Venerdì 10 maggio il Pentagono ha ordinato formalmente il ritiro a tutti i mille soldati statunitensi di ritirarsi dal Niger. Lo avevano già annunciato ad aprile, precisando che avrebbero iniziato a discutere i piani per «un ritiro ordinato e responsabile», dopo la decisione della giunta militare di voler revocare l’accordo di cooperazione militare.

Niger: uno stato al centro della geopolitica africana. La Francia è stata mandata via dopo decenni di presenza talvolta invasiva; gli Usa tentavano di restare ma non ce l’hanno fatta. D’altronde sono anni che Washington cerca un paese del continente ove basare il proprio comando strategico africano (Africom) senza trovarlo. Va detto: gli africani hanno dimostrato di non gradire l’intervento militare americano e il Niger non fa eccezione. Per ora rimane l’Italia: troppo piccola per impensierire i nigerini e i loro alleati russi ma anche troppo grande per non risultare un paradosso.

Cosa vogliono esattamente i militari golpisti nigerini? Sicurezza che Mosca offre a buon prezzo, in cambio di qualche pagamento in natura (miniere o simili). Ma il Niger cerca anche nuovi mercati per affrancarsi dalla dipendenza dall’occidente. E qui c’è l’aspetto più pericoloso di tutta la vicenda: l’intenzione di vendere yellow cake, cioè materiale non raffinato contenente uranio, agli iraniani.

La notizia fa il giro del mondo: sarà vera o si tratta solo un ballon d’essai per vagliare le possibili reazioni? E ancora più importante: sarà permesso ai nigerini di vendere uranio a uno dei peggior nemici dell’occidente? Certamente su Gaza in Africa la simpatia va ai palestinesi piuttosto che agli israeliani, ma da questo a trattare con Teheran ce ne passa.

L’inizio dell’operazione

Le forze armate statunitensi erano giunte in Niger a inizio 2013 a supporto di quelle francesi. Si trattava di sostenere la legione straniera con voli di droni nel deserto alla ricerca delle tracce dei jihadisti. Dopo, tuttavia, gli Usa si sono allargati e hanno trasformato la loro presenza in un cardine strategico nei pressi di Agadez (la base aerea 201) che sorveglia tutto il Sahel, dotato di apparecchi di ultima generazione.

Nella base atterravano i più grossi aerei da trasporto, ma ora l’accordo militare è stato revocato unilateralmente da parte di Niamey, che nel contempo ha invitato i russi. Si protesta per il fatto che gli americani – come i francesi – non cooperavano con l’esercito locale e non coordinavano i loro piani. Gli italiani invece lo fanno, così come i nuovi arrivati russi.

Sostanzialmente gli africani non vogliono più basi straniere fuori dal loro controllo: sei il benvenuto solo se si lavora assieme. È noto che la Francia era abituata da decenni a fare diversamente e non ha saputo riconvertire le proprie inclinazioni. Sorprende che gli americani non l’abbiamo compreso prima: anzi dopo il golpe avevano addirittura smesso di condividere con le nuove autorità del paese ospite le informazioni raccolte.

La missione che si è recata a Niamey per tentare di evitare la rottura e rinegoziare l’accordo militare era di alto livello: Molly Phee la sottosegretaria all’Africa accompagnata dalla collega della difesa Celeste Wallander e dal comandante dell’Africom il generale Michael Langley. Eppure non sono riusciti a convincere le autorità militari nigerine. Uno schiaffo per la superpotenza che ora è costretta ad arretrare.

Secondo il predecessore di Phee, Tibor Nagy che ha lavorato nell’amministrazione Trump, la colpa è degli stessi americani che «sono stati inflessibili», non hanno considerato «le priorità di sicurezza del Niger ma si sono concentrati sul ritorno alla democrazia». Un altro errore americano è stato focalizzarsi sui russi invece che sui jihadisti che erano da tempo finiti in secondo piano. Questo non è piaciuto alle autorità locali che preferiscono mantenere l’equidistanza nella contesa sull’Ucraina.

Ora oltre gli italiani rimangono anche i tedeschi. È sempre possibile che a entrambi sia dato il benservito senza alcun preavviso ma per ora le cose procedono, segno che i nigerini non vogliono rompere totalmente con l’Europa. Washington sta trattando per trasferire la base 201 in Costa d’Avorio, Benin o Ghana ma la prudenza è d’obbligo: non si vuole sollevare alcun polverone né provocare la reazione delle opinioni pubbliche africane che reagiscono facilmente alle accuse di neocolonialismo, magari manipolate e istigate dai troll russi. 

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