Rose è una ragazza nigeriana di 33 anni. Come tante altre sue connazionali ha lasciato il paese dove è nata per venire in Europa. In Nigeria era vittima di schiavitù domestica. Nel gennaio del 2023 si è imbarcata dalla Libia verso l’Italia, ma il gommone su cui viaggiava è stato intercettato dalla guardia costiera libica. Rose e i suoi compagni di viaggio vengono rinchiusi in un centro di detenzione per mesi, fino a quando non riesco a fuggire in Tunisia nel luglio del 2023 attraversando la frontiera.

Il mese successivo la Croce Rossa le trova una sistemazione a Sfax, città costiera tunisina dove risiede gran parte della comunità subsahariana che vive nel paese (circa 20mila persone). A fine settembre riesce a imbarcarsi una seconda volta verso l’Italia ma viene intercettata un’altra volta dalle motovedette della guardia nazionale tunisina che deporta l’intero gruppo al confine con l’Algeria.

In pochi giorni provano a varcare il confine verso Sfax per quattro volte, ma vengono respinti con violenza dalla polizia. Ora Rose ha trovato lavoro in campo agricolo nella città algerina di El Amra per una manciata di euro al giorno, in attesa di attraversare di nuovo il Mediterraneo. La sua storia è una delle tante raccolte dall’ufficio tunisino dell’Organizzazione mondiale contro la tortura (Omct) nel suo ultimo rapporto sulle violenze commesse in Tunisia a danno dei migranti. Il quadro che emerge dal documento è preoccupante: deportazioni lungo il confine con i migranti abbandonati nel deserto senza acqua e cibo; detenzioni arbitrarie dopo le intercettazioni; abusi e violenze commesse dall’apparato repressivo tunisino.

Nulla di nuovo se non un ulteriore conferma di quello che inchieste giornalistiche denunciano da anni. Sotto la presidenza di Kais Saied la situazione non ha fatto altro che peggiorare con episodi razzisti e discriminatori che sono di fatto avallati dalle autorità. Lo stesso Saied ha detto pubblicamente che è in corso una sostituzione etnica. La storia di Daniel, raccolta nel rapporto, è la dimostrazione. Daniel è arrivato in Tunisia nel marzo del 2024 con un visto turistico regolare dalla durata di dieci giorni, ma appena atterrato all’aeroporto è stato rinchiuso in custodia cautelare senza poter incontrare la sua famiglia. 

A maggio i famigliari avevano inviato un messaggio alla società civile tunisina: «Stiamo attraversando un momento difficile, non sapendo cosa ne sia stato di nostro fratello, se sia ancora vivo. Vi prego di aiutarci, perché mio fratello ha bisogno di avere notizie di sua madre, visto che non le resta molto da vivere». La madre di Daniel è morta prima che lui potesse entrarci in contatto.

Criticità

EPA

Il report sottolinea una serie di trend riguardanti violazioni dei diritti umani a danno di persone subsahariane e cittadini tunisini. «I metodi delle autorità tunisine per l’intercettazione in mare, l’identificazione e il seppellimento dei corpi dei naufraghi in mare sono contrari al diritto internazionale», si legge nel documento. Ogni anno decine di mamme protestano contro le autorità per capire dove sono i corpi dei loro figli, spesso seppelliti senza neanche un riconoscimento. A volte accade anche per insabbiare naufragi avvenuti dopo mancati soccorsi della guardia costiera tunisina. «La Tunisia non è un paese sicuro per lo sbarco di una persona soccorsa in mare, nonostante la formalizzazione della sua zona di ricerca e salvataggio nel giugno 2024», si legge nel rapporto. Testimonianze riportano di violenze, pestaggi e trattamenti inumani e degradanti.

L’attuale situazione ha spinto migliaia di persone ad accettare il rimpatrio volontario delle organizzazioni internazionali attive sul territorio. Secondo i dati del rapporto, sono oltre tremila persone quelle ad aver fatto ritorno nel loro paese di origine tra novembre 2023 e aprile 2024. Di queste il 30 per cento provenivano dal Burkina Faso, il 29 per cento dal Gambia. Seguono poi paesi come Guinea (10 per cento) e Ciad (6 per cento). 

Chi prova a denunciare cosa accade viene silenziato dal governo. Il 24 ottobre è arrivata la condanna a due anni di carcere per l’avvocata tunisina Sonia Dahmani con l’accusa politica di aver diffuso fake news riguardante lo stato dei migranti subsahariani nel paese.

Fallimento europeo

«La strategia del governo di ridurre i flussi migratori rendendo la Tunisia una destinazione inospitale è finora fallita», si legge nel documento. Secondo l’analisi dell’Omct, le persone in movimento continuano ad arrivare in Tunisia dopo l’espulsione e le rotte migratorie rimangono invariate. 

«L’eccezionale vicinanza geografica della Tunisia all'Europa non cambierà, e la sua attrattiva per le persone in movimento rispetto alla Libia e all’Algeria persiste. Allo stesso modo, gli sforzi dell'Unione europea e dei suoi stati membri per esternalizzare la gestione dei confini gestione delle frontiere appaiono ora controproducenti. L'impatto più evidente delle politiche di sicurezza migratorie non è la riduzione dei flussi o la neutralizzazione dei contrabbandieri, ma l'aumento dei morti nel Mediterraneo, l'aumento delle violazioni dei diritti umani».

La situazione preoccupa anche il Mediatore europeo che il 24 ottobre ha accusato la Commissione europea di essersi rifiutata di pubblicare i risultati di un’indagine sui diritti umani in Tunisia prima della firma del Memorandum of understanding con il presidente Saied avvenuta nel luglio del 2023. Con quell’accordo l’Ue ha previsto di inviare alla Tunisia oltre 150 milioni di euro, estendibili fino a 900 milioni nel caso in cui il paese avesse raggiunto l’intesa con il Fondo monetario internazionale (Fmi) per l’erogazione di un prestito da circa due miliardi di euro.

«Il Mediatore - si legge nelle conclusioni dell’indagine - ha rilevato che, nonostante le ripetute affermazioni della Commissione secondo cui non vi era alcuna necessità di una valutazione d'impatto preventiva sui diritti umani, aveva in realtà completato un esercizio di gestione del rischio per la Tunisia prima della firma del protocollo d'intesa». «La Commissione – ha aggiunto – non ha condiviso in modo proattivo queste informazioni, nemmeno nella sua risposta all'iniziativa strategica del Mediatore in materia». 

Nonostante il quadro disastroso dei diritti umani il governo italiano di Giorgia Meloni e l’Unione europea continuano a considerare la Tunisia un paese sicuro. Disposti a tutto pur di fermare il flusso.

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