Durante l’incontro di lunedì scorso a Tianjin tra l’inviata di Biden, Wendy Sherman, con il ministro degli esteri cinese Wang Yi e il suo vice, Xie Feng, non si sono registrati passi in avanti rispetto ad Anchorage, in Alaska, dove, il 18 marzo scorso, l’amministrazione Biden aveva avuto un primo, ruvido faccia a faccia con il governo di Pechino. Il New York Times ha sollevato perplessità sull’approccio alla Cina dell’amministrazione democratica.

(U.S. Department of State via AP)

Perché è importante

  • I vertici della diplomazia cinese hanno consegnato alla sottosegretaria di stato Usa un elenco di precondizioni per far ripartire il dialogo: eliminare le restrizioni agli spostamenti all’estero di funzionari del Partito sanzionati da Trump e Biden; cancellare le limitazioni all’ingresso negli Usa degli studenti cinesi e le restrizioni nei confronti degli istituti di cultura Confucio; che gli Usa la smettano di bollare i media cinesi come “agenti stranieri”; il ritiro della richiesta di estradizione per Meng Wanzhou, la dirigente di Huawei ai domiciliari in Canada. Wang ha sottolineato tre richieste principali: gli Stati Uniti non devono minacciare il sistema socialista cinese; né tentare di rallentare lo sviluppo economico della Cina; e devono rispettare la sua integrità territoriale (senza “interferire” nelle questioni di Taiwan, Hong Kong e del Xinjiang).

Il contesto

  • L’altro ieri la Cina ha inviato a Washington il suo nuovo ambasciatore, il cinquantacinquenne Qin Gang, un fedelissimo di Xi Jinping che si è occupato soprattutto di Europa. Negli ultimi giorni Qin ha incontrato a Shanghai top executive di Disney, Honeywell, Johnson & Johnson, e rappresentanti della Camera di commercio Usa in Cina, favorevoli a relazioni serene tra Pechino e Washington che favoriscano gli affari. L’amministrazione Biden avrebbe scelto come ambasciatore a Pechino Nicholas Burns, 65 anni, docente ad Harvard e già sottosegretario di stato, con esperienza soprattutto in Medio Oriente. Biden e Xi sembrano rassegnati a un lungo, duro braccio di ferro su un ampio ventaglio di questioni politiche ed economico-commerciali.

Mini reattori a sali fusi per un nucleare più sicuro

Un gruppo di ricercatori cinesi guidati dal professor Yan Rui ha svelato il progetto di un reattore nucleare a sali fusi (Tmsr), alimentato dal torio liquido anziché dall’uranio. Il governo di Pechino prevede di completare la costruzione del primo Tmsr entro il 2030, e di installarne una serie nelle aree desertiche del centro e dell’ovest del paese. Come ipotizza un report del Center for International Private Enterprise, la Cina potrebbe esportarli anche lungo la nuova via della Seta, anche perché il torio (del quale ha riserve tra le maggiori al mondo) non può essere utilizzato per le armi atomiche.

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Perché è importante

  • Quello presentato dagli scienziati cinesi è più sicuro dei reattori atomici tradizionali, perché – in caso di incidente – il torio fuso si raffredda e solidifica più rapidamente dell’uranio, disperdendo nell’ambiente una quantità minore di radiazioni. Secondo un paper pubblicato dal professor Yan dello Shanghai Institute of Applied Physics sulla rivista cinese Nuclear Techniques, i reattori a torio possono avere dimensioni ridottissime (3 per 2,5 metri) e giocare un ruolo chiave nella transizione verso forme di energia pulita.

Il contesto

  • Il Tmsr di Yan può sprigionare fino a 100MW, molto meno di un reattore a uranio, ma abbastanza per fornire elettricità a una città di 100mila abitanti. Secondo gli scienziati coinvolti nel progetto, il piano di costruzione di una rete di reattori a torio liquido potrebbe facilitare il raggiungimento da parte della Cina della neutralità carbonica entro il 2060. L’energia prodotta da questi piccoli reattori potrebbe essere messa in rete assieme a quella generata da parchi solari e ed eolici, partendo da aree remote per fornire l’energia elettrica ai grandi centri urbani.

Yuan di Lorenzo Riccardi

Investire nello Zhejiang

Lo Zhejiang è una delle province più ricche della costa orientale del paese. L’area è nota per il proprio tessuto imprenditoriale, da cui proviene la più grande comunità cinese emigrata in Italia, ed è caratterizzata da un’ampia concentrazione di aziende high tech e una prevalenza di società private rispetto a quelle a partecipazione statale.
La provincia è un importante polo produttivo e logistico, hub strategico per il settore manifatturiero: auto, tessile, abbigliamento e macchinari soprattutto. Hangzhou è il capoluogo e la città più grande della provincia dello Zhejiang, che ha una popolazione di oltre 64 milioni di abitanti, e si posiziona tra le prime dieci unità amministrative per numero di abitanti, su una superficie totale di 101.800 chilometri quadrati.
La zona pilota di libero scambio dello Zhejiang, creata nel 2017 e poi ampliata nel 2020, si è affermata negli anni come centro globale per il commercio di materie prime con lo scopo di promuovere l’integrazione e lo sviluppo del delta del fiume Yangtze.
La provincia conta più di 40mila società estere e ha un volume di esportazioni superiore a 334 miliardi di dollari e importazioni per 112 miliardi di dollari. In termini di Pil, la provincia dello Zhejiang è classificata quarta in Cina con 995 miliardi di dollari nel 2020, un Pil pro capite di 15.311 dollari, e una crescita di +6,8 per cento nel 2019 e di +3,6 per cento nel 2020.
I principali centri economici sono Hangzhou, Ningbo, Wenzhou, Shaoxing, Jiaxing e i principali settori sono legati a macchinari industriali, tessile, e-commerce e automotive.

Cacciata dal NYSE, China Telecom sbarca a Shanghai

Giovedì 22 luglio l’autorità di controllo delle borse ha dato il via libera a China Telecom per quotarsi a Shanghai, due mesi dopo che la telco cinese era stata cacciata (assieme a China Mobile e China Unicom) dal New York Stock Exchange in seguito a un procedimento di “delisting”, per presunti legami della compagnia con l’esercito, l’intelligence e i servizi di sicurezza della Repubblica popolare cinese. Nel prospetto pubblicato da China Telecom è prevista la vendita di azioni per 54,4 miliardi di yuan, una raccolta pari a 8,4 miliardi di dollari.

Visitors look at a display from Chinese telecommunications firm China Telecom at the PT Expo in Beijing, Thursday, Oct. 31, 2019. The New York Stock Exchange has withdrawn plans to remove shares of three Chinese state-owned phone carriers under an order by President Donald Trump that Beijing warned might lead to retaliation. (AP Photo/Mark Schiefelbein)

Perché è importante

  • Quella di China Telecom sarà la quotazione in una borsa cinese più ricca dell’ultimo decennio. I capitali raccolti verranno utilizzati per la prossima generazione di reti 5G e investiti in ricerca e sviluppo. China Telecom si era quotata a Hong Kong nel 2002, lo stesso anno in cui sbarcò a Wall Street. Dall’inizio del 2021 (da quando è stato chiaro che sarebbe stata cacciata dal NYSE) il valore delle azioni di China Telecom nell’ex colonia britannica è aumentato di oltre il 49 per cento. Secondo i media di stato cinesi, il “ritorno in patria” di queste compagnie favorirà i loro piani di sviluppo. Anche il Financial Times ipotizza che un continuo progressivo “delisting” dalle piazze azionarie Usa delle compagnie cinesi finirebbe per impoverire le prime e far decollare le borse di Shanghai e Shenzhen.

Il contesto

  • La cacciata delle telco di stato cinesi da Wall Street è avvenuta in seguito alla firma da parte dell’ex presidente Usa, Donald Trump, di un ordine esecutivo che vieta agli americani di investire in compagnie che, secondo Washington, hanno legami con l’esercito, l’intelligence e i servizi di sicurezza della Repubblica popolare cinese. La norma è rimasta in vigore con l’arrivo dell’amministrazione Biden. Allo stesso tempo anche il governo di Pechino sta scoraggiando le Offerte iniziali d’acquisto negli Usa, sia per rafforzare i mercati dei capitali cinesi in una fase in cui le sue compagnie non sono più benvenute negli States, sia per tenere lontane da “occhi indiscreti” le compagnie tecnologiche in possesso di una enorme mole di dati.

Questa settimana vi consigliamo tre storie sulla devastante alluvione nella provincia dello Henan:

As the Waters Rise, a Henan County Fights for Survival;

Trapped;

Zhengzhou floods serve China’s urban planners deadly warning.

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani e vi dà appuntamento alla prossima newsletter.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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