- In poche ore la comunità internazionale si è mobilitata per prestare soccorsi e fornire aiuti umanitari. Ma se la Turchia può vantare un apparato statale funzionante, in grado – seppur con difficoltà – di prestare soccorso alla sua popolazione, per la Siria il discorso è molto diverso.
- In dodici anni milioni di rifugiati si sono insediati lungo il confine – lo stesso distrutto dal terremoto magnitudo 7.8 di lunedì – ammassati in campi profughi costruiti dalle autorità turche e dalle Nazioni unite.
- La guerra in Ucraina assorbe gran parte delle risorse statali oltre a tutte le attenzioni della politica estera del Cremlino e difficilmente il presidente russo può impegnarsi attivamente nel lungo periodo in Siria con la stessa intensità avuta negli anni prima dell’invasione.
Le immagini del terremoto che nella notte tra il 5 e 6 febbraio ha scosso il confine tra la Turchia e la Siria sono devastanti. Il numero dei morti continua ad aumentare ogni ora. Se ne contano oltre cinquemila, ma il dato è ancora approssimativo. Aleppo, Latakia, Hama e Idlib sono le città siriane più colpite. Le stesse che negli anni sono state al centro degli scontri tra i miliziani dell’Isis, le forze governative e i ribelli.
In poche ore la comunità internazionale si è mobilitata per prestare soccorsi e fornire aiuti umanitari. Ma se la Turchia può vantare un apparato statale funzionante, in grado – seppur con difficoltà – di prestare soccorso alla sua popolazione, per la Siria il discorso è molto diverso.
Dodici anni di guerra civile hanno ridotto in macerie quello che spesso viene definito un failed state. Il presidente Bashar al Assad e isolato a livello internazionale ed è rimasto al potere grazie all’intervento di Vladimir Putin.
In dodici anni milioni di rifugiati si sono insediati lungo il confine – lo stesso distrutto dal terremoto magnitudo 7.8 di lunedì – ammassati in campi profughi costruiti dalle autorità turche e dalle Nazioni unite. Per centinaia di migliaia di persone al dramma della guerra si somma quello delle calamità naturali e il loro futuro è sempre più incerto.
La Germania ha stanziato diversi milioni di euro per aiuti internazionali verso la Siria, mentre il Qatar ha deciso di inviare in Turchia circa 10mila case mobili come rifugio momentaneo lungo il confine.
Molte strade, però, sono distrutte e gli aiuti faticano ad arrivare nelle aree con più necessità, soprattutto nel nord siriano. L’Organizzazione mondiale della sanità stima che circa 23 milioni di persone soffriranno i disagi del terremoto, di cui 5 milioni sono già vulnerabili.
Le difficoltà russe
Benché Bashar al Assad sia isolato a livello internazionale, può godere dell’appoggio di diversi leader. Primo fra tutti il presidente russo che è stato tra i primi a chiamare l’ufficio della presidenza di Damasco per esprimere condoglianze e solidarietà. In giornata, Assad ha ricevuto anche la chiamata del presidente iraniano Ebrahim Raisi.
Nel pomeriggio del 6 febbraio il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha ordinato ai soldati russi presenti nella base militare di Hmeimim – la stessa da dove partivano i raid aerei contro la popolazione civile siriana e dove venivano addestrate le milizie di Assad – di mobilitarsi per fornire soccorsi nelle aree terremotate.
Al momento il Cremlino non si spinge oltre, fornisce aiuti umanitari e mani per scavare tra le macerie. La guerra in Ucraina assorbe gran parte delle risorse statali oltre a tutte le attenzioni della politica estera del Cremlino e difficilmente il presidente russo può impegnarsi attivamente nel lungo periodo in Siria con la stessa intensità avuta negli anni prima dell’invasione.
Resta da capire come si muoveranno gli stati arabi e lo stesso presidente turco Recep Tayyip Erdogan che in dodici anni ha accolto nel paese circa 3,6 milioni di rifugiati. Accogliere ulteriori profughi, magari incassando un altro accordo miliardario con l’Unione europea come accaduto nel marzo del 2016, è una mossa politica da non sottovalutare.
Erdogan rafforzerebbe la sua figura da paciere, da risolutore di conflitti, come già accaduto in Ucraina con il raggiungimento dell’accordo sul grano e le mediazioni per la messa in sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Sullo sfondo, ci sono le elezioni turche del prossimo 14 maggio.
I paesi arabi
Con le incognite di Russia e Turchia i media governativi siriani hanno dato risalto alla chiamata dello sceicco degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed ad Assad. Negli ultimi due anni, il piccolo emirato è stato tra i paesi del Golfo Persico più propenso a riallacciare i rapporti con Damasco.
Lo scorso marzo il presidente siriano si è recato ad Abu Dhabi completando la prima visita di stato ufficiale verso un paese arabo da quando è scoppiata la guerra civile nel 2011. L’obiettivo degli emiratini è quello di mediare per normalizzare i rapporti tra la Siria e la Lega Araba e uscire dallo stallo politico nell’area per arrivare a una stabilità futura. Per il momento Mohammed bin Zayed ha promesso aiuti umanitari, così come il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi che per la prima volta in nove anni ha avuto un colloquio con Assad. La tragedia del sisma rischia di riabilitare la figura politica di un leader che fino a qualche anno fa era inesistente.
Le altre grandi incognite sono è la questione curda e le sacche jihadiste presenti lungo il confine. Tra le aree colpite dal sisma ci sono quelle già nel mirino delle offensive del presidente turco a danno delle milizie curde. Si segnalano vittime e feriti a Kobane, Manbji, Sheeba e ad Afrin, ma le poche notizie che giungono dall’area non permettono di avere un quadro reale della situazione. Erdogan non tenderà la mano, ma sono tutti in attesa di capire la portata dell’ennesima crisi umanitaria che ha colpito la Siria.
© Riproduzione riservata