I figli dell’attivista iraniana hanno partecipato alla cerimonia di premiazione a Oslo al posto della madre leggendo la lettera che l’attivista, condannata a 31 anni, ha scritto dal carcere
È rimasta vuota la sedia per Narges Mohammadi, la vincitrice del premio Nobel per la Pace 2023 per la lotta contro l’oppressione delle donne nel suo paese. L’attivista iraniana non ha potuto ritirare il premio a Oslo perché si trova in carcere in Iran e le è stato negato il permesso di presenziare. Sono stati i due figli a ritirare il premio al suo posto. E hanno letto un messaggio di ringraziamento scritto dalla donna in carcere.
Il capo del Comitato norvegese per il Nobel, Berit Reiss Andersen, ha detto che il premio le era stato assegnato «per la sua lunga e coraggiosa battaglia contro l'oppressione delle donne in Iran e per la sua lotta per la libertà di tutti».
La cerimonia
«Sono una delle milioni di donne iraniane orgogliose e resilienti che si sono ribellate contro l’oppressione, la repressione, la discriminazione e la tirannia», ha scritto Mohammadi. «Scrivo questo messaggio da dietro le alte e fredde mura di una prigione. Sono una donna iraniana, una orgogliosa e onorevole collaboratrice della civiltà, che attualmente è sotto l’oppressione di un governo religioso dispotico».
Nel suo discorso ha denunciato il governo della Repubblica islamica di Iran che «nonostante la sua ricca civiltà» si trova «attualmente sotto l’oppressione di un governo religioso dispotico». Ha sottolineato che l’Iran sta mettendo in pericolo molti diritti contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti umani e in altri trattati poiché «sottoposti alle pressioni multilaterali di potenti forze oppressive».
Ha ricordato anche Shirin Ebadi, l’avvocatessa iraniana che ha vinto il premio Nobel per la Pace nel 2003, presente alla premiazione ad Oslo: «Sono onorata di essere la seconda destinataria del premio Nobel per la pace dall’orgoglioso paese dell’Iran, insieme alla mia stimata mentore e collega, la signora Shirin Ebadi».
La sua lettera si è conclusa con una messaggio di speranza: «Ho fiducia che la luce della libertà e della giustizia brillerà sulla terra dell’Iran. In quel momento celebreremo la vittoria della democrazia e dei diritti umani sulla tirannia e sull’autoritarismo, e l’inno del trionfo del popolo risuonerà nelle strade dell’Iran in tutto il mondo».
La vincitrice
Narges Mohammadi, 51 anni, è stata arrestata 13 volte, condannata cinque e condannata a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate.
Il lungo ciclo di detenzioni è iniziato nel 2010 quando ha aderito al Centro per la difesa dei diritti umani. Una cauzione di 50mila dollari le ha concesso il ritorno alla libertà per un breve periodo perché qualche giorno dopo è stata nuovamente arrestata. Una volta fuori, Narges è stata nuovamente imprigionata nel luglio 2011, poi nel 2015 e infine nel 2016. Fino al 2021 ha vissuto un raro periodo di libertà interrotto a novembre con l’arresto durante la cerimonia commemorativa in occasione del secondo anniversario della morte di Ebrahim Ketabdar, ucciso dalle forze dell’ordine durante le proteste del novembre 2019. La condanna fu di due anni e sei mesi con la minaccia di una fustigazione di 80 frustate.
All’inizio del 2022, mentre si trovava ancora in isolamento, Mohammadi è stata condannata ad altri otto anni e due mesi per aver partecipato ad un sit in con altre detenute nel reparto femminile nella prigione di Evin avvenuto nel 2019. Nel gennaio 2022 è stata trasferita in un reparto con donne condannate per gravi crimini in violazione della legge iraniana e degli standard internazionali.
Amnesty International ha denunciato la negazione delle cure mediche durante la detenzione a seguito di alcuni attacchi di cuore e un successivo intervento chirurgico al cuore e una malattia polmonare di cui la detenuta soffre. Un mese fa ha iniziato anche lo sciopero della fame nella prigione di Evin, dove è detenuta per aver protestato contro i ritardi nel fornire le cure mediche alle persone detenute e contro la legge dell’obbligo del velo.
Premio Sakharov
Allo stesso modo, le autorità iraniane hanno impedito la partecipazione alla famiglia di Mahsa Amini per ritirare il premio Sakharov. Il premio per la libertà di pensiero è stato assegnato postumo dall’Unione europea alla giovane 22enne curdo iraniana, morta l’anno scorso mentre si trovava sotto la custodia della polizia morale accusata di non aver indossato correttamente il velo. I genitori e il fratello si stavano recando all’aeroporto per viaggiare verso Parigi dove si terrà la cerimonia ma le autorità gli hanno tolto i passaporti e gli hanno vietato di lasciare il paese.
La presidente del Parlamento europeo è intervenuta per chiedere alle autorità iraniane di ritirare la decisione: «Il loro posto martedì è all'Eurocamera per ricevere il premio Sakharov, insieme alle coraggiose donne iraniane. La verità non può essere messa a tacere».
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