Dopo le restrizioni imposte da Facebook e Youtube sui messaggi dei seguaci di “Q” sono in molti a domandarsi quanto effettivo peso avrà la teoria del complotto sulle elezioni americane del 3 novembre.
- La teoria corpsirazionista di QAnon è ormai uno dei temi caldi in vista delle presidenziali americane del 3 novembre.
- Trump e il suo staff hanno riutilizzato i messaggi del misterioso “Q” anche in campagna elettorale ammiccando alla teoria secondo cui il presidente americano sarebbe in lotta contro l’establishment democratico per sconfiggere il suo giro di pedofilia.
- Non tutti sono però convinti che QAnon aiuterà Trump a essere rieletto e anche dentro lo stesso Partito repubblicano sono molti malumori per l’uso di questa teoria del complotto.
Lo scorso 10 ottobre un centinaio di persone si sono trovate davanti alla sede di Netflix a Los Angeles cantando “save the children!”, salviamo i bambini, e reggendo dei cartelli che dicevano: “Pedofili, vi teniamo sott’occhio”. Alcuni di loro indossavano i cappellini rossi del presidente Donald Trump. Pochi indossavano la mascherina. Tra questi c’era Scotty Rojas, un rapper non particolarmente noto che si fa chiamare Scotty the Kid e che aveva contribuito a organizzare l’evento. Erano tutti sostenitori di QAnon, il movimento cospirazionista entrato a gamba tesa nel discorso politico americano a poche settimane dalle elezioni del 3 novembre. Il movimento esiste già dal 2017, quando sul forum 4chan è apparso un messaggio anonimo firmato Q, un’entità che da quel momento in poi ha continuato – su varie piattaforme – a dare indizi criptici perché i suoi seguaci conducano le loro ricerche e trovino la verità.
La credenza – non nuova – su cui si costruisce il delirio cospirazionista di Q è che l’establishment politico, soprattutto quello democratico, sia in realtà una setta satanica di pedofili, responsabile del traffico di minori e dedita al cannibalismo. Hillary Clinton sarebbe tra i carnefici più noti, ma accanto a lei ci sarebbero anche figure del mondo dello spettacolo come Tom Hanks o imprenditori miliardari come Bill e Melinda Gates. La ragione per cui i cospirazionisti erano davanti a Netflix è che ritengono che la piattaforma di streaming sia complice in questo diabolico piano pedofilo. Trump, secondo le fantasie di Q, è l’eroe che salverà l’America e i suoi bambini da questa setta, combattendo una guerra segreta contro il cosiddetto deep state.
La manifestazione, stando alle cronache di un autore del podcast QAnon Anonymous, era piuttosto sotto tono. Ad un certo punto è passato di fianco un gruppo del movimento Black lives matter con un repertorio di slogan molto più incisivi. Eppure con i cospirazionisti c’erano diversi giornalisti e fotografi, tra cui una troupe della Cnn. I manifestanti non hanno nascosto critiche e disprezzo nei confronti dei media e di quelle che considerano fake news, ma ovviamente hanno riconosciuto nelle telecamere un’opportunità per mostrarsi e dire la loro. Alle domande più scomode, come quelle relative ad affiliazioni politiche, rispondevano che l’unica cosa che importava loro era salvare bambini innocenti.
Il rischio dei giornalisti
Che QAnon sia al centro dell’attenzione dei media americani non sorprende più: ormai i suoi deliri cospirazionisti sono dentro il discorso politico, nei tweet di Trump, ma anche tra le preoccupazioni dell’ex presidente Barack Obama e nel futuro del Congresso, con diversi sostenitori di Q candidati alle prossime elezioni (secondo i conti del New York Magazine, sarebbero 24). Tuttavia viene spontaneo chiedersi se l’immagine di quella manifestazione non sia la rappresentazione di una certa responsabilità dei media nella crescita esponenziale della notorietà del movimento, un po’ come era accaduto negli anni Venti con la trasformazione del Ku Klux Klan da organizzazione locale a movimento culturale nazionale. Viene anche da chiedersi quale sia il reale peso politico di Q rispetto a queste elezioni.
Sul primo punto ha riflettuto approfonditamente Mathew Ingram, in un articolo pubblicato sulla Columbia Journalism Review, in cui incoraggia i giornalisti a prestare la massima attenzione a non rendere mainstream il culto e le credenze di Q. Per farlo cita il tweet di un giornalista del Washington Post, Tony Romm. Il rischio che corrono i giornalisti, sostiene Romm, «è quello di normalizzare senza volerlo un atteggiamento cospirazionista». Secondo alcuni è già troppo tardi. «Lo spazio che i media hanno dato al cospirazionismo, e a QAnon in particolare, è decisamente sproporzionato», dice Joseph Uscinski, professore di scienze politiche all’università di Miami ed esperto di teorie cospirazioniste. Uscinski ha pubblicato i risultati delle sue ricerche su alcune delle principali testate americane argomentando la sua conclusione: il culto di Q non sta crescendo come sostengono i media. Stando ai dati pubblicati dal Pew Research Center alla fine di marzo, il 76 per cento degli americani non aveva mai neppure sentito parlare di Q. Ora certamente questo numero è cambiato (dal primo marzo 2020 a oggi solo il New York Times ha pubblicato più di 200 articoli che citano QAnon) ma questo, secondo Uscinski, non significa necessariamente che il movimento stia crescendo. Inoltre i media sono stati solo uno dei tanti elementi sociali, politici ed economici che hanno contribuito a creare la tempesta perfetta. Tra questi ci sono stati il Covid-19 e l’isolamento, il tempo trascorso online e gli algoritmi che indirizzano gli utenti, che s’illudono di fare ricerche personali e indipendenti. E poi i social media. Anche su questo punto Uscinski non crede che le più popolari piattaforme social abbiano davvero contribuito a far cadere così tante persone nella tana del Bianconiglio.
