Le milizie armene accettano il disarmo e i negoziati inizieranno entro giovedì. Lo scontro sembra quindi rientrare dopo sole 24 ore. Ma quali sono le prospettive del conflitto e come è intervenuta la mediazione russa?
È stato raggiunto il cessate il fuoco nell’enclave contesa del Nagorno Karabakh, con l’indicazione che i negoziati diplomatici tra Azeirbagian e armeni si terranno entro giovedì. Inoltre si è appreso che le milizie armene territoriali hanno accettato di smobilitare “con la mediazione russa”. La vicenda pare dunque concludersi dopo 24 ore con la sconfitta armena e la vittoria sul campo degli azeri.
Come è potuto accadere tutto ciò? In precedenza era intervenuto il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, che aveva definito «assolutamente infondate» le accuse dell’Armenia secondo cui la Russia non avrebbe fatto abbastanza per far rispettare gli accordi sul Nagorno-Karabakh, dove Mosca ha schierato un contingente di 2mila soldati con l’obiettivo ufficiale di garantire il rispetto del cessate il fuoco dopo i sanguinosi combattimenti di tre anni fa.
Peskov, parlando dell’operazione militare azera nella regione separatista, aveva anche dichiarato che «de jure ora si parla di azioni dell’Azerbaigian sul proprio territorio». «Il secondo criterio molto significativo in questo momento è che il premier» armeno «Pashinyan ha annunciato il riconoscimento dei confini dell’Azerbaigian del 1991. Ciò – ha proseguito il portavoce di Putin – significa che la parte armena ha riconosciuto il Karabakh come parte integrante del territorio azero». Esattamente quello che aveva deciso il dittatore sovietico Stalin nel 1921 cedendo il Nagono Karabakh, di etnia armena, all’Azeirbagian.
Il segnale del Cremlino, storicamente potenza amica di Erevan ma anche potenza egemone dell’area, è quello di aver abbandonato al suo destino l’Armenia cristiana che non ha potuto far altro che cedere. E se Mosca decide, come in questo caso di non intervenire militarmente a difesa dello status quo, allora lascia campo libero agli azeri musulmani sostenuti dalla Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan.
Il precedente monito di Mosca
Il mese scorso c’è stato un monito russo a Erevan passato sotto silenzio. La Russia si era rammaricata delle intenzioni armene di tenere esercitazioni congiunte con gli Stati Uniti. Lo aveva detto il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, in una conferenza stampa dopo il vertice del G20 a Nuova Delhi, aggiungendo che questa decisione «è deplorevole».
La Russia non vede «molto di buono nei tentativi della Nato di infiltrarsi nel Caucaso meridionale», aveva sottolineato Lavrov. «Non penso che questo sia un bene per nessuno, compresa la stessa Armenia». In quei giorni il ministero della Difesa armeno aveva annunciato che il paese del Caucaso meridionale avrebbe ospitato un’esercitazione militare congiunta Eagle Partner 2023, con gli Stati Uniti dall’11 al 20 settembre. Un nuovo motivo di scontro tra Nato e Russia che come abbiamo visto con l’Ucraina ha portato al riaccendersi dei conflitti sopiti o mai spenti dopo tre anni di colloqui di pace infruttuosi.
La Russia quindi non è affatto distratta dal conflitto in Ucraina ma ha solo deciso di “punire” Erevan per aver aderito a manovre della Nato. L’attacco al Nagorno Karabakh è dunque un conflitto che si riaccende perché la Russia permette che questo succeda e punisce gli armeni “infedeli” che flirtano con la Nato e l’Occidente.
Non a caso il primo ministro armeno Nikol Pashinian ha ribadito che l’Armenia non ha partecipato alla stesura dell’accordo per il cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh, mediato dai peacekeeper russi. Pashinian ha aggiunto che Erevan non aveva più sue truppe nell’enclave in territorio armeno dal 2021. Insomma il destino dell’enclave era tutto nelle mani di Mosca che ha deciso di punire gli armeni.
I vantaggi di Putin
La domanda successiva che si pongono gli osservatori internazionali è la seguente: cosa otterrà Vladimir Putin in cambio da Recep Tayyip Erdogan che sostiene gli azeri a cui ha fornito i micidiali droni turchi? La risposta non è facile ma possiamo tentare qualche ipotesi: è possibile che il presidente Vladimir Putin possa negoziare la riapertura del passaggio del grano nel Bosforo e il mantenimento delle forniture di gas russo ad Ankara che resterebbe fuori dalle sanzioni occidentali a Mosca in campo energetico.
Inoltre Ankara potrebbe mantenere aperta la rotta di volo di Istanbul per i viaggiatori russi che vogliono uscire dalla Russia per affari o per turismo. In ogni caso Mosca ha punito i ribelli armeni e reso evidente chi è la potenza egemone del Caucaso. Questo era il messaggio politico che il Cremlino voleva mandare a chi stava cercando nuovi equilibri o sponde verso Occidente.
La rapida conclusione del conflitto nell’enclave contessa del Nagorno Karabakh, territorio lontano dalle zone di estrazione del gas e petrolio azero che sono offshore nel Mar Caspio, è la prova evidente che Mosca è tornata ad essere l’ago della bilancia degli equilibri geopolitici di quell’area con il rafforzamento dell’intesa con Ankara in versione neo-ottomana.
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