- In Francia continuano proteste e scioperi alimentati non soltanto dalla speranza nell’improbabile revoca della riforma delle pensioni, ma anche da una più profonda insoddisfazione verso il funzionamento delle istituzioni.
- Tra i manifestanti e gli esponenti della sinistra, alcuni denunciano addirittura una «deriva monarchica». Non a caso, uno dei manifesti più ricorrenti nelle proteste contro la riforma delle pensioni sovrappone il volto di Emmanuel Macron al ritratto di re Luigi XVI.
- «La crisi di fiducia dei francesi verso le istituzioni non è nuova, ma il modo d’agire di Macron e del suo governo l’hanno aggravata notevolmente», spiega il politologo Pascal Perrineau.
«La Sesta repubblica o niente!». Così recitava la scritta lasciata dai manifestanti sull’enorme pannello che protegge una delle due fontane di piazza della Concordia, a Parigi, dopo la protesta di giovedì scorso contro la decisione del governo francese di forzare l’approvazione della riforma delle pensioni senza il voto dell’Assemblea nazionale.
Una settimana più tardi, quella scritta è stata rimossa e il contestatissimo disegno di legge ha superato la prova delle mozioni di censura, avviandosi verso la promulgazione. Proteste e scioperi però continuano, alimentati non soltanto dalla speranza nell’improbabile revoca della riforma, ma anche da una più profonda insoddisfazione verso il funzionamento delle istituzioni.
Nelle piazze, sui social e nelle dichiarazioni della sinistra si moltiplicano gli appelli per il superamento della Quinta repubblica, l’assetto costituzionale in vigore dal 1958, accusato di attribuire poteri smisurati a un presidente spesso eletto più per paura dell’alternativa che per reale adesione al suo progetto politico.
Deriva monarchica
Tra i manifestanti e gli esponenti della sinistra, alcuni denunciano addirittura una «deriva monarchica». Non a caso, uno dei manifesti più ricorrenti nelle proteste contro la riforma delle pensioni sovrappone il volto del presidente al ritratto di re Luigi XVI, il sovrano decapitato dopo la rivoluzione del 1789.
Emblema di questa pratica del potere verticale, centralizzata e poco propensa al compromesso, è il famigerato 49.3, il comma della Costituzione che permette al governo di far passare un testo schivando il voto dell’Assemblea nazionale, a meno che questa non approvi una mozione di censura a maggioranza assoluta.
Nei 65 anni di vita della Quinta repubblica questo meccanismo è stato attivato ben cento volte, ma mai con la frequenza con la quale vi fa ricorso l’esecutivo guidato da Élisabeth Borne: undici volte in 10 mesi di governo, una ogni 28 giorni.
Crisi di fiducia
«La crisi di fiducia dei francesi verso le istituzioni non è nuova, ma il modo d’agire di Macron e del suo governo l’hanno aggravata notevolmente», spiega il politologo Pascal Perrineau. Secondo un sondaggio realizzato dall’istituto OpinionWay per il Centro di ricerche politiche dell’università Sciences Po di Parigi, lo scorso febbraio la percentuale di cittadini che dicono di fidarsi delle istituzioni ha toccato i livelli più bassi dalla crisi dei gilet gialli: meno del 30 per cento per la presidenza, il governo e l’Assemblea nazionale.
«La Costituzione della Quinta repubblica è flessibile – continua Perrineau – permette un esercizio presidenziale in caso di maggioranza forte e parlamentare in caso di maggioranza debole o coabitazione. Macron ha scelto la via presidenziale nonostante non abbia la maggioranza assoluta in parlamento».
Durante la campagna per le presidenziali del 2017, l’allora candidato Macron aveva promesso un ampio progetto di riforma delle istituzioni con l’obiettivo di «ristabilire un legame di fiducia tra la nazione e i suoi rappresentanti», sempre però nel quadro semi-presidenziale della Quinta repubblica.
Tra le proposte, la riduzione del numero dei parlamentari, l’imposizione del limite di tre mandati consecutivi, l’introduzione di una parte di proporzionale nelle elezioni legislative, il potenziamento delle funzioni di controllo del parlamento, l’allentamento dei requisiti per l’utilizzo del referendum. Il disegno di legge era approdato all’Assemblea nazionale nel 2018, per poi finire nel nulla.
Nel 2022, altra promessa: «La sovranità popolare è di ritorno», aveva detto il presidente all’avvio della campagna per la rielezione, annunciando un «cantiere della democrazia». Da allora di quel cantiere non si sono viste nemmeno le impalcature, ma lo scorso gennaio Stéphane Séjourné, segretario del partito di Macron, ha assicurato: «Dopo le pensioni, sarà il turno della riforma delle istituzioni».
La crisi sociale e politica innescata dall’ultimo 49.3 rischia però di compromettere il progetto presidenziale: per apportare modifiche alla Costituzione serve l’approvazione tramite referendum o voto favorevole dei tre quinti del parlamento, scenari al momento difficilmente immaginabili.
Intervento urgente
Pascal Perrineau concorda però sull’urgenza di un intervento legislativo in questo senso: «È necessario riequilibrare il rapporto di forza tra i poteri in favore del parlamento. Si può pensare per esempio di potenziare le commissioni e limitare le possibilità di ricorso al 49.3 e agli altri meccanismi che attualmente permettono al governo di intervenire nel processo legislativo».
Sulla proposta di un cambio di regime verso un sistema parlamentare, avanzata dalla sinistra di Jean-Luc Mélenchon, il politologo è invece scettico: «Certo, il parlamentarismo permetterebbe alla nostra classe politica di sviluppare la cultura del compromesso, che oggi manca. Ma i francesi tengono molto all’elezione diretta del presidente e non vogliono l’instabilità che spesso caratterizza i regimi parlamentari. La Quinta repubblica va certo riformata, ma buttarla via in toto sarebbe imprudente».
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