Alla guida dei Paesi Bassi per 13 anni, pro-austerity e deciso sostenitore di Kiev: chi è l’ex premier olandese che molto probabilmente sostituirà Stoltenberg alla guida dell’Alleanza atlantica. Decisivo il ritiro del veto di Orbán. La nomina dovrebbe arrivare a luglio al vertice di Washington
Strada spianata per Mark Rutte a segretario generale della Nato. Dopo il passo indietro del presidente della Romania Klaus Iohannis, l’ex premier dei Paesi Bassi è l’unico candidato in corsa per sostituire Jens Stoltenberg alla guida dell’Alleanza atlantica: il suo mandato scade il primo ottobre, dopo che è stato prorogato per due volte – nel 2022 e nel 2023 – per via della guerra in Ucraina.
Negli scorsi giorni era caduto anche il veto del primo ministro ungherese Viktor Orbán, decisione che aveva fatto da apripista all’accordo che prevede l’unanimità dei 32 Stati membri.
Chi è Mark Rutte
Uno dei politici europei di più lungo corso, Rutte ha guidato ininterrottamente il governo dei Paesi Bassi per 13 anni, dal 2010 al luglio scorso, fino alle elezioni che hanno decretato la vittoria di Geert Wilders. Il via libera del futuro numero uno della Nato al nuovo esecutivo di coalizione è stata anche la condizione per sbloccare l’impasse, dopo oltre sei mesi di lunghe trattative, e per garantirsi l’appoggio del suo paese alla nomina.
Nato a L’Aia nel 1967, la città delle corti internazionali, ha iniziato a far politica tra i giovani liberali del Partito popolare per la libertà e la democrazia (Vvd), che ha guidato poi dal 2006 al 2023. Prima di diventare premier – il 14 ottobre 2010 – è stato segretario di Stato per l’istruzione e l’occupazione, e poi ha ottenuto la delega per l’istruzione, la cultura e la scienza.
Liberal-conservatore vecchio stampo, pro-mercato e fautore dell’austerity, la storia di Rutte sui palcoscenici europei è stata contraddistinta da una serie di scontri con l’Italia (anche con qualche caduta di stile). Leader dei paesi frugali, l’ex premier olandese è stato spesso il volto dei «no» rivolti al nostro paese e ad altri partner mediterranei, Grecia in primis, quando a Bruxelles si discuteva di prestiti da erogare. Fino al periodo del Covid, quando il suo veto sull’emissione di debito comune europeo è stato l’ultimo a cadere.
Sulla scena internazionale, Rutte è stato dall’inizio tra i più convinti sostenitori dell’Ucraina: i Paesi Bassi sono stati i primi ad aprire all’invio di F-16 a Kiev. Sull’immigrazione, poi, ha avuto sempre una linea dura. L’ex premier olandese era con Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen a Tunisi per per firmare patto con Kais Saied.
I prossimi passi e le sfide della Nato
Dopo il venir meno degli ultimi veti, la nomina di Rutte – che necessita dell’unanimità di tutti i 32 componenti, ma che gode da tempo l’appoggio degli Stati Uniti – dovrebbe concretizzarsi nel vertice che si terrà a Washington dal 9 all’11 luglio, dove verranno festeggiati i 75 anni dell’alleanza, per poi prendere il posto di Stoltenberg dal primo ottobre.
Rutte prenderà la guida Nato con davanti a sé una serie di sfide. Anzitutto da oltreoceano, con all’orizzonte un possibile ritorno di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti. È nota la sua avversione verso l’Alleanza atlantica: durante i quattro anni di Trump alla Casa Bianca, il presidente francese Emmanuel Macron è arrivato a definire l’alleanza «celebralmente morta», salvo poi riprendersi – paradossalmente – “grazie” a Vladimir Putin e all’invasione dell’Ucraina.
C’è poi la questione del due per cento, la quota di Pil richiesta ai paesi membri ma che pochi finora – Usa, Regno Unito e Grecia – hanno soddisfatto.
L’eventuale rielezione di Trump è legata a doppio filo con il coinvolgimento della Nato in Ucraina. Sull’appoggio a Kiev il tycoon non ha mai nascosto la sua “timidezza”, mentre negli ultimi mesi le dichiarazioni di Stoltenberg e di alcuni leader europei – Macron in testa – hanno alzato l’asticella: dall’invio di armi occidentali per colpire il territorio russo fino alla possibilità di schierare soldati Nato sul campo.
Le altre priorità, come delineate dal concetto strategico del 2022 (che ha aggiornato l’ultimo del 2010), riguarderanno soprattutto le sfide ibride e il confronto con la Repubblica popolare cinese, definita «competitor strategico» più che avversario militare. Ma la Nato non potrà non guardare a Pechino e alle tensioni con Taiwan.
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