Gli obiettivi della conferenza voluta da Zelensky contrastano con la strategia “multipolare” di Xi. In testa al sud globale, Pechino evita di legittimare un’iniziativa che ridurrebbe la propria centralità
«È un peccato che un paese così grande, indipendente e potente come la Cina sia uno strumento nelle mani di Putin», che sta facendo «tutto il possibile per bloccare il vertice di pace» in programma a Lucerna, in Svizzera, il 15-16 giugno. Le pesanti critiche che Volodymyr Zelensky ha rivolto a Pechino domenica scorsa dallo Shangri-La Dialogue di Singapore, davanti ai ministri della Difesa di mezzo mondo, rappresentano il primo attacco del presidente ucraino contro la “neutralità” professata dalla Cina.
In oltre due anni di guerra Kiev e Pechino hanno mantenuto sempre aperti i canali di comunicazione. Nei nove mesi trascorsi dalla sua inaugurazione (nell’agosto scorso), attraverso il Corridoio del mar Nero l’Ucraina ha esportato 50 milioni di tonnellate di beni, il 30 per cento dei quali verso la Cina, il suo principale partner commerciale. Certo, da un lato, dallo scoppio delle ostilità, Xi Jinping ha sentito Zelensky soltanto una volta, al telefono (il 26 aprile 2023), mentre, dall’altro con Vladimir Putin si è scambiato tre visite di stato, l’ultima delle quali (16-17 maggio) condita con l’abbraccio tra i due leader a favore di telecamere, a suggellare l’ennesimo innalzamento della “partnership strategica” tra due potenze nucleari confinanti.
Ma ciò non aveva impedito a Kiev di giudicare favorevolmente la “Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina”, il piano pubblicato da Pechino il 24 febbraio 2023, che al primo di 12 punti prevede il rispetto della sovranità, dell’indipendenza e dell’integrità territoriale di tutti i paesi.
Sud globale conteso
Tuttavia il “Summit sulla pace in Ucraina” promosso da Kiev è come fumo negli occhi per la leadership cinese. Infatti l’obiettivo di breve termine di Zelensky – utilizzarlo per aumentare l’isolamento internazionale della Russia, non invitata – contrasta con quello di medio-lungo periodo di Pechino di dare, assieme a Mosca e ai paesi del Sud globale, una spallata decisiva all’ordine liberale internazionale a guida statunitense.
Putin e Xi lo interpretano proprio come un tentativo di allentare l’abbraccio della Cina (e della Russia) nei confronti di questi paesi, a partire da quelli del gruppo Brics, promuovendo tra di loro la formula di pace di Zelensky in luogo di quella di Pechino.
Per questo Mosca l’ha giudicato «inutile», mentre il ministero degli Esteri di Pechino l’ha bollato come il tentativo di alimentare uno «scontro tra blocchi». La portavoce, Mao Ning, ha ricordato i tre elementi che la Cina considera essenziali per una «vera conferenza di pace», che mancano alla conferenza svizzera: «Che sia riconosciuta sia dall’Ucraina sia dalla Russia; che garantisca una partecipazione paritaria a tutte le parti; che preveda una discussione imparziale di tutti i piani di pace».
E i Brics? Non ci saranno Brasile, Russia, Cina e Sudafrica, l’India invierà una rappresentanza non di primo livello, e ha dato forfait anche un potenziale donatore importante come l’Arabia Saudita.
Le dichiarazioni di Zelensky evidenziano comunque che se la guerra in Ucraina continuerà ad avanzare verso un’escalation per Pechino sarà più difficile difendere la sua “neutralità”.
La “neutralità” infatti implica non soltanto la non partecipazione alla guerra, ma anche il dovere di astenersi da ogni condotta che potrebbe favorire, direttamente o indirettamente, lo sforzo di uno dei belligeranti. E su quest’ultimo punto sia le continue rivelazioni di servizi d’intelligence su tecnologia a doppio impiego (civile-militare) che Pechino passerebbe a Mosca sia le accuse di sostegno politico, come quella di Zelensky, sono destinate a esercitare una pressione crescente.
Munizioni per il “de-risking”
L’uscita contro la Cina del presidente ucraino fa seguito alla visita a Bruxelles di Kurt Campbell (28-29 maggio), durante la quale il sottosegretario di Stato Usa ha avvertito i paesi membri della Nato (che ormai – tranne Austria, Cipro, Irlanda e Malta – coincidono con quelli dell’Ue) che «ciò che abbiamo visto da parte della Cina non è un caso isolato o un paio di aziende disoneste coinvolte nel sostegno alla Russia. Si tratta di uno sforzo prolungato e globale, sostenuto dalla leadership cinese, progettato per fornire alla Russia tutto il supporto dietro le quinte». Secondo Campbell, il sostegno cinese non solo aiuta Mosca contro Kiev, ma le permette di «porre una sfida strategica ad altri paesi europei». I media di stato sottolineano però che ad alimentare la guerra sarebbero piuttosto gli aiuti militari forniti all’Ucraina (il paese aggredito, ndr) dagli Stati Uniti e dagli europei. E non si preoccupano più di tanto del “Summit sulla pace in Ucraina”, che secondo gli analisti cinesi è già stato derubricato dall’assenza del presidente Usa Joe Biden, che sarà “sostituito” dalla sua vice Kamala Harris.
Accuse, quelle di Zelensky e di Campbell, che per l’Europa cadono in un momento particolare, alla vigilia del verdetto dell’inchiesta della Commissione sui veicoli elettrici importati dalla Cina, che arriverà con ogni probabilità poco dopo le elezioni del 6-9 giugno e che potrebbe determinare un aumento dei relativi dazi. Segneranno l’inizio di una guerra commerciale tra i due blocchi? Wang Lutong, il responsabile per l’Europa del ministero degli Esteri, ha avvertito attraverso X che «invece di rinviare la decisione, la Commissione europea dovrebbe fermare l’indagine il prima possibile. La Cina è pronta a salvaguardare i diritti e gli interessi legittimi delle sue imprese». Se, come è possibile, dopo il voto si formerà una maggioranza simile a quella attuale, magari con Ursula von der Leyen confermata alla guida della Commissione, il rifiuto di Pechino di partecipare all’evento svizzero e le parole di Campbell torneranno utili per giustificare la prosecuzione della politica di “de-risking”, di riduzione delle dipendenze dell’Ue dalla Cina.
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