Dopo quattro giorni di scontri, un fragile cessate il fuoco è stato dichiarato tra le forze armate sudanesi e la potente milizia Rsf. La diplomazia internazionale lavora per arrivare a una soluzione pacifica, ma evitare la guerra civile sembra sempre più difficile
Secondo alcuni media internazionali è fallita la tregua decisa in Sudan nelle ultime ore per permettere ai soccorsi di raggiungere i civili colpiti dai combattimenti e portare le parti a ragionare. Alcune agenzie sostenevano nella giornata di martedì 18 aprile i due leader in lotta Mohamed Hamdan Dagalo (detto Hemedti) e Abdel Fattah al Burhan avevano deciso di firmare una tregua mentre alcuni elementi dell’esercito smentiscono le voci e sollevano dubbi.
L’incertezza sul cessate il fuoco e la rapida escalation, hanno spinto il Segretario di Stato americano Antony Blinken, nel primo pomeriggio di martedì 18 aprile, a telefonare a entrambi i capi delle fazioni rivali, esortandoli a decidere per la sospensione delle ostilità almeno per 24 ore.
I due generali
Gli scontri, scoppiati sabato scorsa, tra le Forze di Supporto Rapido (Rsf) di Momahed Hamdan Dagalo (detto Hemedti) e le Forze Armate Sudanesi (Saf) di Abdel Fattah al Burhan, presidente del Consiglio sovrano e Capo di stato maggiore dell’esercito, stanno spingendo il paese verso il baratro con una accellerazione impressionante.
I due, una volta sodali nella giunta golpista che assunse il potere nell’ottobre 2021 e mise fine al primo esperimento di esecutivo che includeva, seppure al 50 per cento, elementi civili, sono adesso acerrimi nemici. Hemedti ha dichiarato il 17 aprile che l'Rsf perseguirà al-Burhan «e lo consegnerà alla giustizia», mentre l'esercito sudanese ha invitato i combattenti paramilitari a disertare e ad unirsi alle forze armate.
La situazione è precipitata proprio al culmine di un processo che avrebbe dovuto portare a compimento il sogno della primavera sudanese innescata esattamente quattro anni fa quando, tra la sorpresa del mondo intero, le rivolte pacifiche condotte dalla società civile condussero alla defenestrazione di Omar al Bashir.
L’inossidabile dittatore, noto per i suoi crimini contro l’umanità (tra i quali la feroce campagna in Darfur con 400mila morti e 2,5 milioni di profughi, costatagli la condanna dell’Aja) e per l’ospitalità offerta a Osama bin Laden negli anni ’90, fu costretto a lasciare e a passare dal palazzo presidenziale al carcere di Khartoum.
Lo scorso dicembre, dopo mesi di forte instabilità cominciati all’indomani del golpe dell’ottobre 2021 che aveva spodestato il primo ministro Abdalla Hamdok, il primo capo dell’esecutivo non proveniente dai ranghi militari, e metteva nelle mani del generale al Burhan tutto il potere, si era giunti a uno storico accordo che annunciava un percorso di democratizzazione totale con un governo formato completamente da civili.
L’ intesa sottoscritta da al Burhan e da diversi gruppi della società civile, prevedeva un periodo transitorio di due anni che sarebbe partito con l’incarico a un primo ministro e culminato con libere elezioni. Hemedti, però, storico uomo forte di Khartoum, sempre al fianco di al Bashir (ma anche al Burhan lo era), deve aver temuto che le sue Forze di supporto rapido, protagoniste di stragi e crimini efferati in Darfur e in altre regioni, sarebbero state relegate a un ruolo minoritario dall’accordo che prevedeva la confluenza di tutte le forze militari in un unico esercito. E da qui, proprio a un passo dalla firma, ha scatenato una controffensiva che puntava tutto contro al Burhan, nuovo «nemico del popolo».
I combattimenti
I morti sarebbero già quasi duecento mentre sul controllo dei luoghi strategici rivendicato dall’una o dall’altra parte, c’è grande confusione: al Burhan afferma che l'esercito presidia gli aeroporti di 18 stati, Hemedti il contrario. Martedì 18 aprile, invece, l'esercito ha affermato di aver ripreso il controllo della sede della televisione nazionale.
Nel frattempo, la comunità internazionale si mobilita. L’Agenzia intergovernativa per lo sviluppo (Igad) si è detta pronta a inviare al più presto i presidenti di Kenya, Sud Sudan e Gibuti (il problema sarà capire in quali aeroporti potranno atterrare).
Domenica 16 aprile si è tenuta una sessione di emergenza della Lega Araba per discutere del Sudan e, su richiesta del Regno Unito, i membri del Consiglio di Sicurezza affronteranno la situazione del paese africano. Il presidente della Commissione dell'Unione Africana (Ua), Moussa Faki Mahamat, ha dichiarato di volersi recare «immediatamente in Sudan per chiedere un cessate il fuoco».
Ma i risultati fin qui sono scarsissimi e anche il corridoio umanitario a Khartoum di tre ore concordato domenica tra il SAF e l'Rsf è stato subito violato. Il Programma alimentare mondiale ha sospeso tutte le attività dopo l'uccisione di tre dipendenti mentre l'ambasciatore dell'Unione Europea in Sudan è stato aggredito nella sua residenza.
© Riproduzione riservata