La consultazione elettorale repubblicana di lunedì 15 ha un risultato scontato con la vittoria netta di Donald Trump, nonostante gli sforzi sul campo dei suoi principali avversari Ron DeSantis e Nikki Haley. Quest’ultima è l’unica che ha qualche chances nelle prossime primarie del New Hampshire il 23 gennaio. I democratici invece hanno spostato la consultazione a inizio marzo, segno del loro disinteresse per l’America bianca e rurale.
In altre epoche politiche, nei giornali di tutto il mondo si scriverebbero degli articoli di previsioni riguardanti gli incerti risultati dei caucus del partito repubblicano dell’Iowa per le elezioni presidenziali, dove si voterà lunedì 15 gennaio. Questa particolare forma di consultazione elettorale, che prevede l’organizzazione di tante piccole assemblee locali dove si vota in modo palese e i sostenitori dei vari candidati cercano di convincere i militanti convenuti a unirsi al loro gruppo. Il gruppo più grande ottiene la vittoria.
In questo caso, però, c’è un vincitore annunciato, salvo sorprese dell’ultim’ora. L’ex presidente Donald Trump ha un vantaggio nei principali sondaggi che solo un’errore clamoroso e totale potrebbe ribaltare le previsioni: secondo la media dell’aggregatore di notizie RealClearPolitics, il tycoon avrebbe il 53,6 per cento dei consensi.
Per capire se la corsa delle primarie presidenziali repubblicane finirà subito però, bisogna vedere come andranno invece i competitor: le rilevazioni danno un testa a testa tra l’ex governatrice del South Carolina Nikki Haley e il governatore della Florida Ron De Santis, che registrano rispettivamente il 17,2 per cento e il 15,2 per cento dei consensi.
Come mai però si è scelto proprio di cominciare dall’Iowa nella selezione del presidente? E come mai quest’anno i dem hanno fatto una scelta diversa?
La storia
Andiamo con ordine: la scelta di tenere proprio in Iowa la prima consultazione elettorale deriva dal caos che aveva caratterizzato la convention democratica di Chicago del 1968, dove una grande incertezza dovuta alla mancanza di un candidato chiaro portò a un farraginoso processo di selezione che produsse la candidatura dell’incolore Hubert Humphrey, vicepresidente dell’impopolare amministrazione di Lyndon Johnson.
Prima i dem nel 1972, poi i repubblicani nel 1976, hanno deciso di iniziare a consultare la loro base proprio partendo da questo stato che, essendo posizionato quasi nel centro geografico degli Stati Uniti, rappresentava bene un’idea rurale di America profonda da cui ripartire in un paese profondamente scosso dai rivolgimenti sociali degli anni Sessanta e dalla guerra in Vietnam.
C’era anche un aspetto pratico: le strutture dei due partiti in Iowa potevano contare su un’organizzazione capillare che copriva il territorio palmo a palmo. Perfetta quindi per organizzare una consultazione del genere che restituisse all’opinione pubblica fiducia nel processo di selezione dei candidati presidenziali.
In anni recenti però, quest’organizzazione, specie dal punto di vista del conteggio dei voti, hanno mostrato la corda e nel 2020 i caucus dem sono stati particolarmente caotici, tanto che quest’anno il partito che sostiene il presidente uscente Joe Biden li terrà più avanti, a inizio marzo, per ridimensionarne l’importanza.
La corsa repubblicana
I repubblicani, invece, sono rimasti. E come dicevamo, se fossimo soltanto nel 2012, un candidato sottoposto a diversi processi, di cui alcuni per frode, non avrebbe speranza, anzi, alla consultazione non sarebbe nemmeno arrivato.
Invece l’ex presidente Trump ci arriva incassando il sostegno dell’intera leadership repubblicana della Camera, compreso il moderato vicecapogruppo Tom Emmer e anche del numero tre del Senato John Barrasso, anche lui noto per la sua pacatezza.
