Secondo l’ex segretario di Stato americano il presidente cinese ha sbagliato a scommettere sulla vittoria militare della Russia in Ucraina, e ora deve ricalibrare la posizione della potenza rispetto agli Stati Uniti
- «Xi Jinping ha dato carta bianca a Vladimir Putin. Deve aver pensato che l’invasione (dell’Ucraina, ndr) avrebbe avuto successo». Lo ha detto Henry Kissinger, secondo cui ora Xi «ha bisogno di ricalibrare» la posizione della Cina, dialogando con l’amministrazione Biden.
- Per scoprire se Pechino aggiusterà il tiro bisognerà aspettare due importanti appuntamenti delle prossime settimane: il 16 ottobre si aprirà il XX congresso, durante il quale il partito comunista cinese espliciterà la linea di politica estera dei prossimi anni; e il vertice del G20 del 15-16 novembre a Bali, durante in quale Xi potrebbe incontrare Joe Biden.
- Il mese scorso la Cina ha superato per la prima volta l’Unione europea, diventando il principale acquirente di idrocarburi russi. Un primato che le sta permettendo di acquistare gas a basso costo dalla Russia e di rivenderne altro a caro prezzo all’estero.
«Xi Jinping ha dato carta bianca a Vladimir Putin. Deve aver pensato che l’invasione (dell’Ucraina, ndr) avrebbe avuto successo».
Lo ha detto Henry Kissinger, secondo cui ora Xi «ha bisogno di ricalibrare» la posizione della Cina, dialogando con l’amministrazione Biden per allentare la tensione con gli Stati Uniti, mai così alta negli ultimi decenni.
Il 99enne ex segretario di Stato americano è intervenuto l’altra sera a New York a un dibattito organizzato dalla Asia Society sostenendo che il presidente cinese avrebbe compiuto un errore di calcolo e ora deve evitare che l’occidente metta la Cina sul banco degli imputati insieme alla Russia.
Venerdì scorso la Cina si è astenuta (assieme a India, Brasile e Gabon) sulla risoluzione (bloccata dal veto russo) con la quale gli Usa (e l’Albania) avevano chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite di dichiarare illegali le annessioni alla Federazione russa delle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson in seguito ai referendum del 23-27 settembre.
L’astensione del gigante asiatico con cui la Russia ha una “partnership strategica onnicomprensiva” definita «senza limiti» da Xi e Putin sembrerebbe aver reso più evidente l’isolamento internazionale di Mosca.
Ma Wang Wenbin, il portavoce del ministero degli Esteri, ha ricordato che «la Cina ha sempre sostenuto che la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i paesi deve essere rispettata».
Nello stesso tempo, «devono essere considerati seriamente le legittime preoccupazioni di sicurezza di tutte le parti, e va sostenuto ogni sforzo per risolvere la crisi pacificamente».
Segnali di disgelo?
Negli ultimi giorni il ministro della Difesa americano, Lloyd Austin, ha rivelato di aver avuto un colloquio con il suo omologo cinese, Wei Fenghe, in seguito al quale sono state riallacciate le comunicazioni tra i due eserciti, interrotte dopo la visita a Taiwan di Nancy Pelosi.
Mentre diversi funzionari del dipartimento di stato hanno ripetuto che per Washington resta valida la politica “Una Cina”.
Per scoprire se Pechino aggiusterà il tiro bisognerà aspettare due importanti appuntamenti delle prossime settimane: il 16 ottobre si aprirà il XX congresso, durante il quale il partito comunista cinese espliciterà la linea di politica estera dei prossimi anni; e il vertice del G20 del 15-16 novembre a Bali, durante in quale Xi potrebbe incontrare Joe Biden.
L’escalation in Ucraina e l’appoggio politico e militare sempre più esplicito di Washington a Taiwan potrebbero però impedire qualsiasi distanziamento di Pechino da Mosca.
L’anziano diplomatico che con il suo viaggio segreto a Pechino nel 1971 aprì la strada al rapprochement, al riavvicinamento tra Cina e Usa, lo sa bene. Infatti Kissinger ha puntualizzato che Xi potrebbe scegliere di fomentare il nazionalismo in patria piuttosto che provare a riavvicinarsi agli Stati Uniti.
Kissinger ha messo in guardia dall’effetto «devastante» che avrebbe un conflitto tra due paesi con una storia e una visione del mondo così diverse, proprio mentre in Cina la tv di stato mandava in onda la prima di otto puntate di un documentario sulle ultime micidiali armi (comprese quelle atomiche) dell’Esercito popolare di liberazione.
In Europa il gas di Pechino
Il mese scorso la Cina ha superato per la prima volta l’Unione europea, diventando il principale acquirente di idrocarburi russi. Un primato che le sta permettendo di acquistare gas a basso costo dalla Russia e di rivenderne altro a caro prezzo all’estero.
Le compagnie di stato cinesi che hanno in essere contratti di lunga durata per l’acquisto dagli Stati Uniti di gas naturale liquefatto (Gnl) stanno infatti macinando super profitti vendendo in Europa le eccedenze prodotte dalla diminuzione della domanda in Cina causata dal brusco rallentamento dell’economia.
Secondo il Wall Street Journal, nei primi otto mesi del 2022 soltanto 19 navi Usa cariche di Gnl acquistato dalla Cina (contro le 133 registrate nello stesso periodo dell’anno scorso) sono arrivate a destinazione.
Nello stesso tempo Gazprom il mese scorso ha raggiunto per due giorni consecutivi il record di esportazioni in Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia.
Il colosso di stato russo ha comunicato che «l’esportazione di gas in Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia è in crescita nel quadro del contratto bilaterale a lungo termine tra Gazprom e China National Petroleum Corporation. Le consegne sono in corso regolarmente al di sopra delle quantità contrattuali giornaliere».
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