- «Le guerre in Europa difficilmente cominciano di mercoledì», dice l’ambasciatore russo in Ue. Mercoledì, cioè oggi, era il giorno che, secondo i rumor filtrati da Washington, avrebbe dovuto innescare l’invasione russa dell’Ucraina.
- Invece «ci sono segnali da Mosca che la diplomazia potrebbe andare avanti»: anche Jens Stoltenberg, il segretario di una Nato che continua a lanciare moniti alla Russia, ha ammesso oggi che la finestra di opportunità per un’uscita diplomatica dalla crisi non è chiusa.
- L’unica guerra già iniziata è quella di versioni: per Mosca è iniziato il ritiro delle truppe, per la Nato no. Ursula von der Leyen intanto prova a dare segnali di attivismo (tardivo) dell’Ue sulla crisi ucraina; telefona anche a Draghi. Ma a Mosca va Di Maio.
«Le guerre in Europa difficilmente cominciano di mercoledì», dice Vladimir Chizhov, ambasciatore russo in Ue. Mercoledì, cioè oggi, era il giorno che, secondo i rumor filtrati da Washington, avrebbe dovuto innescare l’invasione russa dell’Ucraina. Invece «ci sono segnali da Mosca che la diplomazia potrebbe andare avanti»: anche Jens Stoltenberg, il segretario di una Nato che continua a lanciare moniti alla Russia, ha ammesso oggi che la finestra di opportunità per un’uscita diplomatica dalla crisi non è chiusa.
Sul campo
La constatazione di Stoltenberg non elimina però le perplessità della Nato sulla effettiva de-escalation militare russa. Lunedì c’è stato un passaggio cruciale nella crisi: il cancelliere tedesco Olaf Scholz, alla vigilia della sua visita al Cremlino, ha negoziato con il presidente ucraino. Dalla concertazione con Volodymyr Zelensky, Scholz è uscito lanciando alcuni messaggi chiave: l’ingresso dell’Ucraina nella Nato «non è in agenda», ci sono «passi avanti» per quel che riguarda il completamento del processo avviato a Minsk, e il cancelliere tedesco è consapevole che con la Russia il negoziato non è tanto, né solo, sull’Ucraina.
Vladimir Putin ha gradito questi segnali, tanto che quel pomeriggio di lunedì, prima del faccia a faccia con Scholz, dal Cremlino è arrivato il primo serio messaggio distensivo. Il ministro della Difesa ha comunicato che alcune delle esercitazioni militari in corso sarebbero giunte al termine. Le «esercitazioni militari» sono quelle a ridosso dell’Ucraina, che l’occidente legge come il prodromo di una invasione «imminente», aggettivo utilizzato dalla Casa Bianca fino al lunedì del segnale distensivo.
Guerra di versioni
Il punto è che tuttora la mossa di Mosca viene ritenuta pura retorica: oggi Stoltenberg, all’uscita dall’incontro con i ministri della Difesa che compongono l’alleanza atlantica, ha dichiarato che «non vediamo nessun segno di de-escalation sul campo. Nessun ritiro di truppe o di equipaggiamento». Certo, le cose potrebbero cambiare, ha riconosciuto il segretario della Nato, «ma ciò che riscontriamo oggi è che la Russia mantiene – dalla Crimea alla Bielorussia - una massiccia forza da invasione che è pronta ad attaccare».
Martedì era stato Vladimir Putin in persona a confermare il ritiro «parziale» di forze militari, ma oggi Stoltenberg ne ha negato l’autenticità. E ha rilanciato: i ministri della Difesa sono pronti a valutare il dispiegamento di nuovi battaglioni Nato nell’Europa centrale ed orientale. Da Mosca, il ministro della Difesa russo ha a quel punto diffuso le immagini di carri armati che abbandonavano il campo, mentre il portavoce del Cremlino ha commentato che «la Nato non è capace di valutare la situazione in modo equilibrato». Non prenderemo più Stoltenberg sul serio, dice Mosca, il cui governo accusa Washington di alimentare le tensioni sull’Ucraina per bloccare l’attivazione del gasdotto Nord Stream 2.
L’Ue in ritardo
«Mancano segni tangibili di de-escalation»: anche la presidente della Commissione europea oggi ha corroborato la versione della Nato. Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel hanno deciso all’ultimo minuto di affiancare l’alto rappresentante Josep Borrell, ieri, per le dichiarazioni all’Europarlamento in tema Ucraina. Un tentativo tardivo di marcare il proprio attivismo sul tema, dopo che l’Ue è stata prima marginalizzata da Usa e Russia nei negoziati, e poi messa in secondo piano dal protagonismo dei leader.
Viktor Orbán, Emmanuel Macron che ha la presidenza di turno Ue, e poi Olaf Scholz, si sono seduti uno dopo l’altro al grande tavolo bianco del Cremlino. Le discrepanze tra stati membri più o meno dialoganti con Mosca hanno impedito una posizione chiara sulle sanzioni. Von der Leyen ieri ha cercato di sfatare le perplessità: ha sottolineato che gli stati membri hanno risposto al ministro degli Esteri con una voce – e una lettera – unica. E ha detto che «un pacchetto solido di sanzioni è pronto per essere attivato nel giro di due giorni». «Siamo pronti anche in caso la Russia decidesse di usare l’energia come arma»: il riferimento è al gas; già adesso «Gazprom sta restringendo le forniture all’Europa» in piena crisi bollette.
Draghi e Di Maio
La presidente della Commissione europea oggi ha pubblicizzato anche una presa di contatto con il presidente del Consiglio Mario Draghi: «Continuo i miei contatti bilaterali, oggi ho sentito Draghi». Poi i riferimenti al fatto che il colloquio ha riguardato anche l’energia, e in particolare la «prontezza» in termini di forniture energetiche. Non sarà Draghi però, ma il ministro degli Esteri, a mettere la faccia domani sulla visita al Cremlino. Luigi Di Maio incontra il suo omologo Sergej Lavrov. Con quale piattaforma programmatica? Sondare le intenzioni di Mosca, «ribadendo una posizione di fermezza sull’integrità territoriale ucraina», risponde la Farnesina.
Quanto è disposta l’Italia a rivedere gli equilibri di sicurezza in Europa orientale anche al di là della questione Ucraina in senso stretto? «La questione riguarda tutta l’architettura di sicurezza in Europa», dunque il tema non è solo Kiev. Intanto la posizione ufficiale condivisa è quella della «politica della porta aperta» per la Nato.
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