- L’internet «con caratteristiche cinesi», di fatto una gigantesca intranet circondata dalla Grande muraglia informatica che blocca ogni comunicazione pericolosa per il Partito comunista, ha superato il miliardo di utenti.
- Lunedì scorso Xi ha sostenuto che la campagna per «prevenire l’espansione irrazionale di capitale» e la «crescita selvaggia» del settore hi-tech inizia a produrre risultati. Solo tre ore a settimana per giocare ai videogame, giro di vite contro celebrità e gruppi di fan online, e verso il divieto di Ipo all’estero.
- Da Alibaba a Tencent, poco conta che circa mille miliardi di dollari di azioni di compagnie cinesi siano andati in fumo in borsa nelle ultime settimane.
L’internet «con caratteristiche cinesi», di fatto una gigantesca intranet circondata dalla Grande muraglia informatica che blocca ogni comunicazione pericolosa per il Partito comunista, ha superato il miliardo di utenti. Sono 1,01 miliardi i netizen che – secondo i dati pubblicati venerdì 30 agosto dal China internet network information center – navigano in media 3,8 ore al giorno nella rete 5G più sviluppata del pianeta, che copre tutte le principali città del paese. E che alimenta una florida economica digitale: 812 milioni di consumatori fanno acquisti online, 469 milioni di persone ordinano pasti via app, 325 milioni di studenti seguono corsi sul web, 239 milioni di ammalati vengono curati grazie alla telemedicina.
Un flusso continuo di denaro (il 38,6 per cento del Pil nazionale nel 2020) e di dati, ma anche un dinamismo che pone sfide sempre nuove a un Partito che, con Xi Jinping, per rafforzarsi ha puntato come mai nella Cina post maoista sulla diffusione dell’ideologia e sul controllo della società.
Nel corso di una riunione della leadership, lunedì scorso Xi ha sostenuto che la campagna per «prevenire l’espansione irrazionale di capitale» e la «crescita selvaggia» del settore hi-tech inizia a produrre risultati. Xi ha avvertito che il Partito dovrà fare di più per «guidare e controllare» l’economia con norme efficaci e maggiore trasparenza. Tutto ciò a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi – dall’alt di Pechino alla offerta pubblica iniziale (Ipo) di Ant Group di Jack Ma, all’inchiesta avviata dall’Amministrazione del cyberspazio della Cina (Cac) sulla gestione dei dati degli utenti da parte di Didi, l’Uber locale – è solo l’antipasto: il Pcc punta a mettere in sicurezza i big data e utilizzare appieno la rete per educare il popolo.
Lo stupro dell’influencer
Ne sanno qualcosa le celebrità e i loro milioni di seguaci, oggetto negli ultimi giorni di un giro di vite senza precedenti. Tutto è cominciato con l’arresto, il 16 agosto scorso, del cantante Kris Wu Yifan, accusato di aver stuprato la influencer Du Meizhu. Louis Vuitton, Bulgari, L’Oréal e Porsche hanno rescisso i contratti col loro testimonial finito sul banco degli imputati. Una storiaccia che ha sbattuto sotto gli occhi delle masse un universo di soldi facili, starlette, idoli pop e masse di giovanissime adulatrici che, dopo la cattura di Wu, sui gruppi di fan (fànquăn) hanno annunciato un piano per farlo evadere, mentre Tencent e Weibo chiudevano gruppi intitolati “Crediamo in Wu e aspettiamo la sua liberazione”.
Note decisamente stonate rispetto al “benessere comune”, il nuovo obiettivo indicato da Xi, per centrare il quale lo stato «regolerà in modo ragionevole i redditi eccessivi e incoraggerà gli individui e le imprese con reddito elevato a restituire di più alla società». Dopo la punizione esemplare riservata a Jack Ma, tutti i magnati delle compagnie hi-tech (e non solo) si stanno adeguando: chi giurando pubblicamente fedeltà al nuovo corso, chi con donazioni miliardarie per lo sviluppo rurale o la ricerca, tutti adottando il profilo più basso possibile.
La Cac – vero e proprio “braccio armato” di Xi nella campagna anti-monopolio e di “purificazione” di internet – ha annunciato di aver cancellato oltre 150mila “messaggi pericolosi” (i membri di un fànquăn arrivano a minacciare i fan di gruppi rivali), chiuso più di 4mila account di social media, rimosso 39 app e 1.300 gruppi, che però sono popolati da milioni di teenager e alimentano un’economia che nel 2020 ha fatturato 100 miliardi di yuan (circa 13 miliardi di euro).
I fan sommergono di like i loro beniamini e forniscono alle agenzie che gli stanno dietro e ai social il bene più prezioso in un’economia digitale.
«Negli ultimi anni ho avuto l’impressione che i dati sono diventati più importanti della capacità di una star di recitare o cantare – ha raccontato a South China Morning post una netizen shanghaiese –. Agli agenti, ai social media e ai brand a cui le star fanno da testimonial interessano soltanto i dati».
