Sfuggito più volte alla morte, Sinwar è stato nominato a capo dell’ufficio politico di Hamas lo scorso 7 agosto. Non ha mai lasciato Gaza ed è uno dei massimi rappresentanti della linea dura nei confronti di Israele
Da oltre un anno Yahya Sinwar è l’ossessione dell’esercito israeliano e della sua leadership politica. Considerato il mastermind dietro l’attacco più sanguinario subito nella storia di Israele il 7 ottobre del 2023, Sinwar è l’uomo che quel giorno ha messo a nudo la fragilità di un apparato di sicurezza che difficilmente commette errori o sottovalutazioni.
La caccia alla sua testa è stata la giustificazione dietro la quale si è nascosto il premier Benjamin Netanyahu per fare carne da macello di civili nella Striscia di Gaza e ridurla in macerie.
Ora, secondo l’esercito israeliano Yahya Sinwar sarebbe stato ucciso in un blitz militare nella Striscia di Gaza a Rafah, vicino al confine con l’Egitto. Oltre a lui sono stati uccisi anche altri due terroristi, probabilmente dei suoi stretti collaboratori di cui ancora non si conosce la loro identità. L’Idf ha mostrato molta cautela nel dare la notizia della sua uccisione, vista la portata della notizia agli occhi dell’opinione pubblica.
Dopo circa un’ora la tv israeliana Channel 12 ha annunciato che i test del Dna condotti sui denti del cadavere di uno dei terroristi uccisi corrispondono a quello di Yahya Sinwar. Le foto circolate online lasciano spazio a pochi dubbi. Secondo i media israeliani, inoltre, il blitz sarebbe accaduto il 16 ottobre e i soldati non sapevano di avere di fronte il capo di Hamas.
Dopo l’uccisione di Haniyeh
Lo scorso 7 agosto è stato scelto come successore a capo dell'ufficio politico di Hamas al posto di Ismail Haniyeh, ucciso in un hotel a Teheran durante un blitz dei servizi di sicurezza israeliani nella notte del 31 luglio.
La sua nomina ha decretato di fatto anche la fine alle mediazioni per tutta una serie di motivi: era nascosto a Gaza e non aveva la stessa libertà di movimento del suo predecessore Haniyeh (che viveva a Doha) e, soprattutto, per la delegazione israeliana era molto difficile accettare un accordo con l’ideatore del 7 ottobre. Trattare con Sinwar è sempre stato inaccettabile per l’ala estremista del governo israeliano rappresentata dai ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir.
«C’è solo un posto per Yahya Sinwar, ed è accanto a Muhammad Deif e al resto dei terroristi del 7 ottobre. Questo è l’unico posto che stiamo preparando e dove intendiamo accoglierlo», aveva detto il portavoce dell’Idf Daniel Hagari. Inoltre, Sinwar è fin da sempre uno dei maggiori sostenitori della linea dura nei confronti di Israele.
L’ascesa politica e i legami con l’Iran
Sinwar è nato nel campo profughi di Khan Younis nel 1962, dove la sua famiglia è stata costretta a trasferirsi da Ashkelon, cittadina nel Negev occidentale. È cresciuto sotto l’ala ideologica di Ahmed Yassin fondatore di Hamas. Prima di diventare capo politico di Gaza è stato uno dei vertici militari più importanti dell’organizzazione, dedito anche all’antispionaggio per scovare i palestinesi collaborazionisti con il Mossad.
Ha creato il servizio di sicurezza interna di Hamas (Majd) prima di diventare comandante d’elite delle brigate al Qassam. Parte della sua formazione militare è avvenuta in carcere dove c’è stato per oltre due decadi a scontare una condanna a quattro ergastoli dopo l’uccisione di due soldati israeliani e quattro palestinesi accusati di collaborazionismo. Durante la sua detenzione ha imparato l’ebraico con l’obiettivo di tradurre le autobiografie in lingua ebraica scritte dagli ex agenti dello Shin Bet israeliano.
Una fonte di informazione chiave per l’ala militare da lui guidata. Il dentista che lo aveva in cura durante la prigionia lo ha descritto come un uomo risoluto, senza emozioni e dedito alla lotta armata per la causa palestinese. Sinwar è tornato in libertà tredici anni fa dopo uno scambio di prigionieri per la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit. Nel 2012 è stato per la prima volta a Teheran dove Haniyeh lo ha introdotto alla leadership iraniana e all’ayatollah Ali Khamenei.
Da lì i rapporti stretti con l’ex capo delle guardie rivoluzionarie Qassem Soleimani ucciso in un raid aereo nel 2020. Relazioni cruciali che si sono intrecciate anche con Hezbollah in Libano e hanno rafforzato l’apparato militare di Hamas – stringendo anche alleanze con gruppi rivali come la Jihad islamica – fino a come lo conosciamo oggi.
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