Le versioni della telefonata di ieri fra Joe Biden e Vladimir Putin non convergono: se gli americani insistono sull’«impegno incrollabile» nel sostenere la sovranità dell’Ucraina e chiedono a Mosca di allentare le tensioni sul confine, i russi modellano il messaggio con toni leggermente più concilianti, orientati alla mediazione. Cosa che troverà espressione concreta, almeno nelle intenzioni, in un vertice nei prossimi mesi in un paese terzo. La telefonata fra i leader è arrivata nel mezzo di una giornata concitata fra Mosca e Washington, passando per Bruxelles.

Ieri mattina la Cnn ha diffuso la notizia della presenza di numerosi carri armati russi al confine dell’Ucraina, interpretando questa azione come un segnale concreto di un imminente attacco militare. Nel frattempo il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, si è recato sulla linea del fronte Donbass, si è intrattenuto con i militari e ha invitato il «mondo occidentalizzato» a mostrare «unità in questi tempi difficili e minacciosi perché non si ripetano i drammi della Seconda guerra mondiale».

Successivamente Zelensky è partito per la Turchia per incontrarsi con il suo omologo Erdogan, che gli avrebbe garantito il sostegno all’integrità territoriale dell’Ucraina.

L’accelerazione

Nel giro di poche ore si è verificata un’accelerazione dello scontro verbale e politico tra il Cremlino e la controparte ucraina e americana. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zacharova, ha infatti smentito la notizia diffusa dalla Cnn: «Capiamo che non avete tempo per fare fact-checking, così in profondità nella lotta ideologica in nome del trionfo del liberalismo. Ma non a tal punto da riuscire a far passare i carri armati in una stazione ferroviaria ucraina sullo sfondo dei vagoni ucraini come la preparazione alla guerra della Russia».

Il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, ha sottolineato che la presenza dell’esercito russo non deve destare alcuna preoccupazione perché è un diritto di uno stato sovrano spostarsi nel proprio territorio mentre non vi è alcuna spiegazione della presenza di navi e militari americani che «organizzano in continuazione varie attività con la collaborazione della Nato in Ucraina a migliaia di chilometri dal proprio territorio».

Il ministro russo della Difesa, Sergej Shoigu, al canale televisivo Rossija 24 ha elencato i numeri delle truppe Nato e Usa ai confini con la Russia: 40mila uomini e 15mila mezzi bellici presenti intorno al mar Nero e al Baltico a cui si aggiungono altri uomini e mezzi trasferiti dagli Usa in Europa nelle ultime settimane.

Da “partner occidentali”, per la prima volta, la Russia, nelle parole del viceministro degli esteri Sergej Rjabkov, definisce gli Stati uniti come un «nemico (…) che fa di tutto per minare la posizione della Russia nell’arena internazionale. Noi difendiamo i nostri interessi, gli interessi dei nostri cittadini e quelli della popolazione russofona. E continueremo a proteggerli». Anche il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov assicura che «la Russia non è una parte del conflitto e che i membri del quartetto Normandia, a eccezione dell’Ucraina, lo capiscono».

Le parole di Stoltenberg

Il punto di vista del Cremlino è che dinanzi alla eventualità di una guerra civile in Ucraina, la Russia abbia tutto il diritto di prendere le misure necessarie per garantire la propria sicurezza nazionale e dei cittadini, compresi anche quelli filorussi in Donbass.

Di tutt’altro avviso è il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che ha ribadito il sostegno «politico e pratico» al presidente Zelensky e ha fortemente denunciato «l’ingiustificato, inspiegabile e profondamente preoccupante» ammasso militare della Russia.

Oramai i posizionamenti degli attori coinvolti sembrano chiari. Da un lato gli Usa e la Nato a sostegno del presidente ucraino, e dall’altro la Russia di Putin che attribuisce agli Stati Uniti e alla Nato la colpa di trasformare l’Ucraina in una polveriera.

 

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