- Secondo le fonti consultate dal New York Times, il sabotaggio del Nord Stream, avvenuto il 26 settembre scorso, sarebbe stato compiuto da «un gruppo pro Ucraina».
- Secondo quanto riportato, non ci sono prove che la presidenza ucraina fosse a conoscenza dell’operazione o che abbia, tanto più, fornito supporto ai sabotatori.
- Sarà necessaria una verifica indipendente sulle prove, o almeno una parte di esse, in possesso degli Stati Uniti.
Secondo le fonti consultate dal New York Times, il sabotaggio del Nord Stream, avvenuto il 26 settembre scorso, sarebbe stato compiuto da «un gruppo pro Ucraina». L’intelligence non ha meglio specificato la natura e la composizione del gruppo, presumibilmente composto da oppositori ucraini e russi di Vladimir Putin. Non è chiaro se queste informazioni siano in possesso dei servizi statunitensi.
Il portavoce per la sicurezza nazionale, John Kirby, ha detto che sul sabotaggio del Nord Stream sono attualmente in corso tre indagini, confermando esclusivamente la pista dolosa. Ha poi aggiunto che solo alla fine delle indagini gli Stati Uniti decideranno una propria linea d’azione.
Secondo quanto riportato dal New York Times, non ci sono prove che la presidenza ucraina fosse a conoscenza dell’operazione o che abbia fornito supporto ai sabotatori. Questo confermerebbe la versione ribadita da Kiev dopo la pubblicazione dell’articolo, con Volodymyr Zelensky che si era già in precedenza dichiarato estraneo al sabotaggio.
Il gasdotto
Il gasdotto giace a circa 60 metri sotto il livello del mare ed era stato progettato per facilitare la fornitura di gas russo alla Germania e al resto d’Europa connettendo, appunto, la Russia all’Europa attraverso il mar Baltico, aggirando Europa orientale e Ucraina. Uno dei due rami del gasdotto, il Nord Stream 1, era stato operativo fino all’inizio di settembre, ossia fino all’imposizione di un price cap europeo sul petrolio russo e al successivo taglio della fornitura da parte di Gazprom.
Il Nord Stream 2, invece, era già stato colpito dalle sanzioni tedesche contro la Russia il 22 febbraio 2022, prima dell’invasione militare dell’Ucraina. La società che lo gestiva ha poi dichiarato bancarotta. A confermare l’ipotesi di sabotaggio, di per sé probabile data la vicinanza temporale tra le esplosioni, furono le autorità giudiziarie svedesi.
Un gap d’intelligence
Se confermato da ulteriori prove, questo «primo passo» nella ricostruzione della vicenda comincerebbe a riempire un enorme vuoto di informazioni su un evento cruciale del primo anno di guerra in Ucraina.
Nell’intelligence americana si è acceso un dibattito sulla veridicità delle informazioni contenute nel report, nonché sul grado di pubblicità da accordare a quanto appreso dagli apparati. Rimangono ignote al pubblico, infatti, le prove di quanto dichiarato, oltre che la natura delle fonti e i dettagli della ricostruzione. La tesi, se confermata, scagionerebbe i governi di Stati Uniti, Russia e Ucraina, sospettati da più parti di aver commissionato o ordinato l’atto di sabotaggio.
In particolare, sembra ormai da escludere la pista che portava a un’azione partita dal suolo russo e condotta grazie a dell’esplosivo caricato sui robot da manutenzione, regolarmente impiegati all’interno delle tubature. Infatti, risulta che siano stati dei sommozzatori a piazzare le cariche sulle tre condutture fatte esplodere al largo della Danimarca.
Il sollievo tedesco
La mancanza del coinvolgimento del governo ucraino rappresenterebbe, invece, un “sollievo” per la Germania, altrimenti costretta a bilanciare il proprio supporto per il paese invaso con la responsabilità di quest’ultimo, che ora sembra esclusa, di un attacco a un’infrastruttura strategica del paese.
Proprio la cancelleria tedesca ha comunicato di «aver preso atto» del report e ha ribadito che investigazioni indipendenti in Germania, Svezia e Danimarca sono in corso sin dall’ottobre 2022, come già spiegato al Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Uno studio condotto da Ard, Swr e Zeit, tre media tedeschi, conferma la «pista ucraina» e descrive uno scenario molto preciso. Gli investigatori tedeschi sarebbero stati in grado di identificare l’imbarcazione utilizzata dai sabotatori, uno yacht polacco noleggiato con passaporti falsi, ma non la provenienza dei sabotatori né i committenti dell’azione. Ad agire sarebbero stati in sei, cinque uomini e una donna, di cui solo due avrebbero agito come sub.
La Russia, secondo Reuters, avrebbe già deciso di non procedere alla riparazione delle tubature danneggiate in funzione del cambio radicale dei rapporti politici ed energetici con l’Europa dopo l’invasione dell’Ucraina.
I dubbi
Non mancano, tuttavia, i dubbi su alcuni elementi del report. Innanzitutto, sarà necessaria una verifica indipendente sulle prove, o almeno una parte di esse, in possesso degli Stati Uniti. Al di là del merito e dei sospetti ricaduti proprio su Washington, affidarsi a dichiarazioni e informazioni non verificate richiede un atto di fede.
Lo stesso atto di fede, d’altro canto, richiesto anche da Seymour Hersh che, circa un mese fa, affermava in un articolo non accettato da nessuna testata di aver consultato una fonte anonima e di avere la sicurezza che il sabotaggio fosse avvenuto durante un’esercitazione della Nato. Proprio Hersh ha detto, in un’intervista con il giornale russo Izvestia, che pubblicherà una nuova inchiesta sulla vicenda, contestando nuovamente la versione riportata dal New York Times.
Più concretamente, andrebbe attestata la fattibilità dell’azione da parte di un «gruppo» senza connessioni governative. Se compiuto per mezzo di cariche esplosive piazzate da sub, un sabotaggio di questo tipo richiede addestramento, attrezzature e mezzi di alto livello, difficilmente in possesso di attori non statali senza legami con gli apparati militari.
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