- Rider, operai, giornalisti, medici e negozianti sono scesi in strada per manifestare contro il caro bollette e la perdita di valore della lira.
- Lavoratori e cittadini chiedono un intervento del governo per calmierare i prezzi dell’energia e un aumento dei salari per far fronte all’inflazione.
- Intanto i partiti di opposizione sperano di poter sfruttare il malcontento popolare per sconfiggere il presidente Recep Tayyip Erdogan alle prossime elezioni previste per il 2023.
Salari più alti e prezzi delle bollette calmierati sono le richieste avanzate da rider, operai, giornalisti, medici e negozianti scesi in strada in Turchia da inizio anno. A spingere queste e altre categorie in piazza sono stati l’aumento dell’inflazione e la conseguente perdita di valore della lira turca derivanti delle politiche economiche messe in campo dal governo di Recep Tayyip Erdogan.
Il taglio dei tassi da parte della Banca centrale deciso dal presidente turco ha infatti comportato un aumento del 48 percento dell’indice dei prezzi al consumo e una perdita potere d’acquisto dei cittadini, che devono fare i conti con un’inflazione che secondo le stime ufficiali ha raggiunto il 50 percento da inizio anno.
Un dato contestato da diversi istituti di ricerca indipendenti, che hanno invece stimato una riduzione del valore della lira nettamente superiore rispetto ai dati diffusi dal governo.
Le mosse di Erdogan
Al di là della disputa sui numeri, gli effetti delle politiche del taglio dei tassi di interesse sui consumatori e sullo stile di vita dei turchi sono inequivocabili. Non a caso, secondo della Confederazione dei sindacati, la soglia di povertà si attesta attualmente intorno alle 13.844 lire turche, un valore superiore del 50 per cento rispetto al salario minimo, fissato a 4.350 lire.
Il governo ha cercato di porre rimedio al problema a fine anno, aumentando del 50 per cento il compenso minimo dei lavoratori, abbassando l’Iva sui beni essenziali dall’otto all’un per cento e intimando al settore privato di ridurre i costi dei servizi. Ma i risultati non sono stati quelli sperati. A minare l’operato del governo è stato il drastico aumento dei prezzi per l’energia, che ha interessato la generalità dei cittadini e delle imprese.
A patirne maggiormente le conseguenze sono stati i piccoli negozianti e le famiglie, schiacciati da un rincaro del 50 per cento delle bollette, oltre che da un incremento del costo di cibo, benzina, gas e delle tariffe autostradali.
Le proteste
L’inizio del nuovo anno in Turchia, però, non è coinciso solo con un rincaro dei prezzi. Da gennaio sono state organizzate 56 manifestazioni, nonostante il rischio di un intervento repressivo delle forze dell’ordine. Il numero delle proteste, di per sé elevato, è ancora più rilevante se si considera che dal 2016 al 2020 ci sono state soltanto 84 manifestazioni, stando ai dati del Labour Study Group.
Tra i primi a scioperare sono stati i rider del gigante commerciale turco Trendyol, che dopo aver rifiutato la proposta dell’azienda per un incremento dell’11 per cento del salario sono riusciti ad ottenere un aumento del 38.8 per cento. Anche i giornalisti della redazione della Bbc, dopo settimane di sciopero, hanno strappato un incremento del 32 per cento del salario contro il venti per cento offerto loro dall’azienda, allargando le proteste anche al settore dell’informazione.
Non tutte le manifestazioni però hanno avuto un esito positivo. I rider dell’azienda Yemeksepeti sono ancora in sciopero in attesa che vengano loro riconosciuti un salario più alto e maggiori diritti sindacali, mentre 250 dipendenti della catena di supermercati Migros mobilitatisi contro l’azienda sono stati licenziati nel distretto di Esenyurt, a Istanbul.
I lavoratori chiedevano un aumento dell’otto percento del salario, ma l’azienda non ha voluto ascoltare le loro richieste. La Migros ha dovuto però fare i conti con le azioni di boicottaggio spontanee nate sul web in risposta ai licenziamenti dei suoi dipendenti, registrando un danno economico e di immagine.
Il comparto medico
Tra le categorie in sciopero vi è anche il personale medico. A spingere molti medici ed infermieri a incrociare le braccia sono stati il peggiorare delle condizioni di lavoro a causa della pandemia e gli effetti dell’inflazione sulla busta paga. Il compenso dei medici è sceso sempre di più, fino a raggiungere i livelli del salario minimo a fronte di un aumento del carico di lavoro.
Il comparto medico lamenta da tempo turni massacranti, carenza di personale per far fronte alla crisi sanitaria e un aumento delle violenze da parte dei pazienti. Nel 2020, ben 13mila professionisti sanitari hanno sporto denuncia per aggressione.
Questo insieme di circostanze ha convinto più di 1.400 medici a lasciare il proprio posto di lavoro nel solo 2021 per trasferirsi all’estero, stando ai dati dell’Associazione medici turchi. Un numero che sembra destinato ad aumentare in mancanza di una soluzione ai problemi denunciati dal personale sanitario.
Lo scontento crescente dei medici e il loro trasferimento all’estero finiscono così con l’indebolire il sistema sanitario turco, ancora alle prese con la pandemia e con un alto numero di contagi. Inoltre rischia di trasformarsi in un danno di immagine per Erdogan: l’estensione del sistema sanitario nazionale rappresenta uno dei maggiori successi raggiunti dal presidente nei suoi 18 anni di governo.
L’opposizione
Anche i lavoratori delle fabbriche e di altri media nazionali hanno aderito alle manifestazioni per ottenere un salario più alto, mentre gruppi di cittadini sono scesi per le strade delle principali città turche per protestare contro l’aumento delle bollette.
Ad aderire simbolicamente alle proteste è stato anche il leader del partito d’opposizione Chp, Kemal Kılıçdaroğlu. In un video pubblicato sul suo account Twitter, Kılıçdaroğlu ha affermato di non essere più disposto a pagare le bollette finché Erdogan non interverrà per calmierare i prezzi e ha lanciato una campagna social contro il presidente.
L’aumento del costo della vita e la richiesta di un incremento del salario si sono trasformati in un’arma per gli oppositori del presidente, Chp in testa. I partiti avversi a Erdogan d’altronde si preparano da tempo alle elezioni presidenziali previste per il 2023, anno in cui ricorre anche il centenario della fondazione della Repubblica turca.
In vista di questa importante tornata elettorale, i leader dei sei partiti di opposizione, fatta eccezione per il filo-curdo Hdp, si sono da poco incontrati per definire una strategia comune e aumentare così le possibilità di vittoria.
Il loro obiettivo principale è il rafforzamento del sistema parlamentare, così da poter mettere fine al concentramento dei poteri nelle mani del presidente deciso nel 2017 tramite referendum popolare. Il malcontento della popolazione sembra fare gioco all’opposizione, ma potrebbe non essere abbastanza per far uscire Erdogan di scena.
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