Da venerdì 15 aprile e fino al 22 aprile, in edicola e in digitale un nuovo numero di SCENARI, 20 pagine di approfondimenti inediti firmati da Dario Fabbri, Mara Morini, Francesco Strazzari, Matteo Pugliese e tanti altri, con le mappe a cura di Fase2studio Appears
Il nuovo numero di Scenari, la pubblicazione geopolitica di Domani, è dedicato a La guerra infinita: i paesi baltici temono di essere i prossimi sulla lista di Putin, la Scandinavia si ripara sotto l’ombrello della Nato, le democrazie “orbanizzate” flirtano con Mosca e Pechino. Sono queste le metastasi del primo conflitto globale del nostro secolo.
Oltre ad approfondimenti inediti firmati da Dario Fabbri e altri analisti, le mappe curate dal nostro cartografo Luca Mazzali (faseduestudio/Appears) supporteranno la rappresentazione dei tragici eventi di queste settimane di guerra in Ucraina.
Nel suo punto sulla situazione ucraina, Comunque vada, il fallimento della Russia è già evidente, Dario Fabbri analizza i motivi per cui la Russia ha già perso la guerra: se negli ultimi anni Mosca era riuscita a raccontarsi come un soggetto eccezionalmente efficace e minaccioso a fronte di un relativo dispendio di energie, le disastrose operazioni attuate in Ucraina squarciano inevitabilmente tale propaganda e non la rendono più percorribile.
Dopo aver provocato migliaia di morti tra la popolazione civile e un imprecisato numero di caduti tra i propri soldati, il Cremlino si trova infatti a battersi per un brandello di terra, il Donbass, che era già largamente dalla sua. Danno ingente e fallimento innegabile della guerra.
Il politologo Stathis Kalyvas descrive quali sono i fattori chiave della resistenza ucraina e in che modo l’insurrezione può neutralizzare la superiorità militare di Mosca: la battaglia di Voznesensk di inizio marzo ha infatti dimostrato che un’azione coordinata tra l’esercito di Kiev, milizie locali e civili ordinari è in grado di fermare l’occupazione e sconfiggere l’invasore, anche in un lungo conflitto d’attrito.
A seguire, nel saggio La guerra di Putin segna la fine della neutralità scandinava, Matteo Pugliese spiega cosa cambia in Scandinavia con la guerra in Ucraina. Putin credeva che l’occidente fosse debole e diviso, ma il suo attacco lo sta rafforzando.
I paesi del nord Europa, per decenni alleati “esterni” del blocco euro-atlantico, ora si schierano con decisione con l’alleanza militare: Svezia e Finlandia stanno valutando di abbandonare la storica neutralità ed entrare nella Nato, la Danimarca voterà un referendum per aderire pienamente alla politica di difesa europea, la Norvegia avrà un ruolo di primo piano nell’Artico, regione sempre più strategica.
Dalla prospettiva del fianco orientale, inviato dalla grande area militare di Tapa, in Estonia, Davide Maria De Luca documenta come il più piccolo dei tre Paesi baltici sia quello che più teme un’invasione russa, e come le truppe della Nato sul confine si stiano preparando allo scenario che nessuno desidera. Ne parla nel primo articolo del suo reportage I paesi baltici temono di essere i prossimi sulla lista di Putin.
Di nuovo Matteo Pugliese, nel suo pezzo Per Mosca è la Bulgaria il ventre molle dell’Europa, esamina il caso del paese che grazie ai legami storici e culturali, la comunanza ortodossa e il passato sovietico, ha mantenuto fino a oggi un rapporto speciale con la Russia. Secondo una ricerca del 2020 del Pew research centre, la Bulgaria è infatti il paese dell’Unione europea con la visione più favorevole della Russia (73 per cento) e quella più bassa a favore della Nato (42 per cento).
Benché la maggioranza dei bulgari si siano espressi a favore di una via europeista nelle elezioni dello scorso novembre, restano preoccupanti i segnali di manifestazioni filorusse come quella di Vazrazhdane, e in generale l’atteggiamento del paese verso l’Ucraina resta ambiguo.
A seguire, Francesco Strazzari approfondisce l’anatomia del massacro di Bucha. Chi ha commesso le atrocità le ha lasciate esposte a tutte le telecamere del mondo. Se sia un massacro pianificato o una serie di crimini commessi in momenti diversi sulla stessa scena, ce lo diranno le inchieste, i rilievi forensi. Ma nelle fosse comuni ritrovate alla periferia di Kiev svanisce il mito coltivato in occidente di un Putin a-ideologico: non ci troviamo solo davanti a crimini di guerra, ma all’incedere di un conflitto fratricida voluto per trasformare la natura stessa della Russia.
La politologa Mara Morini, l’esperta di Russia di Domani, si interroga poi su quanto possiamo fidarci dei sondaggi condotti in Russia su Vladimir Putin. Quando si diffondono i dati di sondaggi russi o, più in generale, dei regimi non democratici, vi è una naturale predisposizione a ritenere infondate le informazioni che rilevano le opinioni di un campione rappresentativo della popolazione. Eppure, sia che siano forniti da enti più indipendenti o filogovernativi, i numeri non sono così discordanti: la fiducia verso il governo russo è in aumento, e la maggioranza degli intervistati approva «l’operazione militare» in corso.
Nell’articolo dal titolo Il processo di orbanizzazione dell’Ungheria, la politologa Edit Zgut analizza invece come il sistema politico ungherese potrebbe avere appena raggiunto un punto di non ritorno: Viktor Orbán non ha solo stravinto le elezioni politiche tenutesi il 3 aprile scorso, ma ha deformato in modo permanente il sistema democratico, sterilizzando gli oppositori e rendendo impossibile qualsiasi alternativa. Dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina, Orbán ha spostato la sua campagna sull’agenda “sicurezza e stabilità”, presentando con successo false dicotomie, e alimentando oltraggiosi sentimenti anti-ucraini.
Infine, l’analista Federico Borsari sposta l’attenzione su uno dei sistemi di difesa aerea dalle maggiori prospettive di crescita nel mercato internazionale: dalla guerra civile siriana al lungo assedio di Khalifa Haftar contro Tripoli, passando per il Nagorno-Karabakh e l’attuale conflitto in Ucraina, abbondano gli esempi e le conferme di un ruolo sempre più centrale ricoperto dai velivoli a pilotaggio remoto – comunemente noti come droni – nella condotta delle operazioni militari. Il clamore mediatico ha indotto il dibattito mainstream e vari osservatori a parlare dei droni come di un’“arma definitiva” e “rivoluzionaria” in grado di decidere le sorti di un conflitto. Ma quanto di questa raffigurazione trova riscontro nella realtà?
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