Il favorito William Lai rappresenta la riconferma dell’attuale governo, il Kmt l’alternativa nazionalista e Ko intercetta le nuove generazioni. Il regime cinese aspetterà le elezioni americane per prendere posizione. Una vittoria di Trump riporterebbe tutto nell’incertezza
Il 13 gennaio i cittadini di Taiwan andranno alle urne per decidere quale sarà il futuro dell’isola, ribadendo la propria contrarietà alle ingerenze di Pechino oppure assumendo una posizione più morbida e di dialogo con chi, dall’altra parte dello Stretto, reclama la sovranità territoriale sul paese. Il favorito è Lai Ching-te (anche noto con il nome occidentale di William), candidato del Partito progressista democratico (Dpp): la sua nomina sarebbe una sostanziale riconferma dei due mandati, che si concluderanno a maggio, dell’attuale presidente Tsai Ing-wen. Lai, infatti, è stato vice della presidente uscente, e il suo operato sarebbe in perfetta continuità con gli otto anni appena conclusosi. A seguirlo c’è Hou Yu-ih del Kuomintang (Kmt). Hou è un candidato meno tradizionale del solito per il tipo di partito che rappresenta: la sua famiglia vive a Taiwan da prima del 1945, anno in cui il generale Chiang Kai-shek, sconfitto dalle truppe comuniste guidate da Mao Zedong, si ritirò a Taiwan fondando la Repubblica di Cina. È solito poi parlare più hokkien, il dialetto taiwanese, che cinese mandarino. È stato sindaco molto apprezzato della città di Nuova Taipei e, per il Kmt, è stata una scelta naturale candidarlo alle presidenziali vista la sua enorme popolarità.
Populismo su TikTok
Terzo e ultimo candidato è Ko Wen-je del Taiwan People’s Party. Come spiega a Domani il politologo Lev Nachman, dell’Università Nazionale Chengchi a Taipei, populismo e culto della personalità sono gli ingredienti perfetti per Ko per presentarsi come unica alternativa alle politiche tradizionali di Dpp e Kmt. A essere particolarmente interessante è la parabola che ha attraversato Ko in questi ultimi dieci anni. Nel 2014 corre da indipendente per le elezioni a sindaco di Taipei e vince grazie all’appoggio del Dpp e degli esponenti del Movimento studentesco dei girasoli. La sua notorietà è dovuta, infatti, proprio al sostegno che Ko diede pubblicamente alle manifestazioni che quell’anno portarono centinaia di studenti ad occupare lo Yuan, il parlamento monocamerale di Taiwan, in protesta contro l’accordo economico che voleva stringere il Kuomintang, allora al governo, con Pechino. Dieci anni dopo, Ko Wen-je ha cercato di allearsi con il Kmt per presentarsi alle elezioni con un candidato unico – tentativo poi fallito – e ha posizioni molto più vicine a quelle del partito nazionalista che a quelle del Dpp.
Eppure, Ko sta raccogliendo molti consensi tra le generazioni più giovani anche grazie a una buona campagna di comunicazione su TikTok. I ventenni che si affacciano oggi per la prima volta al voto avevano dodici anni quando Tsai ha iniziato il suo primo mandato, questo vuol dire che non hanno conosciuto altro partito al governo se non il Dpp. E tra le problematiche domestiche che generano maggiore frustrazione e malcontento tra elettori ed elettrici di questa età vi sono gli alti costi delle case e stipendi troppo bassi. Questioni a cui la presidenza Tsai non ha saputo rispondere.
Da questo punto di vista, quindi, Ko potrebbe sottrarre voti al candidato Lai e rendere più incerta la maggioranza dei seggi del Dpp che si prospetta in parlamento. «Alle elezioni nazionali e, soprattutto, in questa fase di tensioni molto alte e di dialoghi incerti tra Cina e Stati Uniti, la tematica che viene maggiormente discussa, e si è visto anche durante il recente dibattito televisivo tra i tre candidati, è quella su come comportarsi con Pechino», dice Simona Alba Grano, docente all’Università di Zurigo e direttrice del Taiwan Studies Project. «C’è sempre stata una sorta di divisione nella società tra chi si sente taiwanese, chi cinese e chi entrambe le cose. Le percentuali, però, sono molto cambiate negli anni. Il dibattito su indipendenza, status quo (ovvero il mantenimento della situazione attuale) e riunificazione con la Cina ha cambiato connotati ed è diventato sempre più incentrato sulla minaccia proveniente dall’altra parte dello Stretto».
Questo perché, seppur Pechino abbia sempre parlato di riunificazione – una famosa serie epistolare degli anni Cinquanta è intitolata “Lettere ai compatrioti taiwanesi” – nel 2019, il presidente Xi Jinping ha pronunciato un discorso di fine anno in cui ha alzato esponenzialmente i toni.
C’è una serie di fattori che dimostra come le cose siano cambiate: in parte sono legate alla personalità di Xi Jinping e alla sua decisione di rimanere al potere per un altro mandato – se non a tempi indefiniti – dall’altra bisogna guardare alle relazioni completamente mutate tra Stati Uniti e Cina, che hanno un influsso enorme sulla questione taiwanese.
L’intreccio con gli Usa
A novembre di quest’anno ci sarà un altro appuntamento fondamentale: le elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
Tutte le previsioni che si possono fare su Taiwan partono dal presupposto che alla Casa Bianca ci sia una presidenza razionale ed equilibrata – spiega ancora Nachman – ma la vittoria di Donald Trump trascinerebbe tutto nell’incertezza e all’aumento delle probabilità di conflitto.
È plausibile, quindi, che Pechino, in caso di vittoria di William Lai, manifesti il proprio disappunto – come ha fatto ad agosto del 2022 quando l’allora speaker della Camera americana, Nancy Pelosi, si è recata in visita a Taiwan – ma che poi faccia rientrare tutto nell’arco di qualche settimana.
Per capire come procedere, il Partito comunista cinese attenderà novembre e il risultato delle elezioni statunitensi, anche perché internamente ha il fronte aperto della recessione economica e della disoccupazione giovanile.
Intervistato da Domani, Victor Chao, portavoce di William Lai, ha spiegato quali saranno i tre punti fermi della potenziale presidenza Lai: aumento del budget della difesa dell’isola; rafforzamento delle relazioni con Europa, Australia, Stati Uniti e Giappone; tenuta di una posizione coerente nello Stretto: nessuna provocazione nei confronti di Pechino, ma nessuna rinuncia ai propri principi.
«Il problema principale che deve affrontare Taiwan è come si autodefinisce e in che modo sarà in grado si mantenere la propria democrazia e libertà alla luce delle numerose sfide che deve affrontare nello Stretto», conclude Chao.
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