«Non è qualcosa in cui la gente casca per caso», sostiene Uscinski. «Il piccolo Johnny era completamente normale e ora all’improvviso crede a QAnon...avrò letto questa storia centinaia di volte», racconta. «Ma no, se il piccolo Johnny crede nelle teorie di QAnon non è mai stato normale, solo che noi non abbiamo prestato attenzione». Secondo i dati raccolti da Uscinski in anni di ricerca, i seguaci delle credenze di Q negli Stati Uniti sono meno di un decimo rispetto a quelli di altre teorie della cospirazione, come quelle legate all’assassinio di John F. Kennedy.
Sebbene sia difficile misurare quanti nuovi sostenitori di Q siano davvero stati convinti attraverso l’uso dei social più popolari o la lettura dei media, è indubbio che piattaforme come Facebook, Twitter e YouTube abbiamo offerto un accesso rapido e semplice ai contenuti. Sicuramente più user friendly di forum come 8kun attraverso cui Q diffonde i suoi messaggi, anche detti drops, gocce. Nelle scorse settimane i giganti dei social media – You Tube per ultimo pochi giorni fa – si sono impegnati a limitare materiali direttamente collegabili a Q, ma per anni sono stati accessibili a tutti, con migliaia di gruppi su Facebook che contavano in totale più di 3 milioni di iscritti. Per molti si tratta di una mossa arrivata decisamente tardi, soprattutto rispetto ai diversi episodi di violenza, anche estrema, che hanno coinvolto seguaci del culto (mentre non c’è traccia di un singolo pedofilo che sia stato fermato grazie a Q).
Qual è il suo reale peso politico?
Secondo Marc-André Argentino, dottorando presso l’Università di Concordia, in Canada, che ha studiato il fenomeno, i limiti imposti dai giganti dei social renderà per un po’ la vita più difficile a chi vuole conoscere e condividere le credenze di Q, ma non fermerà il movimento. Argentino ha detto che QAnon è destinato a trasformarsi in tante cose diverse, come già in parte successo con i sottogruppi accomunati da credenze no-vax o quelli uniti dagli slogan “save the children” o “stop KIDding”. Magari, ipotizza Argentino, diventerà una vera setta religiosa. Di sicuro il suo destino più prossimo sarà segnato anche dall’esito delle elezioni.
E qui arriva la politica. QAnon sta davvero conquistando un peso politico? E il partito repubblicano sta diventando il partito di QAnon, come sostiene un articolo di opinione pubblicato lo scorso agosto sul Washington Post? Denver Riggleman, rappresentante del Virginia alla Camera e membro del Partito repubblicano risponderebbe sì alla prima domanda e no alla seconda. La sua preoccupazione per l’avvicinamento di QAnon al Congresso ha raggiunto un tale livello da aver proposto con altri colleghi una risoluzione bipartisan per condannare una volta per tutte le teorie cospirazioniste di Q, definite come una minaccia per la democrazia americana. «Ci faremo avanti e condanneremo una teoria cospirazionista contorta, pericolosa e disumanizzante che l’Fbi ritiene possa motivare atti di estremismo a livello nazionale?», ha chiesto Riggleman rivolgendosi ai suoi colleghi prima del voto.
La risoluzione è stata approvata, ma non all’unanimità, con 17 repubblicani e un indipendente che hanno votato contro. Il voto ha tuttavia dimostrato che la maggior parte dei membri del Grand Old Party voglia prendere le distanze da QAnon, nonostante il movimento idolatri il loro candidato alla presidenza, Donald Trump. E nonostante diversi candidati repubblicani alla Camera abbiano qualche legame con Q. Tra questi ci sono Lauren Boebert, in corsa per un distretto del Colorado, e Marjorie Taylor Greene, candidata della Georgia, l’unica che sembra abbia davvero in mano la vittoria. Entrambe hanno fondato la loro campagna elettorale su temi come il diritto a possedere le armi e l’opposizione a misure restrittive per contenere la pandemia. «È ovvio, sanno benissimo che non potranno aggirarsi per il Congresso sparando le teorie di QAnon», spiega Uscinski, aggiungendo che hanno vinto la candidatura per come difendono i principi conservatori del partito, non certo perché sostengono le teorie cospirazioniste. Uscinski rifiuta l’ipotesi di un legame diretto tra QAnon e il Partito repubblicano, ma estende il discorso, sostenendo che Q non può essere definito di destra o di sinistra. «Se al posto di Trump ci fosse Bush, QAnon non appoggerebbe nessun candidato alla presidenza. Venera Trump perché Trump non si può neppure dire repubblicano. È anti establishment». QAnon sta diventando politico perché sempre più figure politiche si ergono come rappresentanti dell’alienazione dalla politica stessa. E Trump, così come diversi politici di estrema destra, cavalcano questa tendenza. Il presidente americano ha infatti strizzato l’occhio a Q in diverse occasioni, spesso ritwittando teorie cospirazioniste a milioni di followers.
Proprio la scorsa settimana lo ha fatto con la credenza secondo cui Bin Laden non è davvero morto nel raid del 2011, ma che al posto suo è stato ucciso un sosia. Quando Trump, nel corso della town hall del 15 ottobre, è stato chiamato a commentare QAnon, la sua risposta è sembrata una presa in giro. «Non so quasi nulla di QAnon», ha detto. «So che sono contro la pedofilia e che la combattono con forza». D’altronde, se dovesse perdere le elezioni, dovrà appellarsi a tutte le possibili teorie per boicottare la legittimità del voto. QAnon potrebbe essere di grande ispirazione.
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