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L’ex presidente è imputato in un tribunale federale per avere preso file riservati. Sette capi di imputazione, rischia diversi anni di carcere.
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Lui si dice innocente e conta di capitalizzare la “caccia alle streghe”, ma intanto il suo team legale crolla. Martedì si consegnerà a Miami.
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Il sistema democratico americano tutela la possibilità per un imputato di correre alle elezioni, ma allo stesso tempo è evidente che la nomination di un ex presidente gravato da procedimenti giudiziari da ogni parte non può non danneggiare la credibilità delle istituzioni..
Donald Trump è stato incriminato da un gran giurì federale al termine dell’inchiesta sulla sottrazione indebita di centinaia di documenti classificati del periodo in cui era presidente, molti dei quali sono stati ritrovati dall’Fbi durante le perquisizione nella residenza di Mar-a-Lago, in Florida.
Trump è già imputato in un altro procedimento a New York, ma è la prima volta nella storia degli Stati Uniti che un ex presidente viene incriminato in un tribunale federale. Trump si presenterà martedì in un aula di giustizia a Miami e la fase preliminare sarà guidata dal giudice federale Aileen M. Cannon, che Trump stesso ha nominato nel 2020.
Il dipartimento di Giustizia ha depositato le sue accuse e il caso è in mano non al procuratore generale, Merrick Garland, ma a Jack Smith, lo special counsel nominato dal presidente, Joe Biden, proprio per mettere al riparo l’inchiesta dalle accuse di strumentalizzazione a fini politici.
Secondo le informazioni riportate dallo stesso Trump e da varie fonti raccolte dai media americani, i capi di imputazioni sono almeno sette, fra cui la violazione dell’Espionage Act, la custodia illegale di segreti della difesa, cospirazione e ostruzione della giustizia. Accuse gravi che possono portare a diversi anni di carcere.
Trump si è pubblicamente proclamato innocente, ma diversi media, a partire dalla Cnn, hanno riportato che nel 2021, quando non era già più presidente, Trump ha ammesso di fronte a vari testimoni di avere «informazioni segrete» di cui non avrebbe potuto disporre e di essere in possesso di documenti classificati che ormai non potevano più essere resi pubblici. Di queste conversazioni potrebbero esserci delle registrazioni.
Per l’ex presidente si tratta di un «giorno buio per gli Stati Uniti d’America», e il giorno deve essergli parso ancora più buio quando due dei suoi avvocati, James Trusty e John Rowley, hanno improvvisamente deciso di abbandonare il team dei difensori.
Logica rovesciata
La nuova imputazione non mette in pericolo la candidatura di Trump alla presidenza: la Costituzione garantisce l’eleggibilità dei cittadini alla presidenza anche in presenza di imputazioni, proprio per evitare che la giustizia venga usata a fini politici, e il mondo repubblicano si è subito allineato nel sostenere la solita narrazione della “caccia alle streghe”.
Dal punto di vista del consenso, invece, per Trump è stata una giornata incredibilmente promettente. Nella logica rovesciata del vittimismo populista l’imputazione federale è un’ulteriore certificazione del complotto dei poteri che tramano contro la sua candidatura.
Temendo il confronto sul piano elettorale, orchestrano inchieste politiche per distruggere l’avversario, procede il ragionamento. Trump ha ormai molte prove per ritenere che questa dinamica giochi a suo vantaggio. Il gradimento fra gli elettori repubblicani cresce di pari passo con le accuse.
A marzo, prima dell’incriminazione da parte del procuratore distrettuale di Manhattan, Alvin Bragg, Trump superava di 15 punti il gradimento del secondo fra i repubblicani più amati, il governatore della Florida, Ron DeSantis; dopo la formalizzazione delle accuse, i punti di vantaggio sono raddoppiati, e ora l’avversario è lontanissimo e perso in un campo troppo affollato per non trasformarsi in una passerella trumpiana.
Nella logica euclidea della vecchia politica l’ulteriore capitolo del romanzo criminale di Trump dovrebbe indebolire l’ex presidente nella suo tentativo di ottenere la nomination repubblicana, ma nella logica inversa della cospirazione è un formidabile aggregatore di consensi.
Gli avversari repubblicani lo sanno, e infatti si guardano bene dall’attaccarlo. DeSantis si è subito affrettato ad attaccare il dipartimento di Giustizia: «La strumentalizzazione delle forze dell’ordine federali rappresenta una minaccia mortale a una società libera. Per anni abbiamo assistito a una ingiusta applicazione della legge, a seconda dell’affiliazione politica», ha detto.
I democratici
Il sistema democratico americano tutela la possibilità per un imputato di correre alle elezioni, ma allo stesso tempo è evidente che la nomination di un ex presidente gravato da procedimenti giudiziari da ogni parte non può non danneggiare la credibilità delle istituzioni.
In questo senso sarà importante valutare la reazione dei democratici. Un ragionamento di breve termine che punta alla mera massimizzazione dell’utilità politica suggerisce di difendere la possibilità di Trump di continuare la sua campagna indisturbato, scommettendo sul fatto che ciò che è utile alle primarie diventerà un fardello mortale alle elezioni generali. Ciò che galvanizza gli elettori più estremi oggi spaventerà i moderati nel novembre 2024, e l’imputato Trump finirà per eliminare sé stesso dalla contesa politica, senza bisogno dell’aiuto dei giudici.
Un altro ragionamento di tenore più elevato impone di invece di fare tutto ciò che è possibile per processare Trump in tempi rapidi, ma in modo equanime e senza sovraeccitazioni politiche, come si farebbe per qualsiasi cittadino comune, affermando così il principio per cui nessuno è al di sopra della legge.
Questa è la posizione che mette al di sopra di tutti gli interessi particolari quello generale della salvaguardia dello stato di diritto e delle istituzioni che ne tutelano l’applicazione. È la posizione con più alto tasso di idealismo, e al momento è minoritaria fra gli avversari di Trump.
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