Fine dell’accordo sul grano, Armenia, Siria, Mar Nero: le controversie russo-turche sono in aumento. Anche Mosca gioca il caldo e il freddo con Ankara, cercando di riequilibrare il rapporto. Ora che cresce il partito della pace, i turchi vorrebbero avere un posto che probabilmente andrà ad altri
Qualcosa sta cambiando nella politica estera turca. La fine dell’accordo sul grano sta mettendo in crisi una delicata relazione con Mosca costruita con cura e grande abilità su diversi fronti. In questo delicato contesto va letto anche l’incontro in Russia fra Erdogan e Putin annunciato ieri per l’8 settembre.
Il fatto più eclatante sono gli attacchi aerei russi contro la zona difesa dai turchi in Siria, con bombardamenti al gruppo Hayat Tahrir al Sham (HTS) (successore di al Qaida e Jabhat al Nusra) nella provincia di Idlib. HTS controlla gran parte di quell’area, ultima roccaforte ribelle che si oppone al regime di Assad sostenuto da Mosca.
Su impulso di Ankara, HTS ha cercato di migliorare la propria immagine, abbandonando la retorica da milizia salafita-jihadista, per presentarsi come un gruppo islamico locale. Nemico di entrambi gli schieramenti rimane il rinascente ISIS, il cui ultimo leader Abu al-Hussein al-Husseini al-Quraishi, è stato ucciso ad aprile proprio da HTS. La Siria non è l’unico scenario del delicato rapporto tra Russia e Turchia: c’è anche il Mar Nero, il conflitto armeno-azero e soprattutto la guerra in Ucraina.
Negli ultimi mesi Ankara ha compiuto una serie di passi che di fatto la distanziano da Mosca, esprimendo sostegno all’adesione dell’Ucraina alla Nato durante la visita del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Istanbul all’inizio di luglio. In quell’occasione c’è stato il rilascio dei comandanti del battaglione Azov che, in base all’accordo con i russi, sarebbero dovuti restare in Turchia fino alla fine della guerra. Ciò è stato fonte di particolare irritazione a Mosca.
È anche arrivato il via libera da parte del presidente Recep Erdogan all’adesione della Svezia alla Nato. Probabilmente queste decisioni hanno contribuito al non rinnovo dell’accordo sul grano. Ad agosto le forze russe hanno colpito il produttore ucraino di motori fornitore dell’ormai famoso costruttore turco di droni Baykar.
I russi si sono spinti fino a circa 50 chilometri dalla costa turca, per attaccare un mercantile diretto in Ucraina di proprietà di un cittadino turco e provvisto di equipaggio turco. A dimostrazione della delicatezza del momento, in entrambi i casi la reazione di Ankara è stata di basso profilo.
In Armenia russi e turchi non la pensano allo stesso modo sul blocco del corridoio di Lachin che de facto strangola il Karabakh. Gli esperti si chiedono se l’equilibrio sin qui mantenuto tra Russia e occidente sia ad un punto di svolta. Dal canto suo Mosca ha tutto l’interesse a ripristinare un buon clima con la Turchia: la guerra in Ucraina sta mettendo l’economia russa in gravi difficoltà e ha bisogno dello snodo di Ankara per sopravvivere.
Il nuovo nervosismo turco non si rivolge soltanto ai russi, come si è visto nell’attacco turco-cipriota ai caschi blu stanziati sull’isola di Cipro, a causa del contenzioso nel villaggio di Pyla, l'unico rimasto sull'isola dove greci e turchi convivono fianco a fianco e posto sotto controllo Onu. I turco-ciprioti vi stanno costruendo una strada non autorizzata e per questo i caschi blu si sono opposti.
Le proteste internazionali all’attacco sono state durissime ed il consiglio di sicurezza ne ha discusso, provocando le proteste turche. Mosca ha colto l’occasione al volo per fare un gesto a favore di Ankara, bloccando una dichiarazione di condanna da parte del Consiglio stesso.
Si tratta di una novità considerando che i russi hanno sempre ritenuto Cipro come un paese vicino e l’hanno lungamente utilizzato come hub finanziario. Anche la Repubblica di Cipro, pur membro dell’Unione Europea, è stata lungamente in bilico tra Russia, Turchia e occidente. Americani ed europei avevano protestato nel 2015 per l’accordo che consentiva alle navi della marina russa di attraccare nei suoi porti.
Dopo l’inizio della guerra in Ucraina, l'accordo è stato formalmente annullato e nel corso del 2022 gli Stati Uniti hanno revocato l’embargo sulle armi a Cipro, suscitando le forti proteste di Ankara. In risposta la Turchia ha rafforzato le sue posizioni militari nel nord dell’isola.
Compromesso
Nel 2020 Erdogan aveva già permesso ai turco-ciprioti di aprire la località balneare di Varosha, chiusa dal 1974, ricevendo l’appoggio russo. Allo stesso tempo, la Turchia aveva inviato navi di perforazione nel Mediterraneo orientale nelle acque rivendicate da Cipro, irritata dai piani di un gasdotto tra Egitto e Israele verso l’Europa che la escludeva.
Da quei momenti di tensione, in cui si rischiò addirittura un incidente tra la marina militare francese e quella turca, le cose si sono calmate. La guerra in Ucraina ha cambiato l’immagine della Turchia: da potenza impetuosa e litigiosa ad unico paese in grado di negoziare con la Russia. Gli occidentali hanno potuto osservare le manovre turche da un altro punto di vista, alla ricerca di un compromesso e sfociate nell’accordo del grano ma anche in vari scambi di prigionieri tra russi e ucraini.
Contemporaneamente Ankara si riapriva al dialogo con l’Arabia Saudita, l’Egitto e addirittura Israele, dopo almeno un decennio di gelo e controversie varie. Com’è noto in Siria, dopo aver per anni insistito sulla necessità di un’operazione militare nell’ambito dei Friends of Syria, Ankara aveva cambiato rotta trovando un punto di incontro con Mosca.
Restava solo ostico accordarsi con Washington per ottenere il permesso di attaccare la zona curdo-siriana, anche se una limitata azione militare le è stata consentita nel kurdistan iracheno contro il PKK.
La nuova vittoria elettorale ha consacrato l’abilità di Erdogan di muoversi sui vari scacchieri con la consueta abilità e flessibilità, riuscendo sempre ad ottenere i maggiori vantaggi possibili.
Ora tuttavia sembra che qualcosa non funzioni più: restare in equilibrio per troppo tempo sta diventando sempre più arduo. Paradossalmente ciò accade nel momento in cui cresce il partito della exit strategy dalla guerra, se non della pace, in cui i turchi sarebbero legittimati ad avere voce in capitolo. L’altra faccia della medaglia di tanto manovrare è quella di aver dovuto mantenere un tasso di ambiguità che rende oggi difficile ad Ankara costruire relazioni fiduciarie stabili.
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