- Non usa mezzi termini il cardinale Reinhard Marx, che in una lettera ha chiesto a papa Francesco di essere sollevato dall’incarico per la «responsabilità nella catastrofe degli abusi sessuali da parte dei membri della chiesa negli ultimi decenni».
- L’iniziativa dell’arcivescovo di Monaco di Frisinga, figura di spicco dei vescovi teutonici, è la luce prima del tuono che rimbomberà nel cielo plumbeo della chiesa tedesca, quando si capirà se il controverso percorso sinodale avrà portato alla rottura con Roma.
- Intanto nella sua invettiva il porporato non assolve né lui né la chiesa tutta, rintracciando nel suo personale harakiri l’alba di un «nuovo risveglio della chiesa».
«Questa è la mia impressione: di essere giunti a un punto morto». Non usa mezzi termini il cardinale Reinhard Marx, che in una lettera ha chiesto a papa Francesco di essere sollevato dall’incarico per la «responsabilità nella catastrofe degli abusi sessuali da parte dei membri della chiesa negli ultimi decenni». L’iniziativa dell’arcivescovo di Monaco di Frisinga, figura di spicco dei vescovi teutonici, è la luce prima del tuono che rimbomberà nel cielo plumbeo della chiesa tedesca, quando si capirà se il controverso percorso sinodale avrà portato alla rottura con Roma. Intanto nella sua invettiva il porporato non assolve né lui né la chiesa tutta, rintracciando nel suo personale harakiri l’alba di un «nuovo risveglio della chiesa».
Colpa della chiesa
Il cardinale tedesco non è nuovo a iniziative eclatanti. Lo aveva già dimostrato nel febbraio 2020 quando aveva dichiarato di rinunciare alla guida della Conferenza episcopale tedesca, di cui era stato presidente dal 2014, per lanciare il cammino sinodale. Sin dai lavori preparatori del Synodale Weg, i vescovi teutonici avevano auspicato di mettere mano alla gestione degli abusi, prendendo in considerazione anche i casi caduti in prescrizione per il diritto civile. Un ampio ruolo era stato demandato anche alle diocesi attraverso l’istituzione di commissioni indipendenti formate da un pool eterogeneo di ecclesiastici, laici e vittime. Era stato lo stesso cardinale a chiederlo, rispondendo a una richiesta scritta da nove teologi tedeschi e pubblicata nelle colonne del Frankfurter Allgemeine Zeitung. A distanza di due anni da quella lettera che invitava alla tolleranza zero, gli sforzi non sono stati sufficienti per il porporato: «Le indagini e le perizie degli ultimi dieci anni hanno dimostrato che alcuni rappresentanti della chiesa non vogliono accettare questa corresponsabilità e, pertanto, anche la colpa dell’Istituzione».
Fedeli alla linea
La catilinaria del cardinale non era inaspettata, ma ha mostrato le antinomie che covavano sotto la cenere del Synodale Weg.
Poche settimane fa aveva accennato al concetto di responsabilità, parola chiave nella lettera di Marx, anche l’attuale presidente della Conferenza episcopale tedesca, Georg Bätzing, che, interpellato sul tema degli abusi dal periodico Herder Korrespondenz, aveva ammesso: «L’attribuzione non chiara della responsabilità è qualcosa che dobbiamo cambiare. Deve essere chiaro chi è responsabile di che cosa. Perciò abbiamo bisogno di un’elaborazione indipendente, in modo da poter imparare da essa a stabilire chiare strutture di responsabilità e processi corrispondenti. Naturalmente alla fine il responsabile di ciò che avviene nella sua diocesi è il vescovo».
Il punto d’innesco del cammino sinodale era stato proprio lo studio Mhg, una ricognizione approfondita sugli abusi e le violenze sessuali su minori da parte di sacerdoti, diaconi e religiosi, commissionata dai vescovi tedeschi nel 2014 e pubblicata quattro anni dopo. Fra le pagine del documento finale si leggeva in controluce una forte denuncia: «Molte vittime hanno confessato che da parte della chiesa cattolica hanno percepito poco rammarico per l’abuso sessuale subito dai sacerdoti, ma che sentono ancora la mancanza di un’autentica ammissione di colpa. Bisogna prendere sul serio questa percezione».
