Il principale polo tecnologico cinese raddoppierà gli investimenti per la crescita dell’industria locale di chip. La decisione di garantire sussidi alle aziende di semiconduttori che operano sul territorio arriva a breve distanza dalle restrizioni Usa sulle esportazioni
La città di Shenzhen, principale polo tecnologico cinese, raddoppierà gli investimenti per la crescita dell’industria locale di chip. La metropoli è la seconda piazza finanziaria della Repubblica popolare (dopo Shanghai) e costituisce lo snodo principale per i flussi commerciali con Hong Kong.
La decisione di garantire sussidi alle aziende di semiconduttori sul territorio arriva a breve distanza dalle restrizioni commerciali operate da Washington.
Il piano
Il governo di Shenzhen si impegna a pagare ogni anno il 20 per cento, o fino a 10 milioni di yuan (1,4 milioni di dollari), delle spese in ricerca e sviluppo per i chip di fascia alta, sia per “uso generale” sia per “scopi speciali”.
Secondo una bozza del piano di investimenti pubblicata dall’agenzia di pianificazione economica di Shenzhen, l’amministrazione supporterà anche la produzione di circuiti integrati a base di silicio e il confezionamento di chiplet (minuscoli componenti elettronici) necessari a più livelli lungo la catena di approvvigionamento. Sono previsti poi bonus di 30 milioni di yuan per aziende leader – cinesi o straniere – che avviano operazioni nella metropoli, e premi fino a 5 milioni per il personale.
ll presidente Xi Jinping in una riunione del mese scorso aveva parlato della necessità di insistere sullo sviluppo delle tecnologie che svolgono un ruolo cruciale nella sicurezza nazionale e di adottare, in tal senso, un “nuovo sistema paese” basato su decisioni centralizzate.
Quello pianificato a Shenzhen appare come un tentativo di accelerare lo sviluppo dell’industria locale in un settore particolarmente strategico, a pochi giorni dalla stretta sulle esportazioni annunciati dal governo americano.
Le restrizioni Usa
L’Ufficio per l'industria e la sicurezza del Dipartimento del commercio degli Stati Uniti ha pubblicato, venerdì 7 ottobre, una serie di limitazioni all’export, che impediranno alle aziende di vendere a Pechino strumenti utili alla produzione di chip.
Hardware o software con componenti “made in Usa” non potranno entrare nel mercato cinese, in una misura che coinvolge tutte le aziende, americane e non.
Alla riapertura delle borse, lunedì mattina, l'indice Hang Seng Tech, che rappresenta le 30 maggiori società tecnologiche quotate a Hong Kong, ha registrato una perdita del 4,2 percento. Il colosso cinese Semiconductor manufacturing international corp è sceso del 3,8 percento.
La decisione presa dall’amministrazione Biden è coerente con la volontà di liberarsi dalla dipendenza commerciale, limitando l’accesso della Cina ai semiconduttori e ad altre tecnologie chiave.
Una volontà resa chiara già ad agosto con i divieti imposti a due leader del settore come Advanced Micro Devices e Nvidia, poche settimane dopo la firma del Chips and Science Act: incentivi per 53 miliardi di dollari a produrre semiconduttori su suolo americano.
La portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha descritto le restrizioni americane come un mezzo per «mantenere l'egemonia tecnologica».
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