Donald Trump ha seguito Elon Musk prendendo posizione sul programma per i visti H-1B che permette alle aziende americane di assumere lavoratori stranieri qualificati. Ma le sue parole hanno aperto una frattura tra i suoi sostenitori
Dopo giorni di imbarazzato silenzio, Donald Trump ha preso posizione sulla questione che ha rovinato l’atmosfera natalizia nel mondo MAGA e probabilmente ha dato il via a una guerra civile, il programma per i visti H-1B, che permette alle aziende americane di assumere lavoratori stranieri qualificati. E lo ha fatto dando ragione a Elon Musk, che non solo è favorevole ad attrarre talenti dall’estero, ma lui stesso è stato uno di quei talenti che ha ottenuto un’opportunità negli Stati Uniti tramite quel visto.
«Mi sono sempre piaciuti i visti», ha detto Trump al New York Post, «sono sempre stato a favore dei visti, per questo esistono». Ha aggiunto che nelle sue proprietà ha «molti visti H-1B» e crede molto in un «grande programma» che ha «usato molte volte». In realtà Trump nel suo primo mandato alla Casa Bianca ha ristretto e contrastato in molti modi quella via d’accesso al mondo del lavoro americano per stranieri qualificati, ma negli ultimi giorni la questione sta lacerando il mondo trumpiano, e per il presidente eletto non era più possibile starne fuori.
Tutto è cominciato quando Trump ha annunciato la nomina di Sriram Krishnan come consigliere per l’intelligenza artificiale alla Casa Bianca. Krishnan è un venture capitalist e autore poliedrico cresciuto in India che è stato accolto negli Stati Uniti per via dei suoi formidabili talenti, come è capitato piuttosto spesso dalle origini di del progetto di una nazione fatta da immigrati. La scelta, però, non è piaciuta affatto alle voci anti immigrazione più oltranziste nell’universo di Trump.
La prima a sollevare il problema è stata l’influencer reazionaria e campionessa di complotti Laura Loomer, secondo cui la scelta «non è in linea con la filosofia America First» e riflette le preferenze dei plutocrati della tecnologia che per convenienza si sono convertiti al trumpismo e ora ne vogliono inquinare la purezza etnonazionalista originaria.
Si è messa a battibeccare sui social con David Sacks, che Trump ha scelto come zar delle criptovalute, e la disputa si è allargata fino a coinvolgere Vivek Ramaswamy e Elon Musk, i capi dell’agenzia Doge e dominatori del messaggio trumpiano in questa fase, che invece hanno sostenuto con forza l’apertura del mercato americano a profili qualificati da qualunque paese per rendere l’America più competitiva a livello globale.
La reazione di Musk
L’escalation retorica era inevitabile. Le voci contrarie all’immigrazione senza alcuna eccezione si sono levate, Musk ha premuto sull’acceleratore difendendo l’idea contraria con il solito fare compulsivo, ed ecco qualche ora più tardi era pronto «ad andare alla guerra» su questo tema, perché il programma H-1B è «la ragione per cui sono in America, assieme a tantissime persone cruciali che hanno costruito SpaceX, Tesla e centinaia di aziende che hanno reso l’America forte». Ha invitato chi la pensa diversamente a «farsi fottere». Così Steve Bannon, l’ex gran consigliere di Trump che è fedele alla linea originaria, ha proposto di allertare i servizi sociali per contenere il bambino Musk che fa i capricci.
Al di là della commedia dei social, la divisione profonda che emerge in quest’ultima polemica è molto seria, ed è una prefigurazione dello scontro che accompagnerà i prossimi quattro anni. Lo scontro in atto è fra due gruppi che l’opinionista del New York Times David Brooks ha definito i “dinamisti” e gli “stasisti”.
I dinamisti sono i Musk, i Sacks, i Thiel, sono costruttori e propulsori di innovazione e ricchezza, sono orientati alle sfide globali e interplanetarie del futuro, credono nella forza positiva del mercato, vogliono tagliare i lacci regolatori che tengono imbrigliato il genio americano, che è in fondo un genio universale, perciò chiamato ad assoldare una élite globale di geni che contribuisca alla ricostruzione della sua grandezza. Per i dinamisti, un programma come quello che offre permessi di lavoro a chi può davvero rendere l’America competitiva non è negoziabile.
Le posizioni degli stasisti
Gli stasisti, invece, sono quelli che hanno concepito il nucleo originario di idee del trumpismo, che era costruito attorno al contrasto all’immigrazione e alla restaurazione dell’America bianca come argine alla “grande sostituzione” e ad altri complotti di questo genere. Bannon fa parte di quel gruppo, ma soprattutto ne fa parte Stephen Miller, il potente consigliere a cui Trump ha affidato di nuovo il portafogli della politica migratoria.
Gli stasisti ai appellano a una visione strettamente nazionalista, credono nell’America come fortezza da proteggere, non come forza civilizzatrice votata alla leadership globale, sono antagonisti del progresso e scettici verso le forze del mercato, detestano la globalizzazione che ha desertificato l’industria che aveva dato da mangiare alla middle class americana per generazioni. Per gli stasisti, concedere visti per sottrarre posti di lavoro agli americani è un delitto, e dare a immigrati il potere di prendere decisioni sulla questione un sacrilegio.
La scaramuccia natalizia sugli H-1B sarà probabilmente sostituita presto da un altro scontro su un nuovo tema di giornata che in quel momento apparirà come cruciale. Ma la divisione nel mondo MAGA che la querelle sull’immigrazione sta portando alla luce per la prima volta riguarda la sostanza ideologica, non soltanto la cortina fumogena del potere, e perciò ci accompagnerà a lungo. Queste sono soltanto le prime avvisaglie.
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