Domenica sera Vladimir Putin ha presentato al Consiglio della Federazione Russa le nomine per il governo del suo quinto mandato presidenziale.

Poco più di una formalità, in cui è stata annunciata la conferma di quasi tutte le posizioni, eccetto una: Sergei Shoigu, il ministro della Difesa in carica dal 2012, che sarà sostituito dall’attuale vice primo ministro Andrei Belousov, un’economista che non ha mai prestato servizio nelle forze armate, ma che negli ultimi dieci anni ha servito Putin e il Cremlino in qualità di consigliere economico e appunto vice primo ministro.

Il meno liberale

La scelta di Belousov indica l’intenzione di Putin di continuare a militarizzare l’economia russa applicando un controllo molto più rigoroso alla spesa record per la difesa, che ormai ha raggiunto il 6,7 per cento del Pil, avvicinandosi ai livelli dell’Unione Sovietica al culmine della Guerra fredda, come affermato dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.

Detta in altre parole, la missione di Belousov – che ha la fama di tecnocrate incorruttibile oltre che competente – è fare un repulisti in uno degli apparati più corrotti della Federazione Russa, affinché Mosca sia in grado di migliorare nettamente la qualità della produzione di armamenti per continuare a portare avanti la guerra.

Ma probabilmente c’è molto di più. Belousov infatti è un economista di formazione sovietica che considera centrale il ruolo dello Stato nell’economia, è considerato il meno liberale tra i tecnocrati del Cremlino.

Negli ultimi anni ha affrontato questioni critiche come il Covid-19 e le sanzioni occidentali sostenendo che il governo deve stimolare la crescita attraverso investimenti pubblici, tassi d’interesse bassi, politiche fiscali morbide e tasse straordinarie sulle rendite da materie prime (in particolare nei metalli).

Ciò lo ha spesso messo in contrasto con altri importanti tecnocrati, come il ministro delle Finanze Anton Siluanov e la governatrice della banca centrale Elvira Nabiullina, le cui politiche monetarie e fiscali rigorose hanno aiutato la Russia a resistere alla pressione sanzionatoria.

Tuttavia, sono in pochi a contestare che il motivo principale del successo della Russia nel resistere alle sanzioni è stato l’aumento della spesa pubblica in favore dell’apparato militare-industriale, più che triplicata rispetto al periodo prebellico.

Mosca ha costruito un’economia di guerra alimentata dalle entrate del petrolio e dall’aumento della spesa per la difesa, che l’anno scorso ha permesso alla Russia di crescere del 3,6 per cento, con previsioni di crescita superiori al 3 per cento anche per quest’anno.

Questa politica espansiva ha generato notevoli squilibri economici, tra cui l’inflazione elevata e la carenza di manodopera esacerbata dalla coscrizione militare e dall’esodo di centinaia di migliaia di russi.

Criticità che sollevano domande sulla sostenibilità a lungo termine delle attuali politiche del Cremlino, ma che non inducono ad alcun ripensamento.

Da questo punto di vista Belousov è l’interprete ideale di una linea di pianificazione economica ancora più centralista.

La centralizzazione

La nomina di Belousov arriva a pochi giorni dalla pubblicazione dell’Ordine esecutivo presidenziale del 7 maggio «sugli obiettivi di sviluppo della Russia fino al 2030 e per il futuro fino al 2036», un documento con cui Putin presenta la sua visione per i prossimi sei anni di mandato e (per la prima volta) anche per i sei anni successivi.

Il documento riflette uno spostamento della Russia verso il capitalismo di stato e l’isolazionismo economico, finalizzato al raggiungimento di una maggiore autosufficienza economica.

A differenza che in passato, negli obiettivi elencati non si fa menzione di una maggiore concorrenza o di un’economia più aperta, al contrario si mira a ridurre l’interdipendenza nelle importazioni anche in settori in cui il paese sta incontrando enormi difficoltà, come nelle forniture di componenti per l’aviazione civile.

Ciò significa che il ruolo dominante dello Stato nell’economia è destinato ad aumentare.

Appare chiaro infatti che gli obiettivi proposti in questo documento sono realizzabili solo se l’economia continua a crescere in maniera robusta e i livelli di spesa rimangono elevati, ma nella Russia che ha in mente Putin questo è possibile solo intensificando l’esportazione di idrocarburi per finanziare la produzione bellica.

«Invece di fungere da vincolo, l’economia russa sempre più strutturalmente militarizzata potrebbe diventare un incentivo per prolungare la guerra in Ucraina», scrive l’economista Elina Ribakova in un’analisi sul Financial Times, sottolineando che i risultati positivi di Mosca nella militarizzazione dell’economia potrebbero spingere Putin e i suoi funzionari a raddoppiare lo sforzo per scongiurare lo spettro del collasso economico.

Una traiettoria che sembra quasi ricordare la corsa agli armamenti che portò all’implosione dell’Unione Sovietica.

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