Il presidente e il suo principale avversario sono entrambi alle prese con indagini condotte da procuratori speciali nominati dal dipartimento di giustizia. Per Biden le conseguenze peggiori però derivano da considerazioni marginali, che riguardano la sua memoria, mentre per Trump bisogna evitare le condanne che potrebbero squalificarlo dalla corsa presidenziale
La polarizzazione politica americana è talmente estrema che è quasi impossibile trovare punti di contatto politici. Anche cose scontate come l’alleanza tra Stati Uniti ed Europa ormai non sono più considerate ovvietà. C’è un punto su cui sia Biden che Trump sono concordi: ed è il disappunto nei confronti del dipartimento di Giustizia.
Da un lato l’ex presidente e la sua cerchia attaccano l’attuale inquilino della Casa Bianca accusandolo di aver utilizzato le risorse federali come una sorta di “manganello politico”, mentre Biden ha un rapporto ormai deteriorato con il procuratore generale Merrick Garland, da lui scelto non soltanto per condurre al meglio le indagini sul cerchio magico trumpista, ma anche per sconfiggere il suprematismo bianco.
L’ultima goccia a scavare un fossato tra il presidente e il suo collaboratore è rappresentata dal rapporto pubblicato dal procuratore speciale Robert Hur riguardo alla sottrazione indebita di alcuni documenti secretati che sono stati rinvenuti nella residenza del presidente a Wilmington, in Delaware, e in un think tank di Washington dove Biden ha tenuto alcune lezioni nel periodo compreso tra 2017 e 2021, negli anni successivi alla presidenza di Barack Obama.
Nel rapporto di Hur, che si concludeva con la raccomandazione di non incriminare il presidente, si aggiungeva anche un commento personale riguardo alla «scarsa memoria» del presidente. Secondo gli avvocati della Casa Bianca, un giudizio assolutamente gratuito e fazioso da parte di Hur, che ha servito come procuratore distrettuale in Maryland negli anni di presidenza di Trump.
Nei giorni precedenti all’uscita del report il team legale presidenziale aveva cercato di far uscire un riassunto più stringato del report originario per mitigare le potenziali conseguenze elettorali di un simile parere scritto. Non solo: nelle prossime settimane lo stesso Hur ha dichiarato di essere disponibile a testimoniare di fronte alla Commissione Giustizia della Camera, un’eventualità che i repubblicani tenteranno di capitalizzare politicamente per amplificare la percezione pubblica ormai diffusissima riguardo la senilità del presidente (secondo un recente sondaggio l’86 per cento degli americani lo ritiene troppo vecchio).
Difficilmente dunque, secondo gli analisti, Garland verrà scelto in un eventuale secondo mandato di Biden. Tra le altre critiche che sono state fatte al procuratore generale dalla Casa Bianca ma non solo (un lungo articolo sul magazine di sinistra The Nation lo definisce come uno dei «peggiori procuratori generali» di sempre) c’è anche quello di aver proceduto coi piedi di piombo sui processi riguardanti le interferenze elettorali di Donald Trump dopo le elezioni presidenziali del 2020, un processo che, secondo un consulente di Biden «si sarebbe già dovuto concludere».
C’è però una buona notizia: il procuratore speciale David Weiss che indaga sulle pendenze fiscali di Hunter Biden ha deciso di incriminare per falsa testimonianza la principale fonte delle accuse dei repubblicani sul figlio del presidente. Si tratta di Alexander Smirnov, un quarantatreenne accusato di aver dato documenti falsi all’Fbi riguardante una presunta tangente da cinque milioni di dollari incassata dall’allora vicepresidente Biden e dal figlio Hunter nel 2015 dal colosso ucraino dell’energia Burisma.
Un’insinuazione che oggi si è rivelata infondata e che qualche mese fa era la pietra angolare del processo di impeachment che la maggioranza conservatrice alla Camera dei rappresentanti stava cercando di istituire nei confronti del presidente. Una possibilità che adesso si allontana.
La strategia legale
Dall’altra parte Trump, invece, pur continuandosi a lamentare della “caccia alle streghe” alla quale sarebbe sottoposto da parte del «corrotto» dipartimento di giustizia, ha diversi motivi per stare tranquillo.
La sua strategia legale, che conta molto sul differimento di tutti i processi, sta procedendo in gran parte come sperato. Solo un processo partirà sicuramente: quello riguardante il falso in bilancio sui pagamenti illeciti alla pornostar Stormy Daniels durante la campagna elettorale del 2016. Le accuse in questo caso però, anche qualora venissero dimostrate, non potranno impedire la candidatura di Trump, che anzi potrà rilanciare la tesi sulla persecuzione giudiziaria, per ottenere ulteriore visibilità e mobilitare la sua base.
Nel caso riguardante la pressione indebita sul segretario di stato della Georgia, sulla telefonata fatta dal presidente Trump nel dicembre 2020 al segretario di stato Brad Raffensperger affinché gli trovasse «diecimila voti» per ribaltare i risultati che assegnavano di misura la vittoria al suo avversario, la procuratrice distrettuale Fani Willis rischia di essere rimossa per aver avuto una relazione sentimentale con uno dei suoi collaboratori scelti per aiutarla nelle indagini sulla cerchia legata all’ex presidente che avrebbe cercato di cambiare i numeri dei votanti in Georgia.
Buone notizie vengono anche da Washington: vanno per le lunghe i giudici della Corte suprema riguardo alla decisione sull’immunità del presidente riguardo ai fatti del 6 gennaio 2021.
Anche nelle udienze riguardanti la presenza dell’ex presidente sulla scheda delle primarie repubblicane in Colorado finora i magistrati sembrano inclini a dar ragione all’ex inquilino della Casa Bianca, data l’assenza di condanne.
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