- Oggi per approvare una legge al Senato serva una maggioranza qualificata di 60 senatori su 100. In caso contrario la discussione si ferma.
- I democratici guidati da Chuck Schumer hanno proposto di eliminarla e passare alla maggioranza semplice.
- Ma tra i senatori Dem c’è chi non è d’accordo e così Biden non ha i numeri per approvare questa riforma fortemente voluta anche dal suo predecessore.
Martedì scorso il Senato degli Stati Uniti ha votato all’unanimità un provvedimento, uno dei pochi momenti di condivisione nazionale nell’assemblea elettiva. che ormai incarna le storture democratiche di Washington.
Si attribuisce la Congressional Gold Medal alla memoria di Emmett Till, un quattordicenne afroamericano linciato in Mississippi nel 1955, falsamente accusato di molestie sessuali da una commerciante di alimentari.
I suoi assassini non sono stati puniti perché non esisteva un reato federale di linciaggio. Per anni i senatori sudisti avevano attuato, con successo, l’ostruzionismo.
Di cosa si tratta? Secondo una regola del Senato per far avanzare una legge serve il consenso di una maggioranza qualificata di almeno 60 membri dell’assemblea. Altrimenti ci si ferma.
Un tempo questo ostruzionismo veniva esercitato in modo molto “appariscente”: si parlava per ore e ore fino a quando non c’erano più i tempi necessari per approvare i provvedimenti e gli avversarsi decidevano di desistere. Adesso la prassi parlamentare prevede che basti solo invocarlo per fermare la discussione.
Una tattica che si è cominciato a usare massicciamente a partire dagli anni Novanta e che nella percezione comune ha trasformato il Congresso in una istituzione disfunzionale.
Proprio per evitare che situazioni simili si ripetano, secondo i senatori democratici guidati da Chuck Schumer, bisogna abolire la maggioranza qualificata e decidere a maggioranza semplice.
Basterebbe un cambio di regolamento, da approvare anche con il voto della vicepresidente Kamala Harris che, visto l’assoluta parità di senatori repubblicani e democratici (50 e 50), interviene in caso di pareggio tra favorevoli e contrari. Ma i voti non ci sono.
Non soltanto i due senatori centristi Joe Manchin e Kyrsten Sinema si sono espressi apertamente contro questa proposta, ma contrari sono anche altri moderati come Jon Tester e Jeanne Shaheen, oltreché Mark Kelly, senatore dell’Arizona che nelle elezioni di novembre 2022 dovrà cercare una difficile riconferma in uno stato in bilico.
Il voto delle minoranze
In ballo c’è una legge federale che protegga il diritto di voto delle minoranze verso le quali si sono indirizzati gli sforzi di molte legislature a maggioranza repubblicana.
L’esempio più lampante è quello della Georgia dove nuove leggi restrittive statali, approvate nel 2021, hanno reso più difficoltosa per i membri delle minoranze etniche la registrazione come elettori.
Su questo tema due disegni di legge si sono arenati in questa legislatura grazie all’ostruzionismo del Senato, il John Lewis Vote Act e il For The People Act.
Queste due proposte si proponevano di regolamentare per via federale sia l’accesso al voto sia il disegno dei distretti elettorali, questioni su cui soprattutto i repubblicani, ma anche i democratici, hanno cercato di avvantaggiarsi negli stati da loro governati: due esempi per tutti California e Texas.
Le due proposte di legge si sono scontrate contro un gruppo repubblicano insolitamente compatto: nemmeno il trio di moderati che spesso ha aiutato i democratici, composto dal senatore Mitt Romney e dalle senatrici Susan Collins e Lisa Murkowski, ha deciso di cedere.
Anzi, il senatore dello Utah, arcinoto come critico implacabile della presidenza trumpiana, si è espresso chiaramente contro i progetti dem: «Biden, come Trump, ha deciso di mettere in dubbio l’integrità delle prossime elezioni ed è triste che lo faccia chi aveva promesso di risanare le ferite del paese».
Una chiusura senza sconti: «Considerate cosa può cambiare con una maggioranza repubblicana in entrambe le Camere e Trump che ritorna presidente nel 2024. Senza potere di ostruzionismo, ogni volta che un partito prende la maggioranza, cambierebbero i programmi di spesa, le priorità del budget federale e le scelte di politica internazionale».
Il ruolo del presidente
I commentatori progressisti hanno sbeffeggiato quest’affermazione di Romney che in realtà descrive niente di più che il normale funzionamento di una democrazia.
Ma in nessun’altra democrazia occidentale, eccetto i paesi latinoamericani dove l’architettura costituzionale spesso è ricalcata sul modello statunitense, il presidente ha un potere che racchiude in sé anche quelli di capo del governo.
Senza contare che con l’abolizione dell’ostruzionismo, con questi numeri risicati e con l’improbabile possibilità che si possano superare i 50 voti della maggioranza semplice, il potere delle micro-fazioni aumenterebbe.
Biden lo sa, tant’è che solo recentemente ha aperto alla possibilità di rimuovere l’ostruzionismo dai regolamenti del Senato.
E potrebbe essere un boomerang. Basta prendere in esame un’eccezione attualmente in vigore sull’ostruzionismo, quella relativa alle nomine dei giudici federali, decisa da Harry Reid il 21 novembre 2013.
L’allora capogruppo dem, stufo del costante ostruzionismo della sua controparte repubblicana Mitch McConnell, aveva deciso di introdurre questa eccezione nei regolamenti del Senato, prevedendo il voto a maggioranza semplice.
McConnell, profeticamente, aveva commentato: «Ve ne pentirete prima di quanto possiate immaginare». Così è avvenuto.
Grazie a questa regola, infatti, durante la presidenza Trump sono stati approvati tre nuovi giudici conservatori alla Corte suprema e ben 43 giudici di corte distrettuale e d’appello.
Un cambiamento di pelle che inevitabilmente ha effetti sui provvedimenti varati dai democratici, non ultimo l’obbligo vaccinale per i dipendenti delle grandi aziende appena affossato da una sentenza della Corte suprema.
Cambiare idea
Su Real Clear Politics Carl Cannon, ha esaminato i singoli casi nei quali gli allora senatori Barack Obama e Joe Biden, durante la presidenza di George W. Bush, sostenevano il mantenimento dell’ostruzionismo, scagliandosi contro la possibilità del «cambiare le regole in corsa» e della riduzione del Senato nel «passacarte della dittatura».
Anche un altro presidente voleva fortemente abrogare questo strumento perché rendeva impossibile «far funzionare le cose»: Donald Trump. E McConnell ha sempre risposto di no per gli stessi motivi per cui anche oggi si oppone.
Adesso il tanto odiato Donald potrebbe ottenere ciò che voleva, se non fosse che Biden non ha i voti per eliminare l’ostruzionismo dai regolamenti.
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