- La guerra in Ucraina sta mostrando ancora una volta i limiti del funzionamento della politica estera, di sicurezza e di difesa dell’Unione europea.
- Modelli basati sull’integrazione e la cooperazione flessibile dovrebbero essere applicati anche alle aree di politica estera e di sicurezza, come antidoto alla minaccia di frammentazione e financo di disintegrazione. Un secondo tassello riguarda la riforma delle regole decisionali, e in particolare quella dell’unanimità, che ha significato troppo spesso inazione e silenzio collettivo.
- Infine, vanno introdotte misure specifiche nel settore della difesa. Il testo fa parte del nuovo numero di Scenari, scopri quali sono gli altri contributi. Per leggerli tutti è possibile abbonarsi qui.
La guerra in Ucraina sta mostrando ancora una volta i limiti del funzionamento della politica estera, di sicurezza e di difesa dell’Unione europea. Da ultimo, le difficoltà incontrate nell’approvazione del sesto pacchetto di sanzioni, e in particolare quelle relative all’importazione del petrolio russo, testimoniano le disfunzioni di un settore che mantiene una forte impronta intergovernativa, dominato dalla logica del consenso e dunque dagli esecutivi nazionali e dalle loro priorità. In passato, queste disfunzioni avevano causato la paralisi dell’Unione di fronte a crisi e conflitti come in Libia, nel Sahel, in medio oriente.
Oggi sembra chiaro che, se l’Unione vuole sopravvivere in un contesto caratterizzato da un significativo dinamismo geopolitico, sia dei suoi rivali strategici che dei suoi partner, deve mettere in campo una serie di riforme che possano dotarla di un sistema di governance efficace della sua politica estera e di sicurezza.
Modelli differenziati
Un primo tassello riguarda meccanismi di funzionamento più flessibili. Un certo grado di differenziazione ha sempre fatto parte del processo di integrazione europeo: dall’Eurozona, all’area Schengen fino alla difesa. Modelli basati sull’integrazione e la cooperazione flessibile dovrebbero essere applicati anche alle aree di politica estera e di sicurezza, come antidoto alla minaccia di frammentazione e financo di disintegrazione. Ci sono già dei meccanismi previsti dai Trattati, come l’astensione costruttiva e la cooperazione rafforzata, ma non sono stati quasi mai utilizzati, con l’eccezione più notevole e recente della Cooperazione strutturata permanente (Pesco) in materia di difesa.
Ha invece dimostrato una certa efficacia l’uso di meccanismi informali di differenziazione, ad esempio la formazione di gruppi ristretti di stati membri che possono aiutare a far avanzare la posizione dell’Unione sulle questioni principali dell’agenda internazionale. Ne sono esempi il gruppo E3 formato da Francia, Germania e Gran Bretagna, con la partecipazione dell’Alto rappresentante, sull’Iran o il gruppo Normandia formato da Francia e Germania sull’Ucraina. Inoltre, di fronte alla guerra in corso in Ucraina e alle richieste di adesione all’Unione di Ucraina, Georgia e Moldova, il concetto di flessibilità può anche assumere un significato diverso e più strategico nella sua azione esterna, per esempio offrendo modelli differenziati di cooperazione tra l’Ue e i paesi candidati, vicini o partner.
Ovviamente questo solleva importanti questioni sulla compatibilità dell’integrazione flessibile con la conservazione dell’unità politica e giuridica dell’Unione. Per mitigare questi rischi, è fondamentale assicurare la coerenza con obiettivi e decisioni condivise all’interno dell’Ue. Pertanto, quando le iniziative di differenziazione intergovernativa sono stabilite al di fuori dei Trattati, va garantita la loro connessione con la governance dell’Ue, ad esempio stabilendo meccanismi di partecipazione e supervisione delle istituzioni di Bruxelles. Inoltre, la legittimità democratica e la responsabilità devono essere preservate e salvaguardate a tutti i costi, attraverso meccanismi parlamentari specifici (commissioni ad hoc e/o forme rafforzate di cooperazione interparlamentare) e un reale impegno con i cittadini europei attraverso la consultazione, l’informazione e il dialogo.
Regole decisionali
Un secondo tassello riguarda la riforma delle regole decisionali, e in particolare quella dell’unanimità, che ha significato troppo spesso inazione e silenzio collettivo. Già in passato il superamento dell’unanimità ha garantito lo sblocco di lunghi periodi di stallo istituzionale, come nel caso del mercato interno negli anni Ottanta. Allo stesso modo, l’introduzione del voto a maggioranza qualificata potrebbe essere altamente vantaggioso anche per la politica estera dell’Unione.
