Per il secondo giorno consecutivo il Consiglio di sicurezza non ha trovato un accordo, per evitare il veto da parte degli Stati Uniti, sulla tregua per favorire l’ingresso degli aiuti umanitari. Il leader di Hamas è arrivata al Cairo per discutere sulla guerra
«L’operazione di terra si espanderà in altre località» della Striscia di Gaza, ha affermato ieri il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant. Mentre a New York per il secondo giorno consecutivo è stata rimandata la votazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per chiedere a Israele e Hamas una tregua per favorire l’ingresso nella Striscia di aiuti umanitari. È prevista per oggi.
Martedì è stato un altro giorno di intensi negoziati, fa sapere l’Onu, e di una sessione del Consiglio di sicurezza, nel tentativo di arrivare a un accordo e scongiurare un ulteriore veto da parte degli Stati Uniti.
La bozza della risoluzione, scritta dagli Emirati Arabi Uniti, chiede la sospensione dei combattimenti per un tempo sufficiente a consegnare gli aiuti umanitari via terra, via mare e via aerea, e propone un sistema di monitoraggio di consegna degli aiuti da parte dell’Onu. Sarebbe questo il punto di stallo: secondo il New York Times, alcuni diplomatici del Consiglio di sicurezza hanno riferito che le pressioni di Israele si concentrano sul monitoraggio delle Nazioni Unite, chiedendo quindi agli Stati Uniti di non accettare l’incarico di ispezionare gli aiuti a Gaza, perché escluderebbe Israele da qualsiasi ruolo di controllo.
Se non ci dovesse essere una concessione su questo punto, scrive il New York Times, il rischio che gli Stati Uniti appongano il veto è molto alto. L’ingresso degli aiuti infatti ad oggi viene controllato da Israele: i 100 camion che entrano a Gaza quotidianamente, vanno dall’Egitto a Israele per essere ispezionati, per poi tornare in Egitto e fare ingresso dal varco di Rafah. Un sistema che secondo molti diplomatici produce gravi ritardi nelle consegne e per questo insostenibile.
La posizione Usa
Gli Stati Uniti chiedono poi che venga sostituita la parola «cessazione» delle ostilità con «sospensione». La diplomazia statunitense infatti si è opposta a qualsiasi termine che chieda a Israele di porre fine alla guerra.
Per il presidente Joe Biden però bocciare un’altra risoluzione avrebbe un costo politico interno molto alto. Come ha dimostrato un sondaggio del New York Times e del Siena College, c’è un’ampia disapprovazione per come il presidente statunitense sta gestendo il conflitto tra Israele e Hamas. Gli elettori più giovani sono più critici degli anziani, rileva il sondaggio, sia per quanto riguarda la condotta di Israele sia sulla risposta dell’amministrazione Usa.
Negoziati al Cairo
Intanto, Ismail Haniyeh, uno dei leader di Hamas, si è recato al Cairo per discutere con i funzionari egiziani. É il secondo viaggio dall’inizio del conflitto il 7 ottobre. Haniyeh è arrivato accompagnato da una delegazione di «alto livello». Il focus dell’incontro sarà discutere sulla consegna di ulteriori aiuti umanitari per la Striscia, il ritiro delle forze israeliane da Gaza e la possibilità di negoziare un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi.
L’agenzia di stampa Reuters ha riportato che è in corso una discussione «intensiva» sul possibile accordo per il rilascio degli ostaggi in cambio dei prigionieri palestinesi.
Un funzionario israeliano ha detto al Cnn che Israele e Hamas «al momento non sono vicini ad un accordo». L’organizzazione sta avanzando delle richieste che «difficilmente qualcuno accetterebbe».
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