E i competitor del tycoon, dunque, non hanno speranze? A guardare la competizione con lenti politologiche classiche sembrerebbe che il candidato che si è mosso meglio, con gran dispendio di risorse, sia invece il governatore della Florida Ron DeSantis, tant’è vero che è riuscito nell’impresa di visitare tutte le 99 contee e di ottenere due endorsement molto pesanti, quello della governatrice Kim Reynolds e quello del leader evangelico Robert Vander Plaats, presidente della potente organizzazione conservatrice The Family Leader, noto anche per aver dichiarato lo scorso luglio 2023 in un’intervista pubblicata sul Wall Street Journal che avrebbe preferito «un candidato repubblicano alle presidenziali che non sia Trump».
Anche Nikki Haley ha potuto contare sull’organizzazione militante sul campo di Americans for Prosperity, messa a disposizione a fine novembre dal magnate dell’industria chimica Charles Koch, anche lui noto per essere tutt’altro che entusiasta del ritorno del tycoon, visto come dannoso per il business, dato il suo forte credo in un sistema di libero scambio globale.
Precedenti e scenari
Nonostante questo, due candidati come Haley e DeSantis, entrambi con un retroterra da politici di successo che hanno saputo convincere i loro elettori con programmi fortemente conservatori, si divideranno soltanto un terzo dei consensi. A Trump è bastata qualche incursione nello stato per ottenere un blocco di consensi difficilmente scalfibile e un distacco di oltre trenta punti da chiunque riesca ad arrivare secondo.
Solo Haley però potrà avere un futuro, qualora riesca a dimostrare la sua forza in uno stato dove tutto sommato ha puntato poco, preferendo investire il grosso delle sue risorse nelle primarie del New Hampshire e in quelle del South Carolina, che saranno il prossimo 23 gennaio e 24 febbraio.
Ci sono anche precedenti confortanti in questo senso: lo stesso Donald Trump nel 2016 era stato sconfitto nei caucus in Iowa dal senatore del Texas Ted Cruz e prima di lui persero anche due futuri candidati presidente come John McCain e Mitt Romney, rispettivamente nel 2008 e nel 2012.
DeSantis, invece, qualora non riesca a fare molto più di quanto previsto, ha la strada sbarrata per il futuro e gli resterà ben poco, oltre a un ritorno sulle sponde della Florida. In quel caso toccherebbe a Haley raccogliere i suoi sostenitori in libera uscita, impresa assai disperata dato il radicalismo di alcuni di loro, come ad esempio i deputati Chip Roy del Texas e Bob Goode della Virginia, noti per essere due inflessibili falchi in materia d’immigrazione. Naturalmente vicini dunque alle sponde trumpiane.
L’America profonda
Una riflessione s’impone però: l’Iowa degli anni Settanta era uno stato in bilico, che veniva conquistato in genere dal partito che vinceva le presidenziali, mentre oggi è un bastione repubblicano
Difficilmente i candidati dem superano il 40 per cento, anche perché ormai sono sempre più accomunati a un’élite urbana costiera lontanissima dai problemi delle aree rurali e degli imprenditori agricoli dello stato, dove questi ultimi vengono visti dagli esponenti progressisti nazionali soltanto come persone retrograde prone alle sirene della grezza propaganda di matrice trumpiana.
Un allontanamento che però testimonia anche la profonda trasformazione di un partito come quello democratico che fino a qualche tempo fa aveva al suo interno una forte componente populista rappresentata benissimo da un altro presidente come Bill Clinton proveniente da uno stato come l’Arkansas, per certi aspetti molto simile all’Iowa.
E su questo il vantaggio dei repubblicani nelle aree interne degli Stati Uniti, ormai sempre più uniti nella buona e nella cattiva sorte con la forte personalità di Donald Trump, sta diventando sempre più incolmabile.
Tant’è vero che stavolta i caucus dem dell’Iowa saranno solo una nota nella cronaca locale a inizio marzo. E pensare che furono proprio loro nel 1972 a scegliere l’Hawkeye State (lo stato dagli occhi di falco) per dimostrare di non aver perso il contatto con un’America profonda per la quale oggi mostrano un netto disinteresse di natura non solo elettorale.
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