Esso aumenterebbe la capacità di azione dell’Unione, non soltanto perché ci vorrebbe più di uno stato membro per bloccare una decisione, ma anche perché nel tempo gli stati membri suscettibili di essere in minoranza sarebbero spinti a intensificare gli sforzi negoziali, costruire alleanze e contribuire al raggiungimento di un accordo piuttosto che essere premiati per l’ostruzionismo.
Proposte che vanno in questa direzione sono state avanzate a più riprese dalle istituzioni europee e dai leader nazionali, incluso il premier Draghi nel suo discorso al parlamento europeo di Strasburgo il 3 maggio scorso. Eppure, fino a oggi è mancata la volontà degli stati membri di utilizzare appieno le procedure previste a questo scopo dai Trattati, come la “clausola passerella” dell’articolo 31, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea, oppure il meccanismo dell’astensione costruttiva, che permette a uno stato membro di astenersi da un voto unanime senza bloccarlo.
Va poi tenuto conto del fatto che l’estensione del voto a maggioranza qualificata ad altri ambiti della politica estera, di sicurezza e di difesa richiederebbe modifiche al Trattato che, ancora una volta, necessitano dell’unanimità per l’adozione. Tuttavia, è ormai chiaro che procedere compatti a 27 è diventata la sfida più ardua sulla strada di una maggiore integrazione, e che mentre l’Unione lavora alla convergenza strategica tra i suoi membri, un alleggerimento del suo processo decisionale non è più procrastinabile.
Difesa comune
Infine, vanno introdotte misure specifiche nel settore della difesa. Negli ultimi anni, l’Unione ha dato un impulso politico necessario alla cooperazione europea in questo ambito, ma è arrivato il momento di produrre risultati tangibili, anche per evitare di perdere lo slancio attuale. Di recente l’adozione della Bussola strategica ha confermato la volontà degli stati membri di rafforzare il loro impegno politico-militare per costruire una difesa europea, soprattutto alla luce della sfida posta dall’invasione russa dell’Ucraina. La commissione, dal canto suo, ha presentato a maggio un ambizioso pacchetto che mira a introdurre diverse misure per quel che riguarda l’acquisto di sistemi d’arma a livello comunitario.
Visione sistemica
Per il futuro, serve una visione sistemica che preveda un quadro generale coerente tra tutte le iniziative, in modo che si rafforzino – e non si sovrappongano o duplichino – a vicenda, e che rispetti un corretto equilibrio tra la dimensione intergovernativa e quella comunitaria. Questa visione sistemica deve essere sostenuta da una revisione dell’architettura istituzionale complessiva.
Il modello per il quadro istituzionale intergovernativo dovrebbe essere quello di una struttura nazionale, che ha un decisore politico (il ministro), una leadership militare (il capo della difesa) e un responsabile degli approvvigionamenti e dello sviluppo delle capacità (un direttore nazionale degli armamenti). Tutte queste figure hanno le loro strutture di supporto e sono soggette a vincoli politici da parte di organismi eletti (governi e parlamenti). Questo modello, ovviamente, dovrebbe essere opportunamente adattato al formato Ue.
Ne consegue che si dovrebbero fare i passi necessari per la creazione di un Consiglio dei ministri della Difesa formalizzato, superando i meccanismi informali che già esistono, presieduto dall’Alto rappresentante. Questo dovrebbe svolgere il ruolo interno svolto da ogni ministro della Difesa, fornendo una guida strategica e prendendo decisioni chiave sullo sviluppo delle capacità, sulle missioni e sulle operazioni.
Il comitato militare dell’Ue funzionerebbe come se fosse un capo della difesa nazionale, mentre l’agenzia europea per la Difesa svolgerebbe il ruolo di un’agenzia europea per gli armamenti. Infine, la commissione europea fornirebbe le risorse necessarie, mentre una vera e propria commissione per la Difesa nel parlamento europeo potrebbe esercitare un’adeguata supervisione sullo sviluppo delle capacità e sulle missioni.
Alcune delle riforme enunciate potrebbero essere attivate già da subito con un accordo tra stati membri e istituzioni, mentre una riforma complessiva della governance europea richiede una difficile riforma dei Trattati. Tuttavia, è arrivato il tempo delle scelte e solo un’Unione più efficace a livello internazionale sarà in grado di rispondere alle aspettative dei suoi cittadini.
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