«Nessuno è più filocinese del marxista Walz». Lo slogan maccartista scagliato da Richard Grenell contro il candidato democratico alla vicepresidenza Usa è diventato virale, rimbalzando da X al sito trumpiano Truth, al New York Post e oltre. Quelli della campagna di The Donald si sono messi a scavare nel passato di Tim Walz, selezionando gli argomenti in grado di eccitare quella parte di America in preda alla sinofobia.

A suonare la carica è stato Grenell, direttore dell’intelligence durante l’amministrazione Trump, che per attaccare l’avversario ha utilizzato il social media di Elon Musk.

Walz ha vissuto in Cina nel 1989-1990. Un biennio segnato dalla sanguinosa repressione del movimento di Tiananmen, dalla legge marziale a Pechino e dall’isolamento internazionale che seguì quel massacro.

Gli strateghi della comunicazione di Trump hanno rimesso in circolo le dichiarazioni un po’ naif del governatore del Minnesota – allora un insegnante d’inglese all’Università di Foshan nell’ambito di un programma di Harvard – che di quegli anni terribili ha ricordato: «Non importa quanto vivrò, non sarò mai più trattato così bene. Mi hanno fatto più regali di quanti potessi portare a casa. È stata un’esperienza eccellente. Non c’era alcun sentimento antiamericano e molti studenti vogliono venire in America per studiare».

Col Dalai Lama

Sempre su X, James Hutton, ex sottosegretario del dipartimento per gli Affari dei veterani, ha scritto: «La tirannia comunista potrebbe non essere una brutta cosa per Walz, ma il resto del mondo lo sa: Walz è pericoloso».

E il tabloid New York Post ha rincarato la dose, sostenendo che «Walz si è talmente innamorato della Cina che lui e sua moglie Gwen sono andati lì in luna di miele». Quando, nel 1994, si sposarono (il 4 luglio, anniversario della strage di Tiananmen, perché – come ha spiegato la moglie – Walz «voleva una data impossibile da dimenticare») fondarono la Educational Travel Adventures, una società che, secondo il sito web della National Governors Association, offriva «un viaggio estivo in Cina per i loro studenti, e si recavano lì quasi ogni estate fino al 2003». E così, per lavoro e per passione da sinofilo, Walz, che parla mandarino, è stato in Cina decine di volte.

Gli attacchi della destra repubblicana ovviamente “dimenticano” il faccia a faccia tra Walz – che dal 2007 al 2019 è stato membro della Commissione esecutiva del Congresso sulla Cina – e il Dalai Lama, il leader politico e spirituale tibetano in esilio. In un post del 2018 il sessantenne Walz ha descritto quell’incontro come un «pranzo che cambia la vita».

E qui veniamo – al di là della polemica strumentale della destra – alle posizioni di Walz sulla Cina, tema che si intreccerà con l’economia, giocando un ruolo importante nella campagna che, il 5 novembre, porterà all’elezione del 47° presidente Usa. Il braccio destro di Kamala Harris è un convinto sostenitore dei diritti dell’uomo, e ritiene che «se i cinesi avessero la leadership appropriata, non ci sarebbero limiti a ciò che potrebbero ottenere».

Si è formato nell’era Clinton, quando il sogno di democratizzare la Cina fu frenato dagli interessi miliardari delle corporation a stelle e strisce.

Imparare a conoscersi

Non esattamente un amico del Partito comunista cinese come viene dipinto dai repubblicani. Nel 2016 si espresse anche contro la riduzione dei finanziamenti alle forze armate statunitensi citando, tra l’altro «le crescenti tensioni con il nostro partner commerciale, la Cina, e i semi di potenziali disordini nel Pacifico», incluse le costruzioni cinesi nei territori contesi nel mar Cinese meridionale.

La differenza fondamentale con la controparte J. D. Vance (di vent’anni più giovane) è che Walz si è formato nei decenni in cui Washington, piuttosto che a chiudere le porte, era impegnata a intrecciare nuovi legami con Pechino.

Secondo Denis Simon, ex vicerettore esecutivo della Duke Kunshan University in Cina, quest’esperienza dovrebbe essere considerata una “risorsa”. «Ha accumulato esattamente il tipo di esperienza diretta sul campo necessaria per sviluppare competenze come diplomatico, negoziatore e partner collaborativo», ha dichiarato Simon, sottolineando che Walz «non è andato in Cina perché era un maoista o un simpatizzante del Pcc».

«Ci è andato», ha concluso Simon, «come parte di quel tipo di diplomazia interpersonale che può aiutare a costruire fiducia e comprensione», per questo il bagaglio di conoscenze di Walz potrebbe aiutare il governo americano a «comprendere il pensiero, il comportamento e le intenzioni cinesi».

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