Parallelamente, emergeva come evidente soluzione la necessità di picconare il cosiddetto clericalismo insito nelle strutture di potere a vocazione gerarchica maschile.
Resa dei conti a Colonia
Chi s’era detto dubbioso sul cammino sinodale tedesco era l’arcivescovo di Colonia, il cardinale Rainer Maria Woelki. Il porporato di una delle arcidiocesi più importanti e ricche del paese – conta quasi due milioni di cattolici attivi e un patrimonio che ammonta a 3,8 miliardi di euro – aveva, al contrario, sposato un approccio più orientato all’evangelizzazione piuttosto che alla dottrina.
Woelki non è nuovo al dissenso con Marx: nel 2018 era stato lui a chiedere la mediazione della Santa sede sulla concessione dell’eucarestia ai protestanti coniugi di cattolici, nonostante la maggioranza dei vescovi tedeschi avesse votato per il sì nell’assemblea di Ingolstadt. Con l’avvio dei lavori sinodali, il cardinale Woelki è finito nell’occhio del ciclone con l’accusa di non aver segnalato in Vaticano un caso di violenza nel 2015. Le accuse hanno in seguito preso la forma delle critiche quando lo stesso arcivescovo s’era rifiutato di rendere pubblico il rapporto sui casi di pedofilia nella sua arcidiocesi.
Non è neppure bastato un secondo rapporto, da lui poi commissionato con la direzione dello studio legale Gercke & Wollschläger, per calmierare il malcontento dell’episcopato. Sette giorni fa, papa Francesco ha così affidato al vescovo di Stoccolma, il cardinale Anders Aborelius, e a monsignor Johannes van den Hende, vescovo di Rotterdam nonché presidente della Conferenza episcopale olandese, una visita apostolica nell’arcidiocesi per vederci chiaro: «Sono consapevole e addolorato perché abbiamo perso la fiducia. Abbiamo commesso errori, io ne porto la responsabilità» aveva ammesso il cardinale Woelki all’inizio del cammino sinodale. Con l’azione diretta di Roma e il motu proprio Vos estis lux mundi, la resa dei conti appare inevitabile.
Aria di sfiducia
Ma la decisione del cardinale Marx di detronizzarsi aumenta anche le divergenze con la Santa sede. Il diaframma con la chiesa tedesca si è appena ampliato lo scorso marzo con il niet vaticano alle benedizioni delle coppie omosessuali, acuendosi pochi giorni fa con l’ultima riforma del Codice di diritto canonico. Fra le revisioni caldeggiate da papa Francesco c’è, infatti, quella al canone 1379, che scomunica «chi tenta di conferire un ordine sacro a una donna»: in questo modo, il Vaticano chiude la porta a qualsiasi apertura che contempli il diaconato femminile, come invece auspicano i tedeschi.
Per costoro, i tempi sono maturi, ma è il papa stesso a non condividere in toto la loro linea. I due approcci sono emersi nero su bianco nella lettera che il pontefice ha indirizzato a sorpresa al clero teutonico alla vigilia del Synodale weg nel 2019: «Gli interrogativi presenti, come pure le risposte che diamo, esigono una lunga fermentazione della vita e la collaborazione di tutto un popolo per anni», ha scritto il papa.
Eppure, per molti di loro non è chiaro quanto debba durare il processo di maturazione della chiesa. Lo hanno più volte spiegato, sebbene abbiano chiamato in causa la stessa «decentralizzazione salutare» presente nell’Evangelii Gaudium.
«L’interesse è immenso, perché i temi e le sfide del nostro cammino sinodale si possono vedere anche altrove. Il Sinodo sull’Amazzonia ce lo ha mostrato ancora una volta», ha dichiarato Marc Frings, l’influente segretario generale del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, intervistato da Sarah Numico. Per i tedeschi quello che accade in Germania dovrebbe accadere anche altrove, compreso ammettere che c’è un tempo per piantare e un tempo per sradicare.
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