- Tutto comincia con un misterioso messaggio del terzo uomo più potente dell’Ucraina, che accusa i russi di aver organizzato un’operazione per danneggiare il ponte di Crimea.
- È l’ultimo capitolo di una guerra strisciante che gli ucraini combattono per seminare disinformazione e caos nel regime di Putin. Dopo l’assassinio di Daria Dugina, gli Stati Uniti hanno lanciato un avvertimento: non esagerate.
- Ma ora, con l’annessione di quattro regioni decisa da Putin, il cambio di regime in Russia è un obiettivo ufficiale del governo ucraino, piaccia o meno ai loro alleati.
Mentre la Russia subisce la condanna unanime per i brutali attacchi contro le città, gli ucraini combattendo un altra guerra: segreta, ma non meno pericolosa di quella che avviene all’aperto sui campi di battaglia. Uno scontro fatto di spie e disinformazione, che, sembra voler dire Kiev con una serie di messaggi ambigui, se combattuto con i giusti mezzi e sufficienti risorse potrebbe portare alla caduta del regime di Putin.
A chi parla Podolyak?
Sabato scorso, mentre il ponte di Crimea era ancora in fiamme dopo un attacco compiuto con ogni probabilità dai servizi speciali ucraini, il consigliere di Zelensky, Mikhail Podolyak, il «terzo uomo più potente dell’Ucraina», come lo chiamano spesso gli ucraini, ha accusato la Russia di aver compiuto una classica operazione “false flag”.
«Seriamente ora – ha scritto su Twitter dopo aver pubblicato un messaggio in cui celebrava il danneggiamento del ponte – L’Fsb [i servizi di sicurezza russi] e le Pmc [il gruppo paramilitare Wagner] stanno cercando di eliminare il ministro della Difesa e il capo di stato maggiore. Prima che si possa arrivare a un cambio di personale, l’Fsb subisce un colpo da ko: non riesce a prevenire l’esplosione del ponte di Putin. Ora il ministero della Difesa può dare la colpa all’Fsb per qualsiasi sconfitta nel sud. Non è ovvio chi c’è dietro l’esplosione? Il camion è arrivato dalla Russia».
Non ci sono prove di questa teoria che è contraddetta dalle numerose fonti anonime dei servizi di sicurezza ucraini che che hanno rivendicato l’attacco. Ma il messaggio di Podolyak non può che aver gettato benzina sul fuoco dello scontro in corso tra gli alti ranghi del regime di Putin, dove la fazione rappresentata dal miliardario e finanziatore del gruppo Wagner Evgenij Prigozin critica sempre più direttamente il ministro della Difesa Sergej Shoigu e il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov. Il Cremlino, dove negli ultimi è cresciuta sempre più l’influenza del cospirazionista per eccellenza, il presidente del consiglio di sicurezza Nikolai Patrushev, è un terreno fertile per le teorie della complotto.
Il fatto che il 5 ottobre, tre giorni prima dell’attacco, proprio Patrushev, durante una visita a Sebastopoli, capitale della Crimea, avesse chiesto di raddoppiare la vigilanza sul ponte in vista di sabotaggi ucraini, di certo non ha fatto nulla per ridurre le paranoie dei gerarchi di regime. Se non è stato l’esercito russo a compiere l’attacco, è facile che stia pensando, possibile che abbia ridotto la vigilanza per far fare una brutta figura agli spioni di regime?
Guerra di nervi
Se Putin bombarda le città ucraine, gli ucraini colpiscono ogni settimana i nervi degli alti gerarchi putiniani. Sabato, poche ore dopo il Tweet di Podolyak, i servizi di sicurezza ucraini hanno diffuso la voce di arresti di massa tra gli altri ranghi dei militari. La notizia è stata rapidamente smentita, ma non prima di essere ripresa da alcuni blogger militari vicini a Prigozin e alla sua fazione.
Alla guerra psicologica si affiancano azioni militari di stampo più classico, come i numerosi sabotaggi di laboratori e industrie militari che si sono verificati in Russia. L’Ucraina non ha mai rivendicato gli attacchi (Podolyak si era limitato a commentare con un laconico «karma»). Ma per i cospirazionisti alla Patrushev è difficile immaginare questi attacchi senza l’intervento di una “quinta colonna” interna.
Lo scorso agosto c’è stato un cambio di passo in questo tipo di operazioni, con l’assassinio della propagandista Daria Dugina, uccisa con autobomba vicino Mosca. Podolyak è stato tra i primi a negare il coinvolgimento del suo governo nell’assassinio e poco dopo, gli ucraini hanno lanciato un’altra operazione di guerra psicologica, incolpando la guerra interna al regime di Putin per l’assassinio. «È iniziato il processo di disgregazione del mondo russo che si divorerà da solo dall’interno», ha fatto sapere il portavoce dei servizi segreti militari ha fatto sapere
Un gioco pericoloso
Gli Stati Uniti non sembrano del tutto entusiasti di questa strategia. All’inizio di ottobre, fonti dell’intelligence americana, hanno rivelato che Dugina è stata uccisa dai servizi ucraini in un’operazione che avrebbe dovtuo colpirla insieme al padre, il filosofo ultranazionalista Alexander Dugin. La notizia sarebbe stata fatta filtrare nel timore di un’escalation degli attacchi ucraini contro leader politici russi a cui il Cremlino avrebbe potuto rispondere con una campagna sua campagna di assassini mirati. Le fonti del New York Times hanno rivelato anche un altro particolare: Il governo ucraino non sarebbe unito su questo tipo di operazioni e Zelensky probabilmente non avrebbe dato il suo via libera. Non è il primo segnale di divisioni all’interno del governo ucraino e dei suoi apparati di sicurezza: purghe, accuse di tradimento e almeno un assassinio ancora senza spiegazione hanno punteggiato il conflitto.
Con l’annessione da parte di Putin di quattro regioni ucraine la situazione sembra cambiata e anche i più prudenti all’interno del governo sembrano aver deciso che il cambio di regime è l’unica soluzione. Su proposta di Zelensky, il parlamento di Kiev ha passato un legge che vieta i negoziati con la Russia fino a che non ci sarà un cambio di presidente in Russia. Che piaccia o meno gli alleati, per gli ucraini la guerra adesso può finire solo con Putin.
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