Hezbollah smentisce che abbia fatto partire il razzo che ha provocato il massacro del campo di calcio. I partiti israeliani più estremisti invocano subito una reazione. Ma il premier Netanyahu è già sotto pressione per la guerra a Gaza
Mentre Netanyahu festeggiava, dopo la trasferta americana, il compleanno di suo figlio, si infuocava pericolosamente il fronte Nord del suo Paese, bersagliato da quasi dieci mesi di lanci ininterrotti da parte delle milizie libanesi filo-iraniane di Hezbollah.
Attacchi a cui sono sempre seguite le risposte israeliane in un gioco tattico, che, pur creando danni e forti disagi da entrambe le parti, si è sempre mantenuto in una dimensione tale da non sfociare in un conflitto su larga scala, che, davvero, non sembra convenire a nessuno e che, per il fronte israeliano, irriterebbe ulteriormente il già sensibile alleato americano.
Ma quando si inizia a sparare, è noto, l’errore, se di tale si tratta, è sempre dietro l’angolo e l’uccisione di dieci persone (dati sempre in aggiornamento man mano che passa il tempo), tra cui dodici fra bambini e ragazzi, nel villaggio druso di Majdal Shams, capitale de facto della regione del Golan, controllato da Israele dal 1967 rischia di modificare l’equazione. La nebbia attorno all’episodio è ancora fitta.
La posizione di Hezbollah
Il leader di Hezbollah Nasrallah si è affrettato a far sapere che il Partito di Dio (questa la traduzione italiana del nome del movimento) non c’entra nulla con l’attacco, ma davvero risulta difficile immaginare altre sigle dietro la strage. Pare che l’Unifil si sia messo subito al lavoro per mediare fra le parti, ma la comunità drusa, tra le più fedeli allo Stato ebraico dove hanno trovato protezione dalle persecuzioni dei loro «fratelli» arabi e già ripagata con una crescita di un sentimento suprematista ebraico che minaccia anche la loro condizione di parità (non a caso i drusi furono tra i protagonisti delle manifestazioni contro la Legge della nazione del 2018), esige una risposta esemplare da quell’esercito che dovrebbe proteggerli. I segnali che sono subito arrivati spulciando i social non sono dei più rassicuranti.
Nel mentre si affrettava a declinare ogni responsabilità, Hezbollah pare stesse già facendo sgomberare il proprio quartier generale nel Sud del Paese.
Tra gli addetti ai lavori si parla di piani di azione che l’IDF sta presentando al governo, dove sono inclusi vasti bombardamenti su Beirut. Se fosse così, l’Iran potrebbe decidere di intervenire in qualche forma. Probabilmente è qui l’incognita: una risposta israeliana ci sarà senz’altro e si è sentita già nella notte appena trascorsa, ma il dove e il come faranno la differenza. Intanto si riaccendono i fronti interni.
Le reazioni dei partiti
Il Presidente del Partito Arabo Unitario libanese Wiam Wahhab, druso a sua volta, ha subito chiesto una commissione d’inchiesta indipendente a cui prendano parte anche le Nazioni Unite «per scoprire le circostanze del massacro di Majdal Shams».
Il ministro estremista israeliano Itamar ben-Gvir, distintosi in questi giorni di tournée americana del suo leader di governo per aver candidamente ammesso di aver violato gli accordi che regolano l’accesso ebraico al Monte del Tempio/Spianata delle moschee, appena conclusa la pausa dello Shabbat si è affrettato a twittare grida di vendetta per il sangue dei bambini. Proprio lui, che del sangue arabo, per usare il suo turpe linguaggio, non si è mai molto impressionato.
L’altro esponente del sionismo religioso nel governo, Bezalel Smotrich, non è da meno e chiede che sia l’intero Libano a pagare per quanto avvenuto. Insomma, i cultori dell’estensione del conflitto sono già al lavoro.
Bisognerà vedere cosa ne pensa Netanyahu, stretto, come sempre, fra le pressioni americane e quelle interne. Ancora una volta, un lascia passare per una reazione, come pare ci sia, non significa carta bianca su ogni opzione. Chiunque sarà il Presidente degli Stati Uniti, gli interessi americani spingono sempre per un disimpegno dal Medio Oriente per concentrare gli sforzi verso l’Indo-Pacifico.
Lo stesso Trump lo ha già fatto capire a Bibi chiaramente, sottolineando che la guerra a Gaza è già durata troppo a lungo. Conterà anche il parere dell’esercito. La risposta al drone yemenita ha fatto capire che la dottrina di guerra israeliana è sempre la stessa: deterrenza.
Far capire al nemico che attaccare Israele ha un prezzo salatissimo. Come questo si tradurrà nell’incandescente scenario libanese sarà da osservare nelle prossime ore o giorni. La speranza è che nessuno voglia dare seguito allo scenario di scontro fra barbarie e civiltà descritto da Bibi al congresso americano.
© Riproduzione riservata