Dal 14 gennaio, giorno delle presidenziali nel paese africano, la polizia ha posto agli arresti domiciliari il politico che non ha finora riconosciuto la vittoria del presidente Yoweri Museveni, al governo del paese dal 1986
Dopo la decisione di un tribunale ugandese che ne aveva ordinato il rilascio, le autorità governative hanno liberato il leader dell’opposizione e cantante pop, Bobi Wine. Dal 14 gennaio, giorno delle presidenziali nel paese africano, la polizia aveva posto agli arresti domiciliari il politico che non ha finora riconosciuto la vittoria del presidente Yoweri Museveni, al governo del paese dal 1986. Nel corso della campagna elettorale, Wine ha più volte criticato il suo avversario accusandolo di essere «un dittatore» e chiedendo agli ugandesi di voltare pagina e scegliere la democrazia. Museveni aveva risposto dicendo al suo rivale di «non turbare la calma della nazione».
Nessuna accusa
Ufficialmente le accuse contro Wine non sono mai state rese pubbliche dalle autorità che hanno deciso di mettere sotto controllo l’ex candidato probabilmente per evitare che la situazione potesse sfuggire di mano a un regime che controlla la popolazione da oltre trent’anni. Durante la campagna elettorale, le forze governative avevano arrestato ripetutamente la pop star accusata di avere di avere infranto le normative anti Covid. I continui arresti hanno provocato diversi scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine che hanno causato la morte di 54 persone e il ferimento di altre 600.
Lo scontro con gli Stati Uniti
Prima della decisione del tribunale, anche gli Stati Uniti si erano interessati al caso Wine. Una delegazione dell’ambasciata americana si era recata verso la sua dimora per sincerarsi delle sue condizioni, ma era stata brutalmente respinta e accusata dal governo ugandese di «impicciarsi di non propri». In precedenza, i diplomatici statunitensi avevano definito un segnale «preoccupante» la detenzione di Wine.
Quella dell’ambasciata non è stata l’unica ingerenza nella delicata situazione in atto nello stato. Pochi giorni prima delle elezioni, Facebook aveva oscurato i profili di diversi membri del governo accusati di diffondere notizie false nel corso della campagna elettorale. L’esecutivo aveva reagito duramente chiudendo tutti i social nel paese.
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