Troppi straordinari
Il 1° settembre è entrata in vigore la Legge sulla sicurezza dei dati, che secondo la Cac «rappresentano una risorsa strategica di base del paese: senza sicurezza dei dati non c’è sicurezza nazionale»: multe fino a 1,5 milioni di dollari e chiusura delle aziende che inviano all’estero “dati chiave” dello stato. La Sasac – l’ente che ne controlla l’operato – intanto ha ordinato alle aziende di stato di trasferire i loro dati dai cloud privati (mercato dominato da Alibaba, Tencent e Huawei) a quelli governativi. E Pechino starebbe per annunciare il divieto di Ipo all’estero per le compagnie i cui dati potrebbero danneggiare la sicurezza nazionale.
La Cac intanto sta ficcando il naso anche negli algoritmi utilizzati dalle big hi-tech, per renderli più conformi ai princìpi del “benessere comune”. Il 27 agosto la Corte suprema del popolo ha dichiarato illegale il cosiddetto “996”, ovvero gli straordinari – utilizzati in particolare dalle imprese hi-tech – dalle 9 del mattino alle 9 di sera, sei giorni su sette.
Tre giorni dopo la National press and publication administration (Naap) ha varato una nuova norma che permette ai minorenni di giocare ai videogame soltanto per tre ore a settimana (dal venerdì alla domenica dalle 8 alle 9 di sera) oltre che, negli stessi orari, durante le festività nazionali.
Il mese scorso il quotidiano Economic Information Daily (affiliato all’agenzia di stato Xinhua) aveva definito i videogame “oppio spirituale”, provocando perdite in borsa di oltre il 10 per cento per Tencent e NetEase e le principali aziende del settore. La metà dei cinesi gioca online ovunque: sugli smartphone nei mezzi pubblici, nelle sale giochi, a casa in ogni momento libero. Nel 2020 il mercato dei videogiochi in Cina ha fatturato 278 miliardi di yuan (oltre 36 miliardi di euro), oltre la metà dei quali (156 miliardi di yuan) appannaggio del colosso Tencent, fondato nel 1998 dall’attuale presidente Pony Ma, che con un patrimonio di oltre 59 miliardi di dollari è l’uomo più ricco della Cina. Da anni il Partito lancia anatemi contro queste “droghe velenose” (copyright Quotidiano del popolo), ma questa volta pare che Xi non intenda limitarsi alle scomuniche.
Molte migliaia di sviluppatori e pmi sono pronti a chiudere. Discorso diverso per Pony Ma (al secolo Ma Huateng) che, a differenza del più celebre Ma Jun (alias Jack Ma), è prontissimo a fiutare quando a Pechino cambia il vento e solerte ad adattare le politiche della sua corporation alle nuove direttive governative. Tencent non subirà contraccolpi particolari, perché allineandosi al Partito ha accettato di fungere da esempio per l’intero settore.
La linea politica prima di tutto
Sui videogame Tencent e Bilibili hanno fatto sapere che applicheranno scrupolosamente le ultime restrizioni, sottolineando che i minorenni rappresentano una piccolissima porzione dei loro giocatori.
Tutti questi provvedimenti presentano un aspetto politico-ideologico altrettanto importante dei loro risvolti economici. Se l’unico obiettivo del Partito fosse quello di ridimensionare i monopoli e ridurre le disuguaglianze, perché non aumentare subito gli oneri fiscali di queste corporation che hanno potuto svilupparsi senza regole per oltre un decennio? In realtà colpire i videogiochi, il mercato delle lezioni private, i gruppi di fan e così via, risponde anche al tentativo di Xi e compagni di riportare la morale del Partito fin dentro le case dei cinesi.
E poco conta che circa mille miliardi di dollari di azioni di compagnie cinese siano andati in fumo in borsa nelle ultime settimane per i timori suscitati dal giro di vite governativo. Come sempre nella storia della Repubblica popolare cinese – e più che mai con la leadership di Xi Jinping – la dimensione del controllo politico è un prerequisito dello sviluppo e dunque precede le considerazioni di carattere economico.
Nella Cina di Xi l’incoraggiamento denghista ad arricchirsi chiaramente non è più di moda, ma sono molto arrugginite anche le “tre rappresentanze” con le quali Jiang Zemin aveva aperto ai capitalisti le porte del Pcc. Dopo la repressione del movimento di Tiananmen, il Partito aveva stretto un tacito accordo con la società: fate ciò che volete, purché non vi organizziate per contestarci. Nella Nuova era quel patto non scritto viene spazzato via dalla bulimia normativa di Xi e compagni, che proclamano: «Il governo, l’esercito, la società e le scuole, da nord a sud, da levante a ponente il Partito dirige tutto».
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