Gli elementi trovati nell’indagine dello special counsel Jack Smith su Donald Trump sarebbero stati sufficienti per incriminarlo e condannarlo, a proposito dei tentativi di negare i risultati elettorali del 2020 e mantenere il potere. L’unica cosa che lo ha salvato da questo destino è stata la rielezione alla Casa Bianca, che ha interrotto l’inchiesta e lo ha coperto con l’immunità.

Questa è la convinzione che Smith ha messo per iscritto nel suo rapporto, che è stato in parte reso pubblico nella notte fra lunedì e martedì, dopo che un giudice federale della Florida, Aileen M. Cannon – nominato da Trump – ha dato il permesso di pubblicare. Il dipartimento di Giustizia lo ha trasmesso al Congresso.

«La visione del dipartimento secondo cui la Costituzione proibisce la continuazione dell’incriminazione e dell’indagine su un presidente è categorica e non cambia nulla sulla gravità dei crimini di cui è accusato, la forza delle prove contro di lui o il merito dell’inchiesta, elementi che il dipartimento conferma totalmente», scrive Smith nel rapporto, aggiungendo che «se non fosse stato per l’elezione di Trump e il suo imminente ritorno alla presidenza, questo ufficio ha valutato che le prove ammissibili fossero sufficienti per chiedere e sostenere la sua condanna in un processo».

Le origini dell’inchiesta

Nel 2022 il procuratore Smith era stato incaricato dal procuratore generale, Merrick Garland, di proseguire in modo indipendente due indagini aperte dal dipartimento della Giustizia, una riguardo al ruolo di Trump nell’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, l’altra sui documenti classificati che l’amministrazione Trump aveva occultato, distrutto o archiviato in modo irregolare.

Smith ha usato gli ampi poteri a sua disposizione per indagare ovunque, e due gran giurì – in Florida e a Washington – hanno aperto processi a carico di Trump con decine di ipotesi di reato. Tutta la macchina inquirente si è fermata con l’elezione del 5 novembre scorso. Lo special counsel si è dimesso, ma un regolamento del dipartimento di Giustizia impone di pubblicare ciò che il procuratore aveva trovato (come si è visto nel caso giudiziario, totalmente separato, di New York, un giudice può distinguere fra il cittadino e il presidente per mandare avanti il processo).

Ne è nata una battaglia furibonda con i legali del presidente rieletto, che ha fatto di tutto per impedire che la documentazione venisse pubblicata prima del suo insediamento alla Casa Bianca. I legali hanno detto che la pubblicazione sarebbe stata «un’operazione politica fatta soltanto per screditare la transizione presidenziale», ma alla fine è stato il giudice Cannon, che finora aveva approvato decisioni favorevoli a Trump – arrivando a sostenere che lo special counsel era stato nominato in modo illegittimo – a concedere che il primo dei due volumi del rapporto di Smith fosse accessibile. Ha fissato un’udienza venerdì per discutere la sorte del secondo tomo, quello che riguarda i documenti classificati.

Trump non l’ha presa bene. «Jack è un procuratore scemo che non è stato in grado di portare a processo il caso prima delle elezioni, che ho vinto a valanga. GLI ELETTORI HANNO PARLATO!!», ha scritto sul social Truth nel cuore della notte.

Niente complici

La prima metà del rapporto, sui fatti di Capitol Hill, si basa su oltre 250 interviste e deposizioni rese da 55 testimoni, oltre che su documenti e analisi di device ottenuti con decine di mandati e rogatorie. E gli inquirenti hanno dovuto affrontare anche l’incessante campagna di Trump e dei suoi legali per ostacolare le indagini.

Il presidente eletto, si legge nel rapporto, ha usato tutta la sua «volontà e abilità di usare la propria influenza e il suo seguito sui social media per mettere nel mirino testimoni, tribunali e impiegati del dipartimento di Giustizia, cosa che ha costretto l’ufficio a imbarcarsi in una complicata e costosa attività per proteggere i testimoni dalle minacce e dalle aggressioni».

Il quadro che emerge è quello di un «piano criminale senza precedenti per rovesciare il legittimo esito delle elezioni per conservare il potere», scrive Smith, che però non coinvolge direttamente altri complici di Trump, cosa che invece qualche critico trumpiano si aspettava, nella speranza di potersi rivalere almeno su altre persone che non godono dell’immunità presidenziale.

Nel resoconto di Smith non ci sono dettagli inediti rispetto a quanto già depositato in altre sedi giudiziarie e messo per iscritto dallo stesso procuratore in un lungo memorandum messo agli atti lo scorso ottobre: la natura straordinaria del documento risiede nel giudizio che lo special counsel dà sulla posizione di Trump, il primo presidente pregiudicato che grazie al voto è riuscito a evitare una condanna quasi certa.

Questo almeno per quanto riguarda il suo ruolo nella tragica vicenda di Capitol Hill. Si vedrà se il giudice permetterà la pubblicazione anche del secondo volume di un atto d’accusa che è allo stesso tempo estremamente significativo e completamente inutile.

© Riproduzione riservata