Occhio al 15 gennaio: iniziano le primarie repubblicane nell’Iowa. Secondo gli esperti americani se nessuno dei due contendenti di Donald Trump (Nikki Haley e Ron De Santis) supererà il 20 per cento la partita sarà già chiusa. Il 2024 è un anno elettorale: miliardi di cittadini (si stima tra i 2 e i 4) andranno al voto ma l’attenzione è concentrata sugli Stati Uniti da cui dipende molto.
Il 13 gennaio vota anche Taiwan e dal risultato si capirà se la tensione con la Cina è destinata a riaccendersi. Ad iniziare sarà il Bangladesh il 7, poi ci sono le Comore il 14 (che hanno la presidenza dell’Unione Africana); segue a fine mese la Finlandia. L’anno nuovo si presenta scandito da tante elezioni che condizioneranno la politica globale. Anche negli stati dove il risultato appare scontato si tratta pur sempre di un passaggio da cui trarre segnali importanti, come in Russia. In Africa si voterà anche in Mozambico, Senegal, Sudafrica e Algeria.
In America Latina sarà significativo seguire il voto delle municipali in Brasile (solo San Paolo ha oltre dieci milioni di elettori) e le politiche messicane ma anche le elezioni in Uruguay e Venezuela. In Asia vanno alle urne indiani, indonesiani, coreani e pakistani. In Medio Oriente ci sono Iran e Turchia. E poi l’Europa: molte tornate nazionali e soprattutto le europee di giugno, oltre che il delicato passaggio in Moldova e le amministrative britanniche.
Come si vede ce n’è per tutti i gusti e in questi giorni gli analisti si sbizzarriscono in previsioni. Provando a delineare continuità e discontinuità, sul versante delle persistenze occorre porre le grandi crisi: i conflitti in Ucraina e a Gaza hanno aperto delle falle importanti nella stabilità mondiale le cui conseguenze dureranno a lungo. Tuttavia si può sperare che il 2024 porti ad una stasi de facto dei combattimenti in Ucraina: i segnali che provengono sia da Washington che da Mosca (al netto della propaganda) puntano ad una fase di “né pace né guerra”, in cui i contendenti possano dire di non avere perso.
Espansione del conflitto
Diversa purtroppo la situazione a Gaza: il 2024 rischia di essere l’anno dell’espansione della guerra a livello regionale, malgrado i tentativi di frenaggio messi in atto dagli Usa. L’attuale dirigenza di Israele sta azzardando la regionalizzazione del conflitto per mantenere il suo ruolo di potenza regionale. Israele scommette sulle blande reazioni degli stati arabi alla guerra di annientamento a Gaza, il che dimostrerebbe –a suo parere- che in Medio Oriente c’è più preoccupazione per l’Iran che per il destino dei palestinesi.
Ciò potrebbe essere congiunturalmente vero ma non tiene conto del sentimento prevalente delle popolazioni, con conseguenze imprevedibili anche se spostate più in là nel tempo. Sul versante delle continuità c’è da considerare la politica russa (a parte la guerra): Vladimir Putin ha ormai superato la fase più dura (sanzioni ecc.) del suo contrasto con l’Occidente e mira a proseguire l’azione di espansione dell’influenza russa nel sud globale.
Tale tipo di iniziativa è anche della Turchia, dell’India, dell’Arabia Saudita o del Brasile: il 2024 sarà ancora l’anno della crescita di peso delle potenze medie e dei Brics, proseguendo ciò che è stato iniziato nel 2023. Diversa la posizione dell’Iran che potrebbe – in discontinuità con il suo operato classico – decidere per una proiezione più aggressiva, coinvolgendosi direttamente nella guerra con l’obiettivo di avversare Israele e l’occidente. Se ciò accadrà c‘è da temere per la stabilità (e forse per l’esistenza stessa) di alcuni stati più fragili del Medio Oriente, come la Giordania e il Libano. Una triste continuità ci sarà probabilmente in Siria dove nulla cambia nella strategia di resilienza del regime, con l’unica eccezione dei cristiani sempre più tartassati dalle autorità di Damasco di cui paradossalmente erano stati forti sostenitori.
