi verrà garantito accesso a un pacchetto di investimenti per 348 milioni di dollari per dare vita agli espositori. Della vittoria era certo il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, che sfacciatamente prima del voto aveva annunciato di avere a disposizione i 130 voti necessari.
Anche la Corea del Sud è stata abile a muoversi con le sue aziende private (Lg, Samsung, Daewoo), promettendo investimenti e flussi di denaro imparagonabili a quelli di Roma. Ieri il Palais des congrès d’Issy era in estasi durante la presentazione di Busan. I delegati coreani hanno intonato cori da stadio e sventolato bandiere creando qualche tensione con i concorrenti.
Secondo le stime del comitato di Expo per Roma la vittoria avrebbe generato un flusso di denaro enorme: 50,6 miliardi di euro. Avrebbe creato 11mila nuove aziende e 300mila posti di lavoro in più per i prossimi sette anni. Tante le infrastrutture da creare e i cantieri da aprire, nonostante i dubbi per la riuscita del progetto legati al fatto che l’amministrazione capitolina potrebbe non portare a termine i progetti per il Giubileo del 2025.
Fino alla fine, però, Roma non si è data per vinta, nonostante l’assenza a Parigi del presidente del Lazio Rocca e della premier Giorgia Meloni che, in un messaggio, ha invitato i delegati a scegliere Roma: «Portiamo la storia nel futuro!» La loro assenza era già un segnale chiaro.
Alla presentazione di ieri al Bureau International des Expositions erano presenti il sindaco Roberto Gualtieri, il ministro dello Sport Andrea Abodi, e i membri del Comitato per l’Expo guidati dall’ambasciatore Giampiero Massolo. Prima del voto le tre città hanno esposto i loro progetti e coinvolto personaggi pubblici che potessero rivestire il ruolo di influencer. A sponsorizzare la candidatura di Roma sono stati la moglie di Sting, Trudie Styler, l’attrice Sabrina Impacciatore e l’atleta paralimpica Bebe Vio. Appelli sparsi poi del tennista Jannik Sinner e dell’ex sindaca del M5s, Virginia Raggi. Ma non sono bastati a ribaltare un pronostico già scritto da mesi. Neanche l’appoggio pubblico del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è riuscito a colmare il gap rispetto a Riad.
Le colpe
Quando il risultato è diventato ufficiale diversi membri delle opposizioni hanno attaccato il governo accusandolo di avere fatto una «figuraccia» e di aver perso credibilità internazionale. Il primo ad analizzare la sconfitta è stato il capo del comitato, Giampiero Massolo. «È l’Europa, soprattutto con i suoi stati membri, a uscire sconfitta», ha detto a fine incontro. D’altronde la Francia per prima aveva annunciato il suo sostegno a Riad. L’ambasciatore ha parlato di «forti divisioni» interne con stati membri che hanno voltato le spalle all’Italia.
«Noi abbiamo giocato una partita secondo le regole della comunità internazionale e non parlo soltanto di correttezza, parlo del fatto che le competizioni si vincono sui progetti, sulle loro qualità, sulle idee», ha aggiunto prima di puntare il dito. «A noi alcuni delegati hanno detto di essersi promessi al nostro concorrente ben prima che esistessero i progetti e ben prima che tutti i paesi candidati avanzassero le loro candidature». E ha concluso: «Oggi l’Expo, prima i Mondiali di calcio, poi chissà, le Olimpiadi. Non vorrei che si arrivasse alla compravendita dei seggi non permanenti in Consiglio di sicurezza».
Ronaldo per bin Salman
Qualche franco tiratore c’è stato anche per Riad (il voto era segreto). Il governo israeliano lo ha fatto pubblicamente ritirando, alla vigilia del voto, il sostegno alla candidatura di Riad per via del conflitto a Gaza. A dare man forte alla presentazione del progetto saudita a Parigi è stata la stella dell’Al Nassr, Cristiano Ronaldo, che dalla monarchia percepisce un ingaggio da 200 milioni di euro in due anni e mezzo. Le monarchie del Golfo confermano ancora una volta di essere in grado di ospitare kermesse internazionali di grande rilievo: prima Expo a Dubai nel 2020, poi il Mondiale in Qatar 2022, ora la Cop28 a Dubai, il prossimo appuntamento è tra sette anni a Riad. E l’ambizioso progetto economico-politico Saudi Vision 2030 del principe ereditario Mohammed bin Salman è compiuto. Chissà cosa avrebbe scritto oggi Jamal Khashoggi, il giornalista saudita del Washington Post assassinato nel consolato del regno a Istanbul il 2 ottobre del 2018.
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