Trump non sta facendo breccia nella working class, come si dice. La mobilità delle opinioni è bassa: ognuno si rivolge al proprio bacino
È una leggenda infondata ma persistente, in Italia più che altrove. Quella secondo la quale l’ascesa politica di Donald Trump, culminata nella sua vittoria del 2016 e nel suo takeover sul partito repubblicano, sia stata trainata da una working class abbandonata da élite globaliste e da un partito democratico vieppiù disattento agli interessi dei ceti più deboli e della vecchia classe operaia.
Mille studi hanno smentito o grandemente qualificato questa lettura e i tanti stereotipi che l’accompagnano. Al netto della oggettiva difficoltà di definire con chiarezza cosa sia questa working class e chi ne faccia parte – utilizzando dati occupazionali scopriamo che negli Usa oggi il manifatturiero occupa non più del 7/8 per cento della forza lavoro complessiva – se usiamo parametri di reddito, scopriamo che in quelli più bassi (inferiori ai 50mila dollari per nucleo familiare) i democratici hanno sempre vinto nettamente nelle ultime tornate elettorali.
Se incrociamo, come è necessario ma non semplice fare, reddito e razza, Trump non ottiene risultati migliori tra i percettori di redditi più bassi; tendenzialmente, i suoi voti sono distribuiti omogeneamente tra i diversi gruppi di reddito, con una propensione ad aumentare alla crescita dei medesimi. Genere, età e livello d’istruzione offrono ulteriori elementi per provare a qualificare l’idealtipo dell’elettore trumpiano: che è maschio, bianco, non giovane, con redditi medi e medio-alti e bassi livelli d’istruzione (senza un titolo di studio post-secondario).
Un idealtipo, peraltro, maggioritario anche tra i partecipanti all’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021: secondo le stime elaborato dal gruppo dell’Università di Chicago guidato dallo scienziato politico Robert Pape, il 64 per cento aveva più di 35 anni, il 93 per cento era bianco, l’85 per cento era composto da uomini, e le categorie maggiormente rappresentate erano piccoli imprenditori (business owners, che possono includere anche commercianti), colletti bianchi e militari. Tutto ciò va integrato con il parametro oggi forse più significativo per esaminare e prevedere i cicli elettorali negli Usa: la densità abitativa e il cleavage tra le aree metropolitane e della prima suburbia da un lato e quelle exurbane e pienamente rurali dall’altro.
I voti democratici sono grandemente sovrarappresentati tra le prime; quelli repubblicani tra le seconde. Nel 2020, ad esempio, Trump prevalse in 2588 contee (poco popolate) e Biden in appena 551 (molto popolate). Nelle 20 principali città del paese, abbiamo oggi 17 sindaci democratici, 2 repubblicani e 1 indipendente. Nel 2020, Biden riuscì addirittura a ottenere la maggioranza dei voti in tutti le cinque principali città del Texas, incluse Dallas e Fort Worth.
Motivare i propri elettori
In un contesto altamente polarizzato contraddistinto da una bassissima mobilità di opinioni e voti, fondamentale diviene mobilitare appieno il proprio elettorato. Cosa più difficile per quello democratico, in teoria strutturalmente maggioritario, ma anche demograficamente e politicamente meno coeso e omogeneo. La convention di Chicago a questo è servita: a galvanizzare la base del partito e cercare di ridurre al minimo le astensioni in novembre.
Quelle astensioni che – più dello spostamento verso Trump - risultarono decisive nel 2016. In parallelo Harris e Waltz devono conquistare voti tra la piccola fetta residua d’indecisi e contenere le perdite laddove la controparte è più forte, a partire dalle contee rurali di Stati come Michigan e Wisconsin o da quelle suburbane-exurbane di grandi aree metropolitane come Phoenix in Arizona, Atlanta in Georgia o Charlotte in North Carolina.
Come fare? Che tipo di messaggio offrire? Come conciliare i codici mobilitanti destinati ai propri elettori con quelli concilianti da usarsi invece per gli indecisi o i disillusi dell’altra parte? Harris e Waltz sembrano per il momento seguire uno spartito iniziato con Obama nel 2008 e consolidato con Biden nel 2020. Che possiamo sintetizzare in tre grandi categorie: protezione, diritti e paura. I democratici promettono maggiore sicurezza, in primis sociale, a un pezzo d’America che continua a sentirsi precaria e fragile.
Attraverso un ulteriore potenziamento dell’offerta di sanità pubblica, già molto cresciuta grazie alla riforma di Obama e alla sua estensione con Biden (oggi tra il 35 e il 40 per cento degli americani accedi ai due grandi programmi pubblici, Medicare e Medicaid). E che è popolare anche tra molti elettori repubblicani, soprattutto anziani, i beneficiari principali delle misure adottate negli ultimi anni che fissano un tetto ai prezzi di alcuni medicinali essenziali. O con politiche di sostegno alla famiglia e alla natalità come quelle delineate da Harris. I diritti sono più di tutto quelli delle donne, a partire dall’aborto.
I dati delle ultime tornate elettorali, quelli del mid-term del 2018 in particolare, hanno mostrato la capacità democratica di catturare voti di donne moderate e finanche conservatrici, in particolare in aree suburbane, grazie a un messaggio che mette al centro la questione dei loro diritti. Anche grazie al terzo elemento, quello della paura: di Donald Trump, di quel che rappresenta e di quello che potrebbe fare in una seconda amministrazione nella quale non ci sarebbero le forze moderatrici che tra il 2017 e il 2021 ne contennero spesso il radicalismo, l’incultura istituzionale e le inclinazioni eversive, poi dispiegate senza freni dopo il voto del 2020.
Politiche specifiche e già testate in laboratori locali possono ovviamente aiutare. Si pensi proprio a quanto fatto da Tim Walz nei suoi cinque anni di guida del Minnesota: dalla cancellazione delle tasse universitarie nei college statali per gli studenti di famiglie a basso reddito alla decisione, molto popolare, di togliere il prerequisito minimo di studio per poter accedere a varie posizioni della burocrazia statale. Più di tutto aiuterà però la capacità di offrire un messaggio, una narrazione appunto, capace d’intrecciare e rendere pienamente complementari la promessa di protezione, l’impegno sui diritti e l’ombra di una paura evocata a più riprese nelle quattro giornate di Chicago.
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