L’appello per l’embargo del gas è stato criticato perché troppo bellicista o troppo pacifista, contraddizione comune in un dibattito poco interessato alla logica. Ma un’iniziativa energetica europea rimane l’unica arma efficace contro Putin
- L’8 aprile scorso è uscito su Domani l’appello“Embargo a gas e petrolio: per fermare Putin dobbiamo tutti fare sacrifici”. L’appello ha a tutt’oggi ricevuto 20mila firme e alcuni commenti critici ai quali intendiamo rispondere qui.
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Colpisce, a leggere i commenti, per lo più critici, sul nostro appello il loro carattere opposto e complementare. C’è chi contesta un eccesso bellico prodotto dall’embargo e chi, al contrario, polemizza con il pacifismo strisciante di una posizione che non parla di armi.
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Esistono tre sole opzioni in campo: girare la testa dall’altra parte; alimentare sempre più lo scontro armato; sottrarre a Vladimir Putin il denaro e il consenso per continuare la guerra e farlo sedere al tavolo della tregua.
L’8 aprile scorso è uscito su Domani l’appello “Embargo a gas e petrolio: per fermare Putin dobbiamo tutti fare sacrifici”. L’appello ha a tutt’oggi ricevuto 30mila firme e alcuni commenti critici ai quali intendiamo rispondere qui.
Lo facciamo anche per cogliere l’occasione di menzionare le potenzialità pratiche e politiche che l’embargo potrebbe avere o sarebbe desiderabile che avesse, un aspetto che non ci era sembrato opportuno trattare nell’appello, che è un documento di sensibilizzazione, non di politica economica. In questa risposta ci soffermiamo molto brevemente su queste potenzialità.
Critiche contraddittorie
Colpisce, a leggere i commenti, per lo più critici, sul nostro appello il loro carattere opposto e complementare. C’è chi contesta un eccesso bellico – un’economia di guerra – prodotto dall’embargo.
E chi, al contrario, polemizza con il pacifismo strisciante di una posizione che non parla di armi. Alcuni interpretano il documento in chiave americana – per il riferimento ai soldati americani morti in difesa dell’Europa nella seconda guerra mondiale.
Altri in chiave antiamericana, per l’aggettivo «guerrafondai». Basterebbe lasciare che gli uni rispondessero agli altri, senza intervenire, per neutralizzare nel modo più comodo queste critiche.
Ma vorrebbe dire sottrarsi al confronto o, persino peggio, mostrarsi indifferenti a chi ha idee diverse e al dialogo. Quello che emerge dall’insieme delle polemiche sono due elementi.
Il primo riguarda l’oggettiva convergenza tra estremismi di destra e di sinistra che, da Weimar in poi, ha avuto spesso effetti distruttivi. Non parliamo di intenzioni, ma di effetti.
Anche con il Covid si è registrata la stessa paradossale convergenza. Prima o poi il cerchio rossobruno si stringe alla gola di chi cerca di ragionare senza urlare o lamentarsi.
Gli esiti sono deleteri per la tenuta della democrazia e anche per quella della logica, certamente per il tenore del discorso pubblico, che vede compromessa l’efficacia della sua funzione di controllo ed indirizzo della decisione politica. Il paradosso è che a tanto fragore polemico fa seguito impatto scarso o nullo su chi ci governa.
Tre opzioni
La seconda considerazione, priva di ogni presunzione, è che evidentemente siamo riusciti a toccare la corda giusta. A individuare un punto di equilibrio tra quelli che un tempo si chiamavano “opposti estremismi”.
La verità, come appare in tutta evidenza, è che esistono tre sole opzioni in campo: girare la testa dall’altra parte; alimentare sempre più lo scontro armato; sottrarre a Vladimir Putin il denaro e il consenso per continuare la guerra e farlo sedere al tavolo della tregua – ammesso che si decida a farlo.
L’obiezione, che pure si è sentita, che saremmo per la decrescita economica è talmente artificiosa che non varrebbe neanche la pena di commentarla.
Va detto che nessuno di noi immagina una società e uno sviluppo economico senza energia. Non si tratta di abolire il gas, ma di non comprarlo più da chi sta distruggendo un paese – e probabilmente anche sé stesso.
Come si è visto in questi giorni, esistono fornitori alternativi. Esistono giacimenti anche in Italia che, con misura e prudenza, si potrebbero riattivare. Esistono modalità alternative che vanno nella direzione, opportuna, delle rinnovabili.
Qualcuno ha osservato che su questo punto occorrerebbe essere assai più precisi. Naturalmente – ma non in un appello. Un appello non è un documento di politica economica – fatto peraltro da non-economisti. È una frustata alle nostre coscienze, una dichiarazione di sdegno, una richiesta di mobilitazione, che però indica una direzione ragionevole e praticabile.
L’unica in questo momento di animosità eccessiva e confusione mentale. L’unica che riuscirebbe, inoltre, a rendere i nostri governi capaci di scelte coraggiose e ragionevoli, come quella di impiegare le risorse che vorrebbero usare per accrescere gli arsenali a sostenere le loro società nazionali per attutire al massimo i danni dell’embargo sull’economia.
E siccome questa scelta ha l’efficacia desiderata se presa non da singoli paesi, grazie ad essa l’Unione europea potrebbe uscire dal cono d’ombra di inazione nel quale si è cacciata e acquisire un protagonismo politico autonomo e più funzionale agli interessi dei suoi cittadini, i quali hanno tutto da perdere dalla continuazione della guerra.
Poche volte si è vista tanta incapacità di ragionare senza anatemi e aggressioni verbali. Quando un soggetto più debole è aggredito, o violentato, da uno più forte, va aiutato.
In tutti i modi possibili – tutti – che non creino rischio maggiore per lui stesso e gli altri. Dovrebbe essere semplice. Ma, evidentemente, la semplicità e il rigore logico non godono di buona fama.
Firma qui l’appello.
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