- Oggi i vescovi statunitensi si riuniscono via Zoom per decidere se il loro presidente Joe Biden, che sostiene politiche pro choice ed è a favore delle unioni omosessuali, possa definirsi così moralmente cristiano da ricevere la comunione.
- L’iniziativa, caldeggiata dai vertici della Conferenza episcopale statunitense (Usccb), ha del paradossale: potrebbe cioè accadere che quell’eucarestia che oggi Biden riceve in una chiesa europea, domani gli venga negata Oltreoceano.
- Papa Francesco non gradisce un episcopato diviso: non sono sfuggite le sue parole pronunciate all’Angelus del 6 giugno scorso dal ritrovato pulpito del palazzo Apostolico.
Non basta che sia il secondo presidente cattolico degli Stati Uniti dai tempi di John Fitzgerald Kennedy né che abbia confessato di aver pensato al seminario da ragazzo. Oggi i vescovi statunitensi si riuniscono via Zoom per decidere se il loro presidente Joe Biden, che sostiene politiche pro choice ed è a favore delle unioni omosessuali, possa definirsi così moralmente cristiano da ricevere la comunione. L’iniziativa, caldeggiata dai vertici della Conferenza episcopale statunitense (Usccb), ha del paradossale: potrebbe cioè accadere che quell’eucarestia che oggi Biden riceve in una chiesa europea, domani gli venga negata Oltreoceano. «Il clima è abbastanza frustrante. Spero che la maggioranza dei vescovi pensi che decidere sulla “coerenza eucaristica” in un incontro virtuale non sia buono, come d’altronde consigliato dal Vaticano stesso» dice John Eric Stowe, vescovo francescano della diocesi di Lexington, Kentucky, voce del fronte progressista.
Faith or fight?
È, al contrario, intransigente l’attuale presidente dell’Usccb, l’arcivescovo di Los Angeles, José Gomez, spalleggiato dall’arcivescovo di San Francisco, Salvatore Cordileone. Al primo s’era rivolto il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Luis Ladaria, con una lettera datata 7 maggio, che frenava qualsiasi rigorismo. Per Roma, infatti, non solo è necessaria una certa prudenza sui temi etici, ma anche l’attenzione che non siano «fonti di discordia» in seno all’episcopato. La linea Gomez, infatti, non è stata accolta all’unanimità dal clero. Pochi giorni dopo la lettera, settanta vescovi ne hanno firmata una in cui chiedevano di rimandare la discussione a un incontro dal vivo, magari al prossimo autunno. Tutto questo non ha scalfito la risolutezza di Gomez e altri prelati, come l’arcivescovo di Kansas City, Joseph Naumann, che ritengono piuttosto urgente fugare fraintendimenti dottrinali. «Ho l’impressione che le stesse voci stiano producendo lo stesso suono, ma che sempre più persone si stanno abituando ad avere un presidente competente e capace di prendere decisioni ponderate» ha commentato invece Stowe.
Pane dei peccatori
Papa Francesco non gradisce un episcopato diviso: non sono sfuggite le sue parole pronunciate all’Angelus del 6 giugno scorso dal ritrovato pulpito del palazzo Apostolico: «L’eucaristia non è il premio dei santi, no, è il pane dei peccatori». «Penso che la Santa sede preferisca un approccio più pastorale che risolutivo dal punto di vista sacramentale» commenta il vescovo di Lexington. Due giorni fa lo ha ribadito al New York Times padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica che ben conosce la realtà americana: «La preoccupazione in Vaticano è che l’accesso all’eucarestia diventi arma politica».
Nelle sue parole riecheggiano quelle pronunciate nel 2004 dall’allora cardinale Theodore McCarrick sul caso della comunione al cattolico dem John Kerry. «La sacralità dell’eucarestia può trasformarsi in un campo di battaglia politico partigiano» ammetteva il porporato, oggi caduto in disgrazia, davanti all’episcopato riunito a Denver. Allora l’input rigorista veniva da Roma. Joseph Ratzinger, ai tempi prefetto dell’ex Santo Uffizio, aveva inviato un memorandum in cui, facendo leva sul diritto canonico, ricordava ai vescovi Usa che l’eucarestia poteva essere negata in caso di «situazione oggettiva di peccato e cooperazione formale al male». L’episcopato aveva poi risposto nero su bianco con un documento, Catholics in Political Life, con cui negava la centralizzazione della decisione, delegandola ai singoli vescovi. La stessa linea è oggi sposata da Bergoglio.
Più croci di ferro
L’attuale intransigenza dell’episcopato rivela le divergenze con papa Francesco. Bergoglio ha una linea chiara sull’impostazione che vuole imprimere alla chiesa Usa con pastori «gentili, pazienti e misericordiosi». Lo ha fatto nel gennaio 2020, ponendo a capo della diocesi più conservatrice d’America, quella di Filadelfia, l’ispanico Nelson Perez, detronizzando l’arcivescovo conservatore Charles Chaput, non appena raggiunta l’età pensionabile di 75 anni. A Washington, D.C., ha posto il cardinale Wilton Gregory, diplomatico presidente dell’Usccb ai tempi del caso Spotlight, oggi noto per aver polemizzato con l’ex presidente Donald Trump.
Basterà qualche croce di ferro in più nelle diocesi per cambiare il volto della chiesa Usa? Stando ai dati del Pew Research Center sullo stato del cattolicesimo americano, non proprio: dei cattolici intervistati nel 2019, quasi la metà riteneva che il pane e il vino siano solo richiami simbolici al corpo e al sangue di Cristo. Vedendo oggi il peso politico con cui i vescovi intendono affrontare la questione, ci si aspetta solo un miracolo.
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