- A contrapporre la seconda economia del pianeta alla potenza della quale contesta apertamente l’egemonia nel Pacifico sono le trattative per un accordo commerciale tra Washington e Taipei, iniziate ufficialmente ieri.
- La reazione di Pechino è stata immediata. «La Cina si è sempre opposta a ogni forma di scambio ufficiale tra qualsiasi paese e la regione cinese di Taiwan, compresa la negoziazione e la firma di qualsiasi accordo di natura sovrana o ufficiale».
- Il progetto di intesa commerciale Usa-Taiwan sarebbe in fase avanzata. Gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale di Taiwan.
Si sono appena spenti i fuochi delle esercitazioni militari attorno a Taiwan con le quali Pechino ha reagito alla visita a Taipei della speaker della Camera dei rappresentanti americana, Nancy Pelosi, che già un’altra iniziativa dell’amministrazione di Joe Biden riaccende la questione taiwanese, sempre più pericolosamente prigioniera della rivalità strategica tra gli Stati Uniti e la Repubblica popolare cinese.
Questa volta a contrapporre la seconda economia del pianeta alla potenza della quale contesta apertamente l’egemonia nel Pacifico sono le trattative per un accordo commerciale tra Washington e Taipei, iniziate ufficialmente ieri. Il negoziatore taiwanese, Joh Deng, si è augurato che il mese prossimo possa sbarcare a Taipei una delegazione governativa statunitense (ma su questo – ha puntualizzato – decideranno gli americani). La reazione di Pechino è stata immediata. «La Cina si è sempre opposta a ogni forma di scambio ufficiale tra qualsiasi paese e la regione cinese di Taiwan, compresa la negoziazione e la firma di qualsiasi accordo di natura sovrana o ufficiale», ha protestato Shu Jueting, portavoce del ministero del Commercio. E ha aggiunto che il suo governo «adotterà tutte le misure necessarie per difendere con fermezza la propria sovranità, sicurezza e interessi di sviluppo».
I punti del negoziato
A dettare i tempi di quella che la vice rappresentante del commercio per il governo americano, Sarah Bianchi, ha definito «un’ambiziosa road map di negoziati nell’ambito della US-Taiwan Initiative on 21st-Century Trade» (illustrata nel giugno scorso) saranno l’Istituto americano di Taiwan a Taipei e l’Ufficio di rappresentanza economica e culturale di Taipei a Washington, ovvero le rappresentanze diplomatiche di fatto di due paesi che dal 1979 (quando gli Stati Uniti riconobbero ufficialmente la Repubblica popolare cinese) non hanno relazioni ufficiali.
Il comunicato congiunto
«Gli Stati Uniti e Taiwan sono economie orientate al mercato e comprendono i danni che possono essere causati dai partner commerciali che applicano politiche e pratiche non di mercato, che minacciano i mezzi di sostentamento e possono danneggiare i lavoratori e le imprese – si legge nel comunicato congiunto diffuso ieri –. Le due parti cercheranno di adottare disposizioni che promuovano la collaborazione sui modi per affrontare queste politiche e pratiche dannose non di mercato».
Tra le varie misure che verranno approfondite nelle prossime settimane figurano quelle per «l’agevolazione del commercio, le buone pratiche normative, solidi standard anticorruzione, il rafforzamento del commercio tra le nostre piccole e medie imprese, l’approfondimento del commercio agricolo, la rimozione delle barriere discriminatorie al commercio, il commercio digitale, solidi standard ambientali e del lavoro, nonché i modi per affrontare le pratiche distorsive delle imprese statali e le politiche e le pratiche non di mercato».
I taiwanesi reclamano inoltre misure comuni contro la “coercizione economica” della Cina, come, ad esempio, il blocco delle importazioni dalla Lituania decretato da Pechino in seguito all’apertura di un ufficio di rappresentanza di Taiwan a Vilnius.
Decoupling impossibile
Il progetto di intesa commerciale Usa-Taiwan sarebbe in fase avanzata: Deng ha affermato che il suo ufficio ha collaborato con oltre venti dipartimenti e agenzie governative per adeguarsi e prepararsi per i colloqui con gli Stati Uniti, con i quali Taiwan spera di poter arrivare in futuro a un accordo di libero scambio.
Gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale di Taiwan: nel 2021 sono stati registrati scambi per 77 miliardi di dollari, con un deficit commerciale per gli Stati Uniti pari a 40 miliardi di dollari.
I dati dimostrano che l’economia taiwanese dipende di gran lunga di più dal suo gigantesco dirimpettaio autoritario, dove l’anno scorso ha venduto microchip (il 62 per cento delle esportazioni dell’isola) per un valore di 155 miliardi di dollari. Macchine utensili, beni strumentali, prodotti agroalimentari completano il panorama di scambi che tra le due sponde dello Stretto non sono mai stati così floridi. Il mondo del business taiwanese (a cominciare dall’elettronica) si è mosso in direzione opposta all’agenda indipendentista del Dpp (il partito progressista democratico): tra il 2016 e il 2021 è cresciuto del 71 per cento l’interscambio con la Repubblica popolare cinese, dove finisce circa il 30 per cento del suo export, e oltre la metà dei suoi investimenti esteri diretti (5,8 miliardi di dollari l’anno scorso).
L’amministrazione Biden punta soprattutto a ridurre l’accesso alla tecnologia taiwanese che può essere impiegata per lo sviluppo industriale e militare di Pechino. In questa direzione va, ad esempio, l’investimento di 12 miliardi di dollari di Tsmc, che in Arizona sta costruendo un mega impianto per la produzione di microchip a 5 nanometri (ieri lo stesso colosso taiwanese ha annunciato che il mese prossimo avvierà in patria la produzione di massa di microprocessori a 3 nanometri).
Se il commercio Taiwan-Cina è in pieno boom, gli investimenti sono in fase calante: 5,86 miliardi di dollari nel 2021 quelli di Taiwan nella Repubblica popolare, in calo di circa il 60 per cento rispetto al 2010. Mentre sempre l’anno scorso gli investimenti della Cina continentale sull’isola sono stati di 116,24 milioni di dollari, in calo del 66,73 per cento rispetto al picco del 2013.
La strategia del Dpp invece sembra più politica che economica: internazionalizzare la questione taiwanese, che secondo Pechino è un affare interno, che riguarda la sovranità e l’integrità territoriale della Cina. Legando maggiormente la sua economia ai paesi dell’Indo-Pacific economic framework (Ipef) annunciato da Biden nel maggio scorso e ad altre economie avanzate, la presidente Tsai Ing-wen e il suo partito puntano ad aumentare il riconoscimento internazionale del paese. «Questo non solo rappresenta il forte desiderio e la motivazione di Taiwan e degli Stati Uniti nell’approfondimento della loro partnership economica e commerciale, ma apre anche una nuova pagina delle relazioni commerciali Taiwan-Usa, che stabilirà un nuovo modello per le partnership economiche e commerciali di Taiwan con altri nell’Indo-Pacifico», ha spiegato la portavoce del ministero degli esteri di Taipei, Joanne Ou.
La missione canadese
In questa direzione va anche l’annuncio, arrivato ieri da Ottawa, che una delegazione di parlamentari si recherà a Taiwan nel mese di ottobre, per rafforzare la cooperazione commerciale tra il Canada e Taiwan. Mentre da lunedì a mercoledì prossimi, sarà la volta di un gruppo di parlamentari giapponesi, guidati dal liberaldemocratico Keiji Furuya, presidente del Consiglio consultivo della Dieta giapponese-Repubblica di Cina, secondo quanto riferisce l’agenzia nipponica Kyodo.
E ieri Washington e Pechino sono tornate a scambiarsi accuse a proposito del viaggio a Taipei della terza carica degli Stati Uniti. Il sottosegretario di stato con delega agli affari dell’Asia orientale e del Pacifico, Daniel Kritenbrink, ha accusato la Cina di condurre «un’intensa campagna per intimorire Taiwan», utilizzando come “pretesto” la mossa di Pelosi. L’ambasciatore cinese a Washington, Qin Gang, ha replicato che il suo governo «ha fatto il massimo sforzo per evitare che questa crisi venisse imposta alla Cina», ma Washington «ha scelto di non ascoltare».
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