Diversa la situazione dell’Iraq che rischia invece una discontinuità pericolosa come effetto dello scontro Israele-Iran. È probabile che l’arco sciita scelga l’Iraq come primo terreno di contesa con gli Stati Uniti. In America Latina la discontinuità promette di essere incarnata dall’Argentina con il governo ultra-libertario di Javier Milei, mentre il resto del continente proseguirebbe il solco dell’anno precedente, a parte le intemerate venezuelane e forse il passaggio elettorale in Messico. C’è da sottolineare il fatto che, a parte qualche eccezione, il subcontinente manterrà la sua distanza dalle posizioni euro-atlantiche sulle guerre di Ucraina e Gaza, fatto che avrà un peso alle Nazioni Unite.
Riscossa africana
In Africa vedremo tanti piccoli cambiamenti nella continuità di un continente alla ricerca di un ruolo globale. Questo è il senso della ripresa di assertività africana in funzione anti-coloniale; delle polemiche contro la Francia; delle critiche alle “lezioni” occidentali in tema di diritti umani e civili; della rinnovata amicizia con la Russia; delle controversie con la Cina sul debito; della richiesta di un posto al G20 per l’Unione Africana (ottenuto) e di un seggio permanente al consiglio di sicurezza Onu (molto difficile).
L’Africa vuole fare da sé e contare in quanto continente, malgrado le sue differenze. Ci sarà da abituarsi ad una posizione continentale sempre più orgogliosa e meno flessibile. Si tratta di una novità nelle relazioni internazionali: Africa non più terreno di scontro tra influenze contrapposte ma detentrice di una posizione originale per contare di più. In Asia e nel Pacifico molto ruoterà attorno al confronto Usa-Cina: entrambe le superpotenze chiedono ai vari stati asiatici e pacifici di schierarsi, come si è visto dal 2022 con la creazione della strategia indo-pacifica alla quale la Cina ha reagito con forza.
L’India mantiene una sua posizione singolare, accettando la collaborazione con l’Occidente per contenere l’influenza di Pechino ma proseguendo allo stesso tempo la cooperazione militare con Mosca. Nuova Delhi mantiene la continuità della sua azione: più influenza senza scegliere un campo, in attesa di diventare una superpotenza anch’essa, com’è nei disegni politici del premier Narendra Modi che con tutta probabilità sarà riconfermato. C’è da osservare anche l’Indonesia che resta pur sempre il più popoloso stato islamico del mondo e possiede un significativo modello di convivenza in un contesto etno-religioso plurale.
L’enigma dell’Ue
Infine l’Europa. Assisteremo alla continuità della crescita dei movimenti e partiti sovranisti e populisti o ad un loro ridimensionamento? Dalle urne possono uscire entrambi i risultati. E’ noto che le elezioni europee sono considerate come una specie di sondaggio a grandezza naturale, in cui non ci si esprime su un governo o una maggioranza ma in base alla propria preferenza e in modo proporzionale. Ciò permette ai cittadini di “lanciare messaggi” alle rispettive classi politiche. Occorre considerare che degli effetti ci sono: il parlamento europeo è gestito da maggioranze spesso diverse a quelle di numerosi stati membri. Il patto “europeista” tra socialdemocratici (S&D) e popolari (PPE) sarà messo alla prova: il tentativo delle destre (il plurale è d’obbligo) è di creare un’alternativa a tale impostazione.
Per questo, in discontinuità con il passato, una parte delle destre (come Fratelli d’Italia ad esempio) ha abbandonato i toni anti-europeisti o euro-scettici per provare a convincere i popolari ad allearsi in funzione anti S&D. Va tenuto presente anche il terzo partner, Renew Europe (l’alleanza liberale e riformista) o i Verdi che in certi paesi sono assai forti. Vedremo dunque se ci sarà discontinuità al fair play europeista prevalso fino ad ora, che non ha paralleli nei parlamenti nazionali. Alcuni segnali – come Spagna e Polonia – vanno nel senso della prosecuzione dell’esperienza, mentre altri – Svezia o Paesi Bassi –sono di segno opposto. Rimane insoluto il tema di fondo: l’Unione Europea vorrà giocare un ruolo politico nei conflitti in corso? Sarebbe questa la vera sorpresa che avrebbe effetti positivi sugli scenari internazionali del 2024.
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