I portavoce della campagna elettorale di Biden hanno fatto sapere che il candidato non ha mai incontrato il socio del figlio Hunter quando era vicepresidente, come invece sostiene il New York Post
- L’inchiesta pubblicata dal New York Post su Hunter Biden, il figlio del candidato democratico alla presidenza, Joe Biden, è la disperata “October surprise” di Donald Trump.
- Il quotidiano ha scritto dei discussi trascorsi di Hunter Biden nel board di una società energetica ucraina di nome Burisma.
- Nella logica elettorale di Trump tutti questi elementi hanno un’importanza relativa. Il presidente vuole solo mettere le parole chiave «Biden» e «email» nei motori di ricerca interiori degli elettori che stanno già votando per posta ed eleggeranno il presidente il 3 novembre.
La “october suprise” di Donald Trump è arrivata nella forma di una serie di articoli d’inchiesta pubblicati, a partire da mercoledì, dal tabloid conservatore New York Post su Hunter Biden, il figlio del candidato democratico alla presidenza, Joe Biden, e sui suoi discussi trascorsi nel board di una società energetica ucraina di nome Burisma.
L’avvocato è entrato nel consiglio di amministrazione della società nel 2014, quando il padre era vicepresidente degli Stati Uniti, e da quando Trump si è insediato alla Casa Bianca ha preso ad accusare i Biden di aver trafficato con il governo ucraino, dopo la rivoluzione che ha disarcionato il presidente filorusso Viktor Yanukovich, per arricchire il figlio usando le pressioni politiche del padre, la figura che ha gestito per conto dell’Amministrazione la transizione del potere.
La mistura di conflitti d’interesse, corruzione, falsi testimoni e uso del potere politico per fini privati, peraltro inseriti nello schema familista così caro a Trump, ha dato origine a una fiorente letteratura cospirazionista che ha opposto alle accuse di collusione con la Russia mosse al presidente illazioni di segno politico opposto riguardanti le malefatte democratiche compiute nella vicina Ucraina.
Al centro di questa ramificata serie di complotti c’era la rimozione dell’allora procuratore generale ucraino, Viktor Shokin, agevolata dal maggiore dei Biden con la sua proverbiale capacità negoziale. Il vicepresidente nel 2015 è andato in Ucraina e ha minacciato di non concedere un prestito americano da 1 miliardo di dollari già promesso a Kiev se il governo non si fosse liberato di Shokin, accusato di corruzione.
Il procuratore generale è stato rapidamente rimosso e il prestito sbloccato, ma gli instancabili manovratori della campagna permanente di Trump hanno arzigogolato anche qui, dicendo che Shokin in realtà è stato cacciato perché stava indagando su Burisma, cosa che avrebbe configurato un bel problema per i Biden: il figlio affarista chiede al padre vicepresidente di liberarsi con una manovra politica di un inquirente fastidioso, usando come leva negoziale soldi pubblici.
Shokin tuttavia non stava indagando su Burisma, anche se ha dichiarato, una volta destituito, di avere avuto allora già in cantiere un’inchiesta sull’azienda.
Il New York Post ora sta riscaldando questa complicata minestra. Il giornale dice di essere entrato in possesso di email e altri materiali del figlio del candidato democratico. Fra queste c’è un messaggio attribuito a Vadym Pozharskyi, un consulente di Burisma, che ringrazia Hunter Biden per averlo presentato al padre durante un viaggio a Washington nel 2015, cosa che dovrebbe contraddire le dichiarazioni di Biden padre, che ha detto di non avere mai parlato con il figlio dei suoi affari all’estero.
Il quotidiano ha scritto di avere altro materiale, fra cui un video di 12 minuti in cui Hunter fuma crack mentre compie un non meglio specificato «atto sessuale» con una donna, e ieri ha pubblicato un altro articolo sugli affari cinesi dell’avvocato. Altre puntate arriveranno.
Il ritrovamento
La vicenda di Hunter non è mai del tutto scomparsa dal dibattito. Il mese scorso una commissione di repubblicani al Senato ha pubblicato un report sui conflitti d’interesse e i sospetti di corruzione su Biden, documento contraddetto da un rapporto rovesciato firmato da una commissione democratica.
Ma quello che rende lo scoop del New York Post incredibilmente scivoloso è il modo in cui il giornale dice di avere ottenuto le informazioni. Un computer portatile è stato lasciato in un negozio del Delaware per una riparazione, e il proprietario non l’ha mai ritirato.
L’anonimo tecnico informatico che ha estratto i dati ha capito il potenziale esplosivo del materiale e ha allertato l’Fbi, fornendo il materiale, ma non prima di avere fatto avere una copia anche all’avvocato di Rudy Giuliani, sodale di Trump implicato in pressoché tutte le macchinazioni trumpiane, che po lo ha passato al giornale.
Steve Bannon, l’ex stratega di Trump, ha avvertito mesi fa il New York Post dell’esistenza dell’hard disk. Le informazioni politicamente infiammabili stanno quindi arrivando al pubblico con modalità che mettono a dura prova il concetto di verosimiglianza esposto nella Poetica di Aristotele, e i media americani hanno prontamente notato che a gennaio Burisma ha subito un attacco da parte di hacker riconducibili al Cremlino.
Non va dimenticato che Giuliani ha avuto rapporti con vari soggetti ucraini collegati con il governo russo, uno dei quali è stato designato dal dipartimento del Tesoro un «agente russo».
Nella logica elettorale di Trump tutti questi elementi hanno un’importanza relativa. Il presidente vuole solo mettere le parole chiave «Biden» e «email» nei motori di ricerca interiori degli elettori che stanno già votando per posta ed eleggeranno il presidente il 3 novembre.
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