- Quando presero il potere i militari argentini si trovarono a gestire la manifestazione, assegnata prima del golpe. Sulle prime prevalse il fastidio, a causa dell’attenzione mediatica che sarebbe andata a concentrarsi sul paese
- Il regime provò poi a convertire la manifestazione in uno strumento di propaganda, per proiettare all’estero l’immagine di un paese “normale”, con grande mobilitazione delle ambasciate all’estero
- Il governo si avvalse anche di appoggi Usa (sia sul piano diplomatico che della comunicazione). Ma gli sforzi furono efficaci solo in patria, dove i media era controllati e complici.
Oggi parleremmo di sportwashing. Cioè di uso dello sport e della sua carica simbolica positiva a beneficio di un’operazione di ripulitura dell'immagine da parte di regimi politici non democratici o di soggetti dell'economia globale irrispettosi delle elementari regole ambientali e sindacali.
Ma nel 1978 il concetto di sportwashing non esisteva. Sicché bisogna ricorrere a un vocabolario più tradizionale per etichettare l'operazione comunicativa imbastita dalla dittatura dei generali argentini per sfruttare la fase finale dei mondiali di calcio ospitata quell’anno. Più appropriato parlare di propaganda e controinformazione.
Una vasta campagna per la diffusione di fasulle rappresentazioni della situazione e informazioni irreali. Condotta con grande sforzo per la macchina comunicativa governativa e con l’apporto fondamentale delle rappresentanze diplomatiche argentine insediate all’estero. Con in più un soggetto di matrice curiosa, ben noto per chi ha approfondito la nerissima storia della dittatura militare del generale Jorge Rafael Videla: il Centro Piloto de Paris, un centro culturale aperto nella capitale francese per impulso della locale ambasciata.
Si trattava di un’organizzazione che smistava spie governative da infiltrare nei gruppi di esuli e rifugiati politici argentini, ma che aveva anche il compito di confezionare ciò che oggi i professionisti delle fake news definirebbero “versioni alternative” sul regime militare argentino. Bisognava vincere all’estero la guerra della propaganda per lasciare che in patria o macellai continuassero ad agire indisturbati.
Direttiva n. 1
Questo e molto altro è stato raccontato a più riprese da Pagina 12, quotidiano della sinistra argentina che da qualche mese a questa parte ha preso a esporre documenti ufficiali sul periodo della dittatura che sono stati declassifcati, cioè sgravati dal segreto di stato.
E nella vasta mole di documenti ve ne sono alcuni che si riferiscono alla fase finale del mundial, mostrando in quale misura la manifestazione sia stata oggetto un pesante lavoro di manipolazione.
In prima battuta quel mondiale assegnato all’Argentina prima che il golpe venisse consumato fu trattato con fastidio dai generali, poiché il circo mediatico internazionale avrebbe puntato per oltre un mese l'attenzione sul paese col rischio che venisse mostrata nella sua evidenza la macchina della sanguinaria repressione fin lì oggetto di indimostrate indiscrezioni.
Ma preso atto che la manifestazione andasse comunque ospitata, il regime pensò di convertire il rischio in opportunità. Se ben utilizzato, il calcio poteva essere un’arma di distrazione di massa. E per raggiungere questo obiettivo il regime si mosse a partire dall'estate del 1977, quando alla celebrazione dei mondiali (1-25 giugno 1978) mancava meno di un anno.
Il quadro strategico dell’operazione è delineato nella “Direttiva n. 1 di diffusione all’estero”, il cui testo è stato visionato dai cronisti di Pagina 12 e parzialmente riportato in immagine nell'articolo pubblicato qualche giorno fa. La Direttiva n. 1 è datata 15 agosto 1977. Un giorno che fra l’altro registrò un passaggio diplomaticamente importante.
È infatti la data in cui si celebrò alla Casa Rosada un incontro fra il generale Jorge Rafael Videla, presidente golpista, e l’allora segretario di stato aggiunto Usa agli Affari interamericani, Terence Todman. Un soggetto, quest’ultimo, che come fa notare Pagina 12 avrebbe continuato a coltivare relazioni con l’Argentina poiché, da ambasciatore a Buenos Aires negli anni Novanta, terrà stretti rapporti col presidente Carlos Menem nella fase storica in cui veniva la bancarotta di un paese.
Rapporti con gli Usa
E a proposito dei rapporti tra Todman e Videla, il web restituisce un altro documento declassificato del Dipartimento di Stato Usa datato 27 settembre 1977, in cui si raccomanda di sostenere il generale Videla dalle insidie di un conflitto interno con l'ammiraglio Emilio Eduardo Massera, altro elemento apicale della giunta golpista.
Nel dispaccio Videla viene addirittura presentato come un protettore dei diritti umani rispetto all’autoritarismo di Massera. E il messaggio si chiude col riferimento a un’azione di «arms transfers to Argentina». Evidente che tutto quanto sia conseguenza dell’incontro tenuto un mese e mezzo primo alla Casa Rosada.
Campagne di “discredito”
Come detto, quel 15 agosto del 1977 è anche la data del documento con cui viene delineato per la prima volta l’utilizzo propagandistico del mundial. Il documento fu inviato alle ambasciate argentine e il destinatario della copia riprodotta da Pagina 12 nell’articolo è Enrique Ruiz Guiñazú, a capo della sede diplomatica dell’allora Germania Ovest a Bonn.
L’incipit del testo traccia il quadro della narrazione in cui deve collocarsi l’operazione propagandistica manovrata dal ministero degli Esteri, dicastero nelle mani della Marina militare retto in quei mesi dal viceammiraglio Oscar Antonio Montes: «La repubblica argentina è oggetto di una vasta campagna di discredito internazionale, strumentalizzata da bande terroriste che hanno agito nel nostro paese e che, attualmente, stanno operando all’estero».
Rispetto a questo stato (immaginario) di cose il ministero decise di passare al contrattacco creando una Direzione generale della stampa e della diffusione. Lo scopo era confezionare e diffondere una contro-narrazione positiva per l’immagine del paese e del regime militare.
Alle rappresentanze diplomatiche argentine all’estero fu richiesto di collaborare all’operazione di divulgazione, che doveva essere condotta tramite l’utilizzo di eventi culturali, circostanze pubbliche edificanti, personaggi che dessero lustro alla nazione, ma soprattutto il mondiale del 1978.
Secondo quanto riferisce l’articolo di Pagina 12, in quei giorni di agosto 1977, la Coppa del Mondo era già un’ossessione per la giunta militare. Che oltre a mobilitare i corpi diplomatici esteri puntava molto sulle redazioni dei media nazionali e sulla loro capacità di attivare le reti di relazioni costruite con media e colleghi stranieri per veicolare false notizie e rappresentazioni artificiali del paese che nei mesi successivi avrebbe ospitato la Coppa del Mondo.
Media di regime
Fra i tanti nemici del mondiale argentino ce n’era uno che il regime dei generali temeva in modo particolare: il Comité de Boicot de la Organización del Mundial de Fútbol en la Argentina (Coba). Il Coba era riuscito a costituire un giornale da 120mila copie dalla denominazione identica a quella del quotidiano sportivo francese, l’Équipe.
A questa capacità di informazione avversa il regime decise di rispondere con una poderosa struttura della comunicazione che prevedeva, oltre a visite in Argentina da parte di personaggi sportivi famosi, la costruzione di una capillare struttura nelle ambasciate che prevedeva, in ogni sede diplomatica estera, un addetto specificamente dedicato a occuparsi di divulgare la narrazione di un mondiale non toccato dalle vicende politiche del paese. Questi addetti dovevano eseguire alla lettera le istruzioni contenute in un bollettino quotidiano redatto dal ministero degli esteri.
I documenti visionati da Pagina 12 riferiscono anche di un contratto di consulenza firmato dal governo dei generali, in data 11 gennaio 1978, con la società di consulenza statunitense Burson-Marsteller per condurre al meglio la campagna di propaganda. Chiusa con risultati insoddisfacenti, poiché le notizie sulla violazione sistematica dei diritti umani circolavano comunque e agli inviati delle testate estere che seguirono la manifestazione fu possibile avere netta sensazione di quanto stava accadendo nel paese.
Invece, per quanto riguarda l’informazione sul piano interno, tutto andò secondo i desiderata del regime. E a fare da emblema della macchina di falsificazione è la copertina del magazine Somos del 30 giugno 1978, l’edizione mandata in edicola cinque giorni dopo la finale vinta dalla nazionale di casa contro l’Olanda.
Vi campeggia una foto del generale Videla che in tribuna esulta dopo un gol, corredata dalla titolazione «Gli argentini e il mondiale. Un paese che è cambiato». Un’infamia perenne a rendere sempre viva la ferita inguaribile di un popolo.
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