Nei giorni scorsi è passata quasi inosservata la notizia che il priore della comunità monastica di Taizé, il cattolico tedesco Alois Löser, lascerà l’incarico e che ha designato come successore un anglicano. Sarà così il britannico Andrew Thorpe, che da monaco ha preso il nome di Matthew, a guidare dal prossimo 3 dicembre (prima domenica d’Avvento e dell’anno liturgico) una delle realtà del cristianesimo contemporaneo più interessanti per la sua caratteristica ecumenica.

La regola di Taizé, minuscolo villaggio della Borgogna meridionale, non prevede scadenze per la carica di priore, e fratel Alois non ha addotto motivi per la sua rinuncia. Dopo aver guidato per 18 anni la comunità, ha scritto di aver preparato questo passo senza essere costretto da «una situazione di urgenza», rivelando che per scegliere chi avrebbe preso il suo posto ha consultato per due anni tutti i confratelli.

Il cambio

Nel 2019 uno dei monaci di Taizé era stato arrestato per abusi. Al quotidiano cattolico La Croix il priore ha dichiarato che la sua rinuncia non è legata a quell’episodio – che suscitò sensazione per la stima internazionale riservata alla comunità – ma ha ammesso che ascoltare «persone vittime di aggressioni sessuali e di abusi spirituali commessi da alcuni fratelli ha segnato, in questi ultimi anni», il suo incarico di priore e imposto una revisione dell’impegno comunitario. Aggiungendo che anche su questo fronte il suo successore dovrà proseguire sulla strada intrapresa.

Oggi sessantanovenne, Löser – entrato nella comunità a vent’anni, nel 1974 – era stato scelto dal fondatore Roger Schutz a succedergli già nel 1978, ma la decisione venne comunicata a pochissimi molto più tardi, nel 1998.

E solo nel 2005 ha assunto la carica di priore, quando il novantenne fratel Roger fu assassinato il 16 agosto durante la preghiera della sera da una squilibrata: un episodio sconvolgente, che richiamò il «mistero dell’iniquità» accennato nella seconda lettera ai Tessalonicesi.

La specificità di Taizé

Roger Schutz (foto Ap)

Il cinquantottenne futuro priore è nella comunità da quando aveva ventun anni, e il passaggio dal cattolico Löser all’anglicano Thorpe, dall’indubbio significato ecumenico, conferma la specificità di Taizé.

La comunità monastica era infatti all’inizio composta solo da protestanti ma ha poi accolto anglicani e, dalla fine degli anni Sessanta, soprattutto cattolici. I fratelli, oggi un centinaio appartenenti a una trentina di nazionalità, sono in grande maggioranza per l’appunto cattolici e per tre quarti risiedono a Taizé, mentre gli altri vivono in sette piccole «fraternità» in Asia, Africa e America.

La comunità venne fondata nel minuscolo e quasi disabitato villaggio a pochi chilometri da Cluny – luogo simbolo del monachesimo riformatore medievale – da Roger Schutz.

Il pastore calvinista svizzero aveva venticinque anni quando nell’estate del 1940 giunse per la prima volta sulla collina di Taizé, nella Francia appena travolta dalla Germania nazista. Era il 20 agosto, festa di san Bernardo, amatissimo nelle tradizioni monastiche che attraevano il giovane protestante, e la data gli sembrò un presagio.

La comunità

Schutz, che già in famiglia aveva maturato una sensibilità per le diverse correnti cristiane, iniziò ad accogliere in una grande casa del villaggio rifugiati ed ebrei perseguitati.

Il pastore protestante progettava una vita comune insieme ad alcuni amici, ma questa venne avviata due anni più tardi a Ginevra, per l’impossibilità di rimanere in Francia. Rientrato a Taizé ancora prima della fine della guerra, il giovane svizzero tornò a ospitarvi molte persone, soprattutto prigionieri tedeschi e bambini orfani.

Proprio la vocazione monastica – costituita da una vita comunitaria scandita dalla preghiera, dal lavoro e dall’accoglienza di ogni ospite, identificato con Cristo – era all’origine della scelta di Schutz e dei suoi amici, tutti protestanti. Questi nel 1949 decisero di impegnarsi in una comunità, le cui caratteristiche vennero più tardi delineate nella Regola di Taizé, ispirata soprattutto a quella benedettina.

Taizé e i giovani

Diffuso nell’ortodossia e nel cattolicesimo ma quasi assente nel mondo protestante, il monachesimo era stato ripreso fin dal XIX secolo in poche comunità anglicane e luterane, ma la scelta dei fratelli di Taizé è stata dirompente – e all’inizio malvista, soprattutto nel mondo protestante francese – per l’indirizzo accentuatamente ecumenico e sempre più vicino alla chiesa cattolica.

Già nel 1949 fratel Roger fu ricevuto da Pio XII con uno dei primi compagni, il teologo Max Thurian, e dal 1958 gli incontri del priore con i papi sono divenuti una consuetudine almeno annuale.

Schutz e Thurian furono tra gli osservatori non cattolici al concilio Vaticano II, e in quegli anni l’appartamento affittato dalla comunità nel centro di Roma divenne uno dei luoghi più frequentati da molti vescovi.

Proprio allora, nel 1962, il priore e alcuni fratelli iniziarono, nel riserbo più assoluto, a visitare i paesi comunisti dell’Europa centrale e orientale, mentre a Taizé un numero crescente di giovani arrivava per condividere la giornata dei monaci, segnata tre volte al giorno dalla preghiera.

Nell’agosto di quell’anno a Taizé – dove non bastava più la piccolissima chiesa romanica – s’inaugurava una moderna e austera Église de la Reconciliation di cemento, ravvivata dai colori di piccole vetrate di uno dei monaci, Éric de Saussure, e presto allargata con tendoni.

All’apertura di un «concilio dei giovani» nel 1974, sempre in agosto, erano quarantamila, ospitati in una tendopoli allagata da una pioggia torrenziale dove si aggirava il cardinale Willebrands, inviato da Paolo VI.

L’essenziale

Quella sorta di Woodstock religiosa, poi gli incontri europei di fine d’anno e un «pellegrinaggio di fiducia» in diversi continenti hanno ispirato le giornate mondiali cattoliche della gioventù, e nel 1986 visitò Taizé lo stesso Giovanni Paolo II. Ma è l’esperienza della comunità ad aver costituito un laboratorio originale, proprio mentre l’ecumenismo segna il passo.

Al tempo dapprima della contestazione, poi dell’allontanamento dalla fede e delle derive settarie, Taizé non ha infatti voluto costituire un movimento ma ha cercato di spingere molti giovani alla riconciliazione, nelle parrocchie e all’interno delle diverse chiese cristiane.

«A Taizé, avete i canti e il silenzio e con questo andate verso l’essenziale» commentò Benedetto XVI al connazionale Löser, che in quell’udienza chiese a Ratzinger: «Cos’è l’essenziale?». E il papa rispose: «Un incontro personale con Dio, con Cristo».

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