Dopo tre decenni di ostilità per il controllo del Nagorno Karabakh, i ministri degli Esteri dei due paesi hanno annunciato un accordo di pace. Prima della firma però rimangono due ostacoli ancora da superare
Giovedì 13 marzo i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian hanno annunciato che è stato raggiunto, anche se non ancora firmato, un accordo di pace tra i due paesi. Baku e Erevan hanno alle spalle almeno tre decenni di conflitto, a partire dagli anni Ottanta, quando la regione azera del Nagorno-Karabakh, a maggioranza etnica armena, è insorta contro Baku con il supporto dell’Armenia.
La firma di un accordo non è mai sembrata così vicina e sarebbe un passo storico verso la normalizzazione e la pacificazione delle relazioni caucasiche. Il processo di pacificazione, che si è guadagnato velocemente i titoli dei giornali nella regione, presenta però già dal principio numerosi segni di disallineamento. A partire dalle comunicazioni ufficiali, che sono avvenute, pur con un contenuto simile, in momenti e modi separati. Prima Baku, in conferenza stampa, poi Erevan, confermando quanto affermato da Baku, con un comunicato.
L’accordo
«L’accordo di pace è pronto per la firma» ha dichiarato il ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, facendo seguito all’omologo azero Jeyhun Bayramov e aggiungendo che «La Repubblica d’Armenia è pronta ad avviare consultazioni con la Repubblica dell’Azerbaigian sulla data e il luogo della firma dell’accordo». A sentire le dichiarazioni di Bayramov e Mirzoyan, quindi, tutto pronto e deciso.
Una linea cui ha rapidamente aderito anche il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, perlando alla stampa turca di «un evento senza precedenti» e di «compromessi necessari» contenuti nell’accordo. Altrettanto veloce, ma di segno opposto, la reazione del contestatissimo presidente azero, Ilham Aliyev, che lo stesso giorno, in occasione del discorso di apertura del dodicesimo Global Forum di Baku, ha affermato che «il nostro livello di fiducia nei confronti dell’Armenia è prossimo allo zero» accusando il paese di starsi «preparando per una nuova guerra».
Quella finalizzata nelle scorse settimane è la dodicesima bozza dell’accordo e arriva dopo quindici incontri tra i rispettivi ministri degli esteri negli ultimi tre anni. Il documento non è stato reso pubblico, ma fonti informate hanno reso noto che ci sarebbero state «importanti concessioni da parte dell’Armenia, tra cui la rimozione degli osservatori dell’Ue dal confine e la rinuncia a cause contro l’Azerbaigian nelle sedi internazionali».
I nodi che rimangono
Anche se l’evento è di per sé di portata storica nelle relazioni tra i due paesi, restano almeno due nodi essenziali ancora da risolvere. Il primo riguarda la richiesta da parte azera di sciogliere il cosiddetto “Gruppo di Minsk”, un gruppo di lavoro dell’Ocse cui partecipano Francia, Federazione Russa e Stati Uniti, fondato nel 1992, dopo la prima guerra del Nagorno Karabakh, con l’obiettivo di risolvere le dispute territoriali nell’area. Secondo Baku consentire al Gruppo di Minsk di rimanere attivo potrebbe creare spazio per un nuovo dibattito internazionale sullo status del Karabakh.
Uno scenario che Baku vuole evitare a tutti i costi, soprattutto dopo l’offensiva azera del 2023, la più recente, che ha portato di fatto al completo controllo della regione da parte di Baku, oltre allo sfollamento di più di 100 mila armeni. La seconda richiesta da parte azera è anche la più complessa: l’Armenia dovrebbe eliminare dalla sua costituzione qualsiasi rivendicazione territoriale nei confronti dell’Azerbaigian. Il che, oltre a essere una rinuncia significativa sul piano politico e identitario per il paese, implicherebbe la necessità di una riforma costituzionale o addirittura la creazione di una nuova costituzione, più volte invocata negli ultimi anni dallo stesso Pashinyan.
Nonostante il governo di Erevan continui a insistere sul fatto che il cambiamento della costituzione sia un processo interno e non verrebbe attuato per soddisfare le richieste dell’Azerbaigian, diversi commentatori hanno sottolineato che la mossa potrebbe rappresentare agli occhi dell’opinione pubblica un cedimento alle pressioni dell’Azerbaigian.
Ad ogni modo, finché non saranno risolte queste due divergenze, o non ci sarà quantomeno maggiore chiarezza a riguardo, rimane incerto quando il trattato sarà effettivamente firmato. Resta il fatto che si tratta di un forte segnale verso il compromesso e la pacificazione, seguito a pochi giorni di distanza da un altro passo verso la promozione della pace nello spazio post-sovietico: il trattato sulla demarcazione dei confini tra Tajikistan and Kyrgyzstan, atteso da decenni, che dovrebbe riaprire frontiere e relazioni tra i due paesi.
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