Il presidente turco si è fatto portavoce negli anni della causa palestinese e ha mantenuto legami con Hamas, ma ha continuato a rafforzare i rapporti con Israele. Adesso vuole usare la sua posizione ambigua per mediare, come già fatto in Ucraina
Poche ore dopo l’inizio della guerra tra Hamas e Israele, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha fatto ciò che gli viene meglio negli ultimi mesi, almeno a parole: proporsi come mediatore tra le parti e far cessare le ostilità. Il capo di stato turco si è subito lanciato in una serie di chiamate con l’omologo israeliano Isaac Herzog e quello palestinese Mahmoud Abbas, ma ha anche sentito i leader di Egitto, Qatar e Libano, tutti coinvolti in diverso modo nella questione israelo-palestinese. La tv turca è persino arrivata a dire che Erdogan aveva avviato un processo negoziale per il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas a Gaza, notizia che però non ha trovato seguito.
Questo ennesimo tentativo di Erdogan di porsi come mediatore in un conflitto presenta ancora una volta un alto grado di ambiguità. Il presidente turco ha una posizione ambivalente nei confronti della questione israelo-palestinese, un’ambivalenza che ricorda quella emersa con il conflitto tra Russia e Ucraina e nelle sue relazioni con la Nato. Ma andiamo con ordine.
Il conflitto in Medio Oriente
Il presidente turco cerca da tempo di ritagliarsi il ruolo di protettore dei palestinesi e in generale della comunità musulmana – soprattutto da quando diversi paesi a maggioranza musulmana hanno siglato degli accordi di pace con Israele – ma i rapporti tra Ankara e Tel Aviv sono più stretti di quello che si pensa. A livello economico, nel 2021 la Turchia è stata il settimo partner commerciale di Israele e tra il 2010 e il 2021 l’export turco verso lo stato ebraico è cresciuto fino a superare nel 2022 i 6 miliardi di dollari. Israele a sua volta è stato il nono partner commerciale di Ankara, anche se l’export si è fermato ai 2,7 miliardi di dollari. Le relazioni economiche dunque sono decisamente positive e vanno di pari passo con il riavvicinamento ufficiale iniziato nel 2020 e che ha raggiunto il suo punto massimo un anno fa.
Allo stesso tempo però la Turchia di Erdogan ha continuato a dimostrare una certa vicinanza a Hamas, movimento che nel paese anatolico non è mai stato inserito tra le organizzazioni terroristiche. Non a caso la Turchia è stata spesso definita come un posto sicuro per i leader di Hamas e il sostegno offerto da Erdogan al movimento è da sempre un punto critico nelle relazioni con Israele. Solo in tempi più recenti il governo turco ha deciso di espellere alcuni esponenti di Hamas presenti nel suo territorio, ma di certo non per fare un favore a Israele. Dopo la firma degli accordi di Abramo tra Tel Aviv e alcune monarchie del Golfo la Turchia rischiava di trovarsi isolata a livello regionale e internazionale, per cui ha modificato la sua posizione ufficiale verso Hamas quel tanto che bastava per risanare e rafforzare i legami con lo stato ebraico e altri paesi dell’area. Con un occhio anche ai progetti energetici nella regione.
Il conflitto in corso, dunque, è l’occasione per Erdogan di presentarsi come un attore super partes. Il presidente ha messo da parte i toni più duri del passato e ribadito la necessità di una pace duratura in Medio oriente, proponendo una soluzione a due stati e il ritorno ai confini del 1967 con Gerusalemme est come capitale della Palestina. La capacità di Erdogan di mantenersi in equilibrio tra le due parti in conflitto potrebbe effettivamente favorire il presidente nel suo ruolo di mediatore, ma molto dipende dalla fiducia che Hamas e Israele avranno nei suoi confronti. La condanna verso gli attacchi condotti da Israele contro Gaza e la sua popolazione civile e le critiche mosse verso gli Stati Uniti non aiutano di certo il presidente turco, che ha cercato così di riguadagnare fiducia agli occhi di Hamas.
Il presidente turco non è certo nuovo a questi equilibrismi. Erdogan continua a presentarsi come una figura di raccordo tra Russia e Ucraina grazie ai legami che mantiene con entrambe le parti, alla posizione geografica del suo paese e all’appartenenza della Turchia alla Nato. Allo stesso tempo però prosegue con la vendita di droni a Kiev e si rifiuta di sanzionare la Russia, ricavando così anche un guadagno economico da una guerra che pensa - con scarsi risultati - di poter far cessare. Ma ad essere ambiguo è anche l’atteggiamento di Erdogan nei confronti della Nato. Il capo di stato turco ha giocato la carta dell’appartenenza all’Alleanza per mediare tra occidente e Russia, ma allo stesso tempo continua ad opporsi all’adesione della Svezia, dopo aver rimandato per mesi quella della Finlandia. Guardando poi al conflitto tra Hamas e Israele salta agli occhi un’altra contraddizione. Erdogan ha condannato le morti civili causate dagli attacchi aerei israeliani e la decisione di Tel Aviv di assediare Gaza, ma il comportamento dello stato ebraico non è così diverso da quello tenuto da Ankara nella Siria e nell’Iraq del nord. La Turchia bombarda ripetutamente entrambe le regioni per colpire le milizie curde, ma negli attacchi sono spesso coinvolti civili e infrastrutture